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Conferenza di Durban. Il clima ostaggio di Cina e Stati Uniti

L’anno scorso, il National Center for Atmospheric Research (Stati Uniti) e il Hadley Center for Climate Prediction and Research (Gran Bretagna) hanno fatto dei pronostici sul riscaldamento climatico. Si apprendo così che la temperatura globale del pianeta aumenterà da 4° a 5°C entro il 2060 se gli attuali tassi di emissione proseguiranno.

Qui di seguito la mappa degli impatti del riscaldamento climatico.

Si tratta di un aumento molto più rapido di quello comunicato dagli esperti degli Enti internazionali che studiano i cambiamenti climatici. Scienziati che sono al corrente dei dati reali ma che non ne parlano, in quanto sono sovvenzionati dagli Stati. Se i loro rapporti ne facessero menzione, questi Stati si vedrebbero obbligati a spendere molti più soldi per porre rimedio. Miliardi di dollari che oggi mancano. Dunque è necessario mantenere un certo riserbo e non spaventare la popolazione.

Malgrado gli accordi presi alla conferenza sul clima di Durban, è indubbio che i grandi paesi non vogliono una nuova fase di restrizioni sulle emissioni.
Gli Stati Uniti non intendono impegnarsi se la Cina non manifesta volontà di fare altrettanto. La Cina però respinge l’idea di ridurre le sue emissioni.
La Cina è un caso complesso. Il suo governo sa che il riscaldamento climatico può avere conseguenze gravi, anche nel paese. Il governo di Pechino fa il possibile per sviluppare carburante pulito e energie rinnovabili, ma per accompagnare una crescita economica dal 9% al 10% è necessario un aumento della produzione energetica annua del 7%. Produzione garantita principalmente dal carbone, poco costoso. La Cina può assumersi il rischio di ridurre il suo dinamismo economico, unico motivo per cui la popolazione manifesta sostegno al governo di Pechino?

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, sono ostili al rinnovo del Protocollo di Kyoto. Per Barack Obama sarebbe un suicidio politico, in quanto la popolazione è contraria. Addirittura gli americani si mostrano scettici riguardo alla responsabilità dell’uomo nel riscaldamento climatico. Le industrie energetiche hanno sovvenzionato questo diniego per anni e se Obama andrà contro corrente rischia di giocarsi la rielezione alla presidenza.

L’Europa infine, che rappresenta il 16% delle emissioni mondiali, assicura che vorrebbe impegnarsi per un secondo periodo di restrizioni delle emissioni, sino al 2018 o al 2020. Ma dice anche che si impegnerà solo con la garanzia che Cina e Stati Uniti facciano altrettanto.

(Ticinolive/Le Nouvel Observateur.fr)

Redazione

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