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I generali egiziani alla resa dei conti

Le rivolte che hanno interessato (e stanno ancora interessando) diversi paesi arabi hanno quale scopo principale la fine dei regimi autocratici e corrotti. I rivoluzionari si sono gettati nella mischia con l’ardore di chi cerca la libertà, senza il minimo pensiero di cosa accadrà una volta caduto il tiranno. Senza preoccuparsi della tappa successiva, ossia la costruzione di un ordine nuovo.

In Tunisia, dove non vi sono tensioni etniche, religiose o tribali, il processo di transizione sembra ben avviato. Dopo le elezioni del 23 ottobre, l’Assemblea costituente si sta organizzando. Al contempo prende forma un Esecutivo che rappresenta le prime tre formazioni politiche emerse dallo scrutinio.
Un enorme contrasto con l’Egitto del dopo Moubarak. Al Cairo le Forze Armate si aggrappano al potere e questo ha provocato un secondo e violento sussulto rivoluzionario.
Contrariamente alla Tunisia, in Egitto l’esercito è un pilastro fondamentale nella struttura del paese. I quattro presidenti che hanno guidato il paese dal 1953, dalla caduta della monarchia, erano tutti usciti dalle fila dell’esercito.

Provvisto di risorse economiche illimitate, con aiuti da 1.3 miliardi di dollari annui da parte degli Stati Uniti, l’esercito egiziano non è unicamente un apparato di difesa: è anche una potenza che controlla l’agricoltura e l’industria del paese.
A fine gennaio le Forze Armate avevano sacrificato il presidente Moubarak ai manifestanti di Piazza Tahrir ma non hanno mai pensato di sacrificare anche il loro potere e i loro interessi economici. Anzi, intendono inserire nella futura Costituzione una clausola che liberi i generali dal controllo di un governo civile.
Scadenze precise sono state concordate per la transizione e le elezioni legislative (che dureranno tre mesi) iniziano venerdì prossimo.
I manifestanti però non hanno più pazienza e soprattutto non credono che i potenti generali saranno disposti a cedere il potere. Da venerdì la loro protesta ha messo a fuoco il centro del Cairo. Le conseguenze sono del tutto simili allo scorso gennaio: morti, feriti e centinaia di arresti.

Per evitare che il paese sprofondi nel caos, i vertici militari devono dare garanzie circa il loro impegno nel processo di transizione. La situazione è molto fragile, gli equilibri sono precari, soprattutto perchè un altro paese arabo, la Siria, è a un passo dall’entrare in una guerra civile, con tutti i rischi che questo comporta in un contesto geopolitico esplosivo.

(Ticinolive.ch/Le Monde.fr)

Redazione

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