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India. 20 anni dopo l’omicidio di Rajiv Ghandi, esecuzione capitale per i colpevoli

Pratibha Patil, presidente dell’India, ha respinto settimana scorsa la richiesta di grazia depositata dagli avvocati dei tre uomini giudicati responsabili dell’omicidio dell’ex primo ministro Rajiv Gandhi nel 1991.
Una decisione che apre la via all’esecuzione dei tre, appartenenti al gruppo ribelle dello Sri Lanka delle Tigri Tamil.
La richiesta di grazia era stata depositata dopo la conferma da parte della Corte suprema, nel 1999, della loro condanna a morte.


Rajiv era figlio di Indira Gandhi, primo ministro del paese dal 1966 al 1977 e di nuovo dal 1980, morta nell’ottobre 1984 per mano di due guardie incaricate della sua sicurezza.
Alla sua scomparsa Rajiv si era presentato per la carica di primo ministro. Era stato eletto probabilmente anche grazie all’ondata di emozione suscitata dal destino della madre e alla sua reputazione di uomo leale.

Un mandato che dopo il 1986 iniziò ad essere controverso, a causa delle riforme in campo economico che portò avanti e per le accuse di corruzione che vennero mosse a diversi esponenti del suo governo. Fatti che pregiudicarono la sua rielezione nel 1989, quando venne pesantemente sconfitto.
Rajiv Gandhi era stato ucciso il 21 maggio 1991 in un attentato suicida nel sud dell’India, a pochi giorni dalle nuove elezioni generali, dove avrebbe potuto ottenere un secondo mandato a capo del governo.

La 64enne vedova di Rajiv Gandhi, Sonia, è di origini italiane e dirige il partito del Congresso, la formazione politica al potere.

Redazione

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