L’economista statunitense e premio Nobel per l’economia Paul Krugman, intervistato dal giornale francese l’Express, spiega come – a suo parere – l’Europa può uscire dalla crisi accettando un po’ d’inflazione e mettendo da parte l’austerity.
Alcuni passaggi dell’intervista.
“Nessuno può negare che Atene avesse un problema di disciplina di bilancio e avesse enormi responsabilità per i propri insuccessi. Ma nel panico abbiamo trasformato quel paese nella causa della crisi europea.
Ciò … rifletteva l’inflessibilità dei tedeschi, sempre pronti ad accusare gli altri di non essere virtuosi quanto loro. Ma così si dimentica che il caso della Grecia è unico e isolato. È stato fatto di tutte le erbe un fascio per giustificare il dogma del rigore. Qualsiasi altro punto di vista è stato eliminato dal dibattito”.
“La Germania è il grande creditore di un’Europa che ha effettivamente conosciuto un periodo di prosperità. Sarei stato curioso, tuttavia, di osservare quali rimedi sarebbero stati proposti nel caso in cui, per esempio, i flussi di capitale fossero arrivati dalla Spagna verso il settore immobiliare tedesco, e non viceversa”.
“Penso che l’euro fosse un’idea sentimentale, un bel simbolo di unità politica. Ma una volta abbandonate le valute nazionali avete perso moltissimo in flessibilità. Non è facile rimediare alla perdita di margini di manovra.
… L’Europa era molto meno adatta alla moneta unica rispetto agli Stati Uniti. Florida e Spagna hanno avuto una stessa bolla immobiliare e uno stesso crollo. Ma la popolazione della Florida ha potuto cercare lavoro in altri stati meno colpiti dalla crisi. Ovunque l’assistenza sociale, le assicurazioni mediche, le spese federali e le garanzie bancarie nazionali sono di competenza di Washington, mentre in Europa non è così”.
“Io suggerisco ai paesi che ancora possono scegliere di non ricorrere alle politiche di austerity”.
“Non vedo come la Grecia possa restare nell’euro. É praticamente impossibile. La sua uscita, tuttavia, causerebbe un prelievo in massa dei depositi delle banche spagnole e italiane, al quale la Bce dovrebbe assolutamente rispondere tramite un apporto illimitato di liquidità. In caso contrario nel giro di due settimane la Bundesbank getterebbe la spugna, e quella sarebbe la fine dell’euro”.
“Per i paesi del Sud di norma suggerirei una svalutazione interna. In linea di principio una riduzione dei salari permetterebbe di recuperare competitività. Ma nessun paese, neppure l’Irlanda o la Lettonia, è riuscito davvero a ottenere una riduzione effettiva dei salari del settore privato. D’altro canto la deflazione aggrava il peso del debito privato in euro.
Se a questo aggiungiamo il rischio di fuga dei capitali e l’instabilità dei governi incaricati di prendere queste decisioni, ecco che si arriva a un’impasse”.
“Se la Bce prenderà i provvedimenti giusti ci si può attendere un miglioramento tra tre-cinque anni. Ma l’Europa sarà sempre fragile. La sua moneta è un progetto campato in aria e lo resterà fino alla creazione di una garanzia bancaria europea.
Fino a quel momento il sistema potrà sopravvivere più comodamente accettando più inflazione, che agisca come un lubrificante”.
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