Nel luglio dello scorso anno la nostra televisione e alcuni quotidiani rivelarono l’utilizzo in Libia, da parte dei ribelli, di munizioni prodotte dalla ditta Ruag di Thun, azienda d’armamento controllata dalla Confederazione.
Questa rispose in un primo tempo che il materiale bellico era stato, in effetti, venduto al Quatar.
Seguì il solito batti e ribatti parlamentare con la richiesta rosa-verde di sospendere tali esportazioni in zone di crisi e la risposta dei partiti borghesi, che invece parlarono di caso isolato oggettivamente fuori da ogni responsabilità diretta dell’autorità preposta al controllo.
Sul pasticcio il portavoce dell’Emirato arabo dichiarò che le munizioni rossocrociate erano state sì comprate dal Quatar, ma “per un errore logistico” erano finite nel deserto libico.
Adesso uno studio delle università di Zurigo e Berna ci dice che questa spiegazione è bastata ai nostri politicanti per togliere il blocco all’esportazione di armi nel Quatar.
Delle due l’una: o la fiducia (gratuita!) ha rimpiazzato la pubblicità come anima del commercio, o per l’ennesima volta chi ci rappresenta in patria e all’estero pensa che nella Confederazione abbondino i grulli i cui interessi sono, per fortuna, difesi da una minoranza di lucidi faccendieri.
Deve essere proprio così se nonostante le continue prese per i fondelli, nessuno rompe gli indugi nel manifestare vigorosamente il proprio sconcerto.
Cosa effettivamente diversa dalle sonnolente passeggiate, con famiglia al seguito, che si rinnovano ogni primo di maggio.
Carlo Curti, Lugano
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