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Silvio Berlusconi lascia l’Italia come l’ha trovata. Se non peggio

Questo è il titolo di un articolo odierno sul quotidiano francese Le Monde: Berlusconi lascia l’Italia come l’ha trovata.

“Troppo tardi sono giunte le parole “responsabilità” e “coscienza” usate martedì 8 novembre – si legge nell’articolo – dopo che Silvio Berlusconi aveva comunicato l’intenzione di dare le dimissioni al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Parole tardive che non possono affibbiare a Berlusconi la qualifica di uomo di Stato.
Berlusconi lascia l’Italia pressappoco come l’aveva trovata quando era giunto al potere la prima volta, nel 1994. Se vi sono stati dei cambiamenti sono più che altro negativi. Invece, per quanto riguarda la sua fortuna personale e i processi giudiziari in cui è coinvolto tutto va per il meglio.

Il bilancio del presidente del Consiglio è magro. Berlusconi non è riuscito a portare avanti la rivoluzione liberale promessa. Per i contribuenti sono aumentate le imposte che voleva ridurre.
La frattura tra il Nord, ricco e dinamico e il Sud, povero e in assistenza, si è fatta più marcata. La giustizia è sempre lenta e incasinata.
Lo Stato, inefficace, rimane frazionato in regioni, province e comuni caratterizzati da competenze inestricabili. L’Esecutivo, sotto pressione permanente in Parlamento, è sempre debole. La televisione pubblica resta sotto il controllo dei partiti politici, i quali vi traggono cospicui benefici. La crescita economica ristagna.

“Sono stanco di non poter dettare una linea, di non riuscire a fare le riforme che vorrei. Ho più potere come semplice cittadino che come presidente del Consiglio – ha spiegato Berlusconi al direttore del quotidiano La Stampa Mario Calabresi, in una tornata di confidenze pubblicate il 9 novembre.
In un certo modo ha ragione: l’Italia si distingue per la presenza di una rete di poteri (sindacati, ordini professionali, partiti, la Chiesa, …) la cui principale preoccupazione è che niente venga cambiato.
Al contempo Berlusconi ha anche torto. Nessun presidente del Consiglio ha avuto tanta popolarità, altrettanti mezzi finanziari e mediatici per poter riformare il paese.

Perché allora è stato tanto incapace? Per un conflitto di interessi. L’imprenditore ha considerevolmente ridotto i margini di manovra del presidente del Consiglio, fermo restando che il suo desiderio di riforme fosse sincero.
Come cambiare il funzionamento dell’audiovisivo pubblico possedendo tre canali televisivi, una casa editrice e una quarantina di testate giornalistiche?
Come riformare la giustizia avendo subito oltre venti processi, di cui tre ancora in corso? Come riformare le ordinanze dopo aver fatto eleggere i suoi avvocati alla Camera dei deputati? Come far rientrare le imposte essendo un evasore fiscale?
Come affermare l’autorità dello Stato quando il suo alleato principale, la Lega Nord, difende l’autonomia del nord Italia?
In queste condizioni, il grande disegno di una nuova Italia è stato ben presto limitato. Berlusconi ha più che altro attuato piccole riforme con conseguenze vantaggiose per la sua persona: la legge Gasparri, ad esempio, che gli permette di continuare ad avere una posizione predominante nei media; oppure la riduzione dei termini di prescrizione per i delitti che lo riguardano.

Questa prematura uscita di scena mette fine – in maniera provvisoria? – ai suoi tentativi di riportare la durata delle procedure a sei anni e di punire con ammende o addirittura con la prigione i giornalisti che divulgano i verbali dei processi o il contenuto delle intercettazioni telefoniche.
(…) 17 anni di Berlusconi hanno profondamente modificato la mentalità degli italiani oppure ne hanno amplificato i difetti, dipende come si considera la cosa. La sua partenza permetterà forse di mettere ognuno di fronte alle proprie responsabilità.”

Redazione

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