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La dura e amara realtà nel Gysi-Bernasconi-pensiero: “Non si può far nulla!”

Il buon pubblico accorso all’Auditorio BSI di Lugano ha compreso il messaggio

Bisogna onestamente ammettere che l’associazione radico-socialista Incontro Democratico ci sa fare e sviluppa una notevole attività. Manca, è vero, per il momento l’organizzazione di una serata dibattito sul Foxtown ma non dubitiamo che tale vistosa assenza sarà presto colmata.

Ieri sera 19 settembre 2012 Incontro Democratico ha offerto al pubblico un interessante “confronto” tra due star: Paolo Bernasconi, avvocato e professore a San Gallo, ex pubblico procuratore in tempi lontani in cui questi castigamatti dei delinquenti erano molti meno di 200, grande esperto di criminalità (e di etica!) finanziaria nonché punta di diamante della crociata moralizzatrice anti-Lega; e Alfredo Gysi, presidente del CdA della Banca della Svizzera Italiana (già direttore generale), membro del Consiglio di Banca della BNS e presidente dell’Associazione delle Banche estere in Svizzera.

Pezzi grossi insomma. Ha introdotto il presidente di ID avv. Diego Scacchi e ha moderato il direttore del Corriere Giancarlo Dillena, che moderatore ormai lo è per mestiere. Dico subito che la serata – senz’altro interessante e imperniata su relatori estremamente competenti – è stata concepita in modo errato. Gli illustri conferenzieri, infatti – timidamente “contrastati” con prudentissime e riguardosissime obiezioni da un evanescente Dillena – hanno passato due ore abbondanti a darsi ragione l’un l’altro, ciascuno nel suo forbito stile. Il risultato dell’esibizione non poteva essere che moderatamente soporifero.

Per sommi capi il Gysi-Bernasconi pensiero-unico può essere riassunto così:

• la Svizzera è messa veramente male ma non si può fare niente
• il governo, per l’amor di Dio, non può essere accusato di nulla (mentre the man in the street pensa che il CF ne abbia fatte peggio che Bertoldo e abbia mostrato al mondo e al popolo elvetico esterrefatto una debolezza sconvolgente). Saranno Gysi e Bernasconi a criticare i sette saggi, che saggi non sono? Ben più facile che un cammello passi attraverso la cruna di un ago…
• che cedere era l’unica “strategia” possibile ma che alla fine, dopo anni di lacrime, sudore e sangue (v. Churchill), la piazza finanziaria elvetica (e luganese!) rifiorirà.

“Siamo accerchiati!” ha esclamato Bernasconi, senza che nel pubblico compassato si manifestassero segni di panico (già lo sapevano). Gli apostoli del “cedimento obbligato” hanno però avuto uno sprazzo di audacia quando hanno buttato sul tavolo, pari pari, la parola “ricatto”. Il dr. Gysi l’ha addirittura proiettata sulla parete. Questa parola, si sa, dev’essere maneggiata con prudenza, soprattutto quando il ricatto è reale. Ne seppe qualcosa il malcapitato consigliere federale Delamuraz il quale, nel pieno della tormenta delle “trattative” con l’America, la terribile lobby e i suoi avvocati sui Fondi Ebraici, osò chiamare “ricatto” un ricatto, così come l’uomo semplice e schietto chiama “pane” il pane e “vino” il vino. Non l’avesse mai fatto.

In tutti i libri è scritto che al ricatto non bisogna mai cedere (anche perché di fronte al cedimento il ricattatore moltiplicherà le sue pretese). Ma Bernasconi e Gysi affermano il contrario. Chi sono io per contrastare una così autorevole opinione? Un brivido è corso per la sala quando l’immaginifico Paolo – più comunicativo e inventivo rispetto a un tranquillo e “ufficiale” Gysi – ha evocato la metafora del “dito sul bottone che fa partire il missile”. È il preannunciato attacco israeliano contro i siti nucleari iraniani (mossa demente che potrebbe scatenare una terza guerra mondiale)? Neanche per idea. Ricordate tutti la madre (padre) di tutti i cedimenti, nel febbraio 2009, quando il Consiglio Federale, travolto dal panico (dicono i maligni), decise di ordinare alla FINMA di ordinare all’UBS di consegnare agli americani i 285 nomi (ogni volta il numero cambia)? Il dito era sul bottone. Fu una pessima decisione, presa sotto ricatto, dunque obbligata. Quindi in sostanza ottima o quanto meno pessimo-ottima.

Ricordate il gennaio di questo stesso anno, quando fu distrutta la Wegelin? (Se camminate per la via Canova, in zona pedonale, vedete sullo sfondo Villa Ciani e sulla sinistra san Rocco, ma se levate gli occhi verso destra leggete sulla facciata del palazzetto “Notenstein”). La più antica banca svizzera, fondata a San Gallo nel 1741. Il dito era sul bottone. Rapidissima fu l’azione della FINMA, un salvataggio messo in piedi in una settimana. Grandi lodi tributate alla presenza di spirito di quella che un tempo si chiamava “Commissione federale delle banche”. Ma la Wegelin non esiste più. I ricattatori trionfano.

Ricordate – ma è storia di oggi – gli undicimila nomi di collaboratori (dirigenti, procuratori, consulenti, impiegati) consegnati da banche svizzere agli yankees? I nomi soltanto? Certo che no. Anche gli indirizzi, le e-mail inviate, che pensiamo compromettenti e segrete, i numeri telefonici chiamati, del cliente evasore ed (eventualmente) dell’amante (che ogni banchiere che si rispetti deve avere, è una specie di status symbol). Il dito era sul bottone, il missile era pronto a partire, si sapevano il giorno e l’ora, tutto). L’ha fatto il Consiglio Federale? (come afferma maldestramente una voce dal pubblico). Mai più! Che nessuno osi sospettare, criticare il governo. Il governo ha soltanto dato il permesso alle banche implicate di consegnare i nomi, cioè in sostanza di violare la legge. Non ha consegnato un bel nulla. La base legale? La migliore possibile, lo stato di necessità. Il dito era sul bottone (ma anche una pistola puntata alla tempia andrebbe abbastanza bene). Avrei voluto chiedere al dr. Gysi: “Lei avrebbe accettato di consegnare i nomi dei Suoi dipendenti?” All’ultimo momento mi sono trattenuto. Sarebbe stato sleale fargli una domanda alla quale non si può rispondere.
Nota. Ci sono domande particolari, alle quali è impossibile rispondere con un Sì o con un No. Un esempio classico ne è: “Ha smesso di picchiare Sua moglie?” Provate.

Si è parlato di accordi fiscali con la Germania (e l’Inghilterra e l’Austria)? Evidentemente sì e Gysi, creatore e promotore del forse condannato Rubik, si è mostrato ottimista: “Il governo tedesco ha firmato e non è più contro di noi, come nel 2010”, “Ci saranno le elezioni in Germania…” Interessante, ma se andassero al potere i socialisti? Quanto al referendum svizzero, per il quale Galeazzi, Damiani e compagnia stanno dando l’anima, poche parole e soltanto di striscio. “Ho sentito che le firme sono state raccolte. Allora si voterà a novembre”. Il tono tranquillo, la voce sicura. Non si sentiva minacciato. L’UBS e il Credito non permetteranno certo all’ASNI, ai poveri illusi di destra e alle microscopiche banche che annaspano e temono forte per la sopravvivenza, di rovinargli il suo gioiellino. Fanno paura i Länder, questo sì.

In conclusione, una serata eccellente e di ottimo livello. Grazie Alfredo, grazie Paolo, grazie Giancarlo. L’effetto complessivo (su di me) è stato perfettamente demoralizzante. Come se dicessero a un condannato a morte “La tua esecuzione è stata organizzata alla perfezione, fin nei minimi dettagli, ammira l’efficienza” e il criminale si sentisse in obbligo di manifestare soddisfazione.

Grazie Incontro Democratico! bella, dignitosa e acculturata associazione di sinistra. Alla vostra prossima serata dibattito sul FoxTown (se cortesemente m’inviterete) non mancherò.

Francesco De Maria

Relatore

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  • Caro Professore,

    ecco quanto UBS e Credit Suisse hanno ricevuto dalla FED all'indomani della crisi finanziaria 2008:

    UBS (Switzerland): $287 billion ($287,000,000,000)
    Credit Suisse (Switzerland): $262 billion ($262,000,000,000)

    Mi pare evidente che NON SI PUÒ FAR NIENTE.

    • REPETITA IUVANT disse il mio professore di Liceo.
      SED STUFANT rispose il mio compagno dal fondo della classe.
      Ho la presunzione di aver capito tutto da molto tempo, quindi non c'ero.
      Se siamo arrivati al punto di dare agli USA i nomi dei funzionari dei due maggioro istituti elvetici è perché nel 2008 la FED ci ha comprato con una caterva di coriandoli verdi.
      Ora Obama ci chiede il conto: o i nomi o indietro i soldi della FED.
      Non è dunque una questione di governo che cala le braghe ma di un sistema finanziario e monetario talmente marcio che gli USA hanno approfittato della crisi per continuare a tenere in pugno il mondo intero. C'è poco da dar pettate: i banchieri sono degli "omuncoli" ormai servi degli americani.

  • "Non è dunque una questione di governo che cala le braghe ma di un sistema finanziario e monetario talmente marcio che gli USA hanno approfittato della crisi per continuare a tenere in pugno il mondo intero. "

    Analisi condivisibile.

    Domanda:
    Paul Ryan&Co che, se non sbaglio, sono simpatizzanti della Scuola austriaca, non giocano forse allo stesso tavolo?

    Mia risposta (di parte):
    Proclamano cose che sanno benissimo di non poter mantenere, nel classico gioco della politica della megafrottole. Vecchio, consunto ma irrinunciabile gioco finalizzato alla conquista del potere STATALE. :wink:

  • Per favore non facciamo i raffinati. Se Ron Paul incarna la dottrina in modo esemplare, Paul Ryan ne segue i principi con qualche ...scattering. Sapete benissimo che nelle dottrine le deviazioni dalla linea standard sono concesse. Purché... Ma poi è interessante l'assonanza dei nomi: Diversi ma anche molto simili. Come in politica.

    "Drastica riduzione dei programmi di assistenza sociale, in particolare per i più poveri, e significativo abbassamento dell’imposizione fiscale su ricchi e grandi aziende. Un’idea che collima perfettamente con la visione di società delineata dalla musa ispiratrice di Paul Ryan, Ayn Rand. Secondo questa intellettuale americana di origini russe il compito dello Stato era la ricompensa dei suoi cittadini più meritevoli, gli unici che permettono l’avanzamento della società. Per la Rand ogni forma di redistribuzione del reddito era moralmente sbagliata, perché punisce il merito e premia l’ignavia degli inetti che vivono alle spalle di chi è stato capace di aver successo nell’esistenza. Ryan ha più volte citato il pensiero della scrittrice di  La rivolta di Atlante/ Atlas Shrugged come uno dei motivi del suo impegno politico."

    Insomma... :wink:

    • Se sono così simili mi spieghi perché ha sostenuto Romney e non Ron Paul (che pure ha partecipato alle primarie repubblicane)?
      Non basta citare qualche pensiero di Ayn Rand per essere un libertario.

  • Buona domanda Dicolamia!
    Personalmente non saprei cosa rispondere. Tuttavia non sono così raffinato da fare distinzioni omeopatiche. Dalla mia visione grossolana vedo solo negli: liberal-oggettivisti, liberisti da liberismo classico, libertari, neoliberali e/o neoliberisti, una presuntuosa armata brancaleone, che con la scusa di ipotetiche libertà, comunque direttamente proporzionali alla ricchezza e rivendicate sotto l'etichetta dei diritti giusnaturali, vuole in fondo combattere un solo nemico: la tassazione dei redditi. Che non è totalmente scellerata l'idea, se contestualizzata. Ma m'infastidisce il corollario di frottole “Ad usum Delphini” finalizzato al consenso elettorale. Pur anco accade in quella scheggia di terra che va da Airolo a Chiasso e che fa perno su Lugano.

    • Il corollario di frottole, ad uso elettorale, di Paul Ryan infastidisce anche me :-)

      Non credo che si possa dare la patente di "libertario" a chi si mette alla corte di un Principe illuminato (Romney) in un contesto istituzionale lontano mille miglia dalla "democrazia pura" per la quale mi sto battendo da tempi non sospetti,

  • ... non vedo poi come Ryan possa sostenere la "sparata" di creare 12 milioni di posti di lavoro diminuendo le tasse, ma senza intaccare il potere della FED (e di Wall Street).
    La distanza da Ron Paul (che vorrebbe invece abolire la FED) mi pare siderale. Non si tratta di sfumature da poco, ma di differenze sostanziali.
    Probabilmente mentre Ron Paul è un medico e non ha niente da perdere da una collisione con il mondo della finanza, la stessa cosa non può dirsi di Romney.

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