“Sarebbe bello cenare con il Consiglio di Stato ma un invito… è improbabile” – Intervista a Giovanni Jelmini

Oggi la liberatv di Marco Bazzi pubblica una bella intervista al presidente del PPD Giovanni Jelmini. In via del tutto eccezionale ci permettiamo di riproporre in primo piano una nostra intervista al presidente, tuttora di attualità poiché realizzata nello scorso autunno. Anche per proporre al lettore un interessante confronto.


In questi tempi crucciati, pieni di parole dure, taglienti, amare, il presidente “azzurro” avvocato Giovanni Jelmini mantiene tutta la sua calma e risponde puntualmente a tutte le domande nel suo stile meditato e sereno: sulla situazione politica generale, sul contestato preventivo 2013, sul nuovo presidente del PLR, sui docenti arrabbiati, sulle comunali a Lugano e a Mendrisio.

Un’intervista di Francesco De Maria.


Francesco De Maria Una volta, me lo ricordo, il nocciolo della politica nel nostro paese era: il PLR contro il PPD. La rivalità, i bisticci, le guerre tra i due grandi avversari storici. Oggi le cose sono cambiate, e in ogni caso c’è un terzo incomodo invadente che reclama la scena per sé. Come vive questo nuovo – rispetto, diciamo, a 25 anni or sono – scenario?

Giovanni Jelmini Quando ho cominciato a impegnarmi in politica il cosiddetto terzo incomodo era già ben presente nella realtà politica cantonale e anche nei Comuni ticinesi. Il nostro cosiddetto avversario storico deteneva comunque ancora la maggioranza relativa a Bellinzona e nei grandi centri, ad eccezione di Mendrisio. Ora non è più così. In questo nuovo scenario i partiti di governo si equivalgono – anche se non tutti lo hanno ancora capito o digerito – e quindi sono “condannati” a confrontarsi e a trovare soluzioni condivise ai problemi del Cantone, come del resto impone il nostro sistema proporzionale.

Lei non sembra molto soddisfatto degli attuali (ma anche negli ultimi anni) rapporti del suo partito con il PLR. La nuova “configurazione” dell’ex partitone potrebbe renderli più facili? In particolare, Cattaneo potrebbe funzionare meglio di Gendotti o Pini?
GJ Pini non lo conosco bene. Con Gendotti, chiuso nelle sue ristrette idee “laiciste” e più interessato a un’alleanza con il PS, non è mai stato possibile un confronto. Con Cattaneo, che rappresenta l’area più liberale, moderata e aperta del suo partito, è possibile discutere e trovare accordi su problemi specifici. Credo che questo cambiamento farà bene al dibattito politico ticinese in generale.

Con il nuovo presidente liberale si è fatto il pranzo di Medeglia. Se fosse stato eletto Pini, si sarebbe pranzato da un’altra parte? O non si sarebbe pranzato affatto?
GJ A Medeglia c’è stato un incontro, seguito da una cena alla quale, purtroppo, non ho potuto partecipare. Non posso dire cosa avrebbe fatto Pini. Posso dire che l’incontro è stato interessante e utile; discutere con i cosiddetti avversari politici contribuisce quasi sempre a stemperare le tensioni e a trovare accordi sui temi di attualità politica utili a tutto il Cantone.

Quel pranzo già celebre è stata un’esibizione di “potere presidenziale”? È iniziato il declino del Consiglio di Stato?
GJ Non mi piace ricordare l’incontro di Medeglia in questo modo. L’incontro è stato utile anche perché i presenti hanno espresso una seria preoccupazione per la situazione finanziaria del Cantone ed hanno deciso di chiedere al CdS di proporre quanto prima misure volte a contenere il debito pubblico. Non è la prima volta che al Governo viene rivolto un tale invito; questa volta si è stati più decisi e determinati.

Al pranzo la sinistra era stata invitata? Se sì, ha fatto bene a non partecipare?
GJ Il PS era invitato come tutti i partiti di governo e in un primo tempo aveva accolto l’invito. A mio parere, ha sbagliato a declinare l’invito all’ultimo momento, tanto più che non è stato convincente nelle motivazioni. All’assenza del PS i media hanno comunque dedicato molto spazio…

Posso permettermi di domandarle qual è stato il menu?
GJ (non ero presente) [ndR: qualcuno ci può aiutare?]

Al PLR è rimasta una sola consigliera di Stato. È possibile che l’unica rimasta non vada più d’accordo con il suo partito?
GJ Diciamo che è un problema che non mi compete direttamente. Auspico tuttavia che le preoccupazioni esternate dal suo presidente di partito e concernenti le finanze cantonali vengano in qualche modo prese sul serio.

Alla domanda hanno già risposto in tanti, ora lo chiedo a lei. Perché il preventivo 2013 è un pessimo preventivo?
GJ Perché non è possibile accettare un disavanzo di quasi 200 milioni di franchi senza avere in prospettiva indicazioni precise su quanto si intende fare per invertire questa pericolosa tendenza. Senza un piano d’azione per il futuro rischiamo di trovarci confrontati in pochi anni con un debito di oltre un miliardo. Se non vogliamo trovarci nelle disperata condizione di alcuni Stati europei, costretti oggi a chiedere sacrifici insostenibili ai propri cittadini, occorre iniziare quanto prima quel sano e utile esercizio che si chiama revisione dei compiti dello Stato.

Una persona come me, abbastanza avanti negli anni, avendone viste “tante”, tende a pensare che certi ultimatum non siano da prendersi… alla lettera. Alcuni hanno subito detto che una simile “limatura” di ben 50 milioni in 10 giorni non si potrà fare. In tal caso, che cosa accadrebbe?
GJ Si può essere flessibili sulla tempistica e sul quantum. Occorrono comunque segnali tangibili e convincenti perché, ripeto, non possiamo consegnare alle prossime generazioni un Cantone con le finanze disastrate. Se questi segnali non arriveranno, è possibile ipotizzare un rinvio della discussione sui preventivi oppure un rinvio dei preventivi stessi.

Insisto. Non potrebbe finire a tarallucci e vino, con i presidenti che vanno a cena con i consiglieri di Stato?
GJ Una cena con i consiglieri di Stato potrebbe senz’altro essere utile oltre che interessante. Per l’approvazione del preventivo 2013, il disavanzo dovrà comunque essere ulteriormente ridotto, indipendentemente da un possibile, quanto improbabile invito a cena…

Di fronte alla crisi, molto grave, si assiste a una sorta di dialogo tra sordi. La sinistra grida: “Bisogna aumentare le tasse!” La destra grida: “Bisogna fare gli sgravi fiscali!” La sinistra grida: “Il servizio pubblico non si tocca!” La destra grida: “Le difese sono di tipo corporativo, sussistono ampie possibilità di risparmio”. Nessuno ascolta l’altro, ciascuno ripete all’infinito il suo messaggio, sembrano tanti dischi rotti. Come uscire dal vicolo cieco?
GJ Di fronte alla crisi tutti – politici, partiti, cittadini – devono cercare di trovare responsabilmente le soluzioni per affrontarla. Prima di pensare ad un aumento delle tasse, bisogna fare tutto il possibile per evitare gli sprechi, per individuare i servizi che lo Stato deve continuare ad assicurare ai cittadini e quelli ai quali si può legittimamente rinunciare in un momento di difficoltà finanziaria. Sono convinto che questo esercizio consentirà di contenere ulteriormente la spesa pubblica, evitando di appesantire le spalle dei contribuenti e lasciando loro quelle risorse utili anche all’economia. Come ricordava giustamente qualcuno, lo Stato non deve occuparsi dei cittadini “dalla culla alla bara”.

I docenti, colpiti dal taglio salariale del 2% (per ora una minaccia) si ribellano preventivamente e parlano di “goccia che ha fatto traboccare il vaso”. Lei dà loro ragione?
GJ Non sono solo i docenti ad essere toccati dal taglio salariale, che è una misura che non piace a nessuno perché colpisce tutti indistintamente, senza riconoscere i meriti del singolo dipendente e della sua dedizione al lavoro. I problemi e le difficoltà presenti nella scuola sono molteplici ma, a mio parere, devono essere affrontati e risolti indipendentemente dalla misura del 2%.

Lei vede i docenti come una categoria privilegiata? Se sì, in relazione a quali aspetti della loro professione?
GJ Non vedo i docenti come una categoria privilegiata, tanto più in un momento dove le condizioni nelle scuole sono più difficili. L’insegnamento è un lavoro importante e impegnativo e la formazione dei giovani è fondamentale per il futuro del paese.

Il PPD oggi ha un look compatto. Questo da un lato lo avvantaggia sul PLR, dall’altro può suonare lode per il presidente. Che cosa fa la sinistra del suo partito? È tranquilla, o lo sembra soltanto?
GJ Il PPD, come altri, è un partito cosiddetto interclassista, dove sono presenti differenti sensibilità. La compattezza è possibile quando si cerca un confronto regolare, leale e continuo e quando il rispetto e l’attenzione per le persone prevale sulle proprie opinioni. Nella dirigenza del partito sono presenti sia persone legate all’economia che persone attive nell’ambito sociale. La discussione e il confronto interni aiutano a proporre un giudizio sulla realtà più completo.

Jelmini è comunemente considerato un politico di destra moderata. In che misura lei si sente di accettare questa (magari riduttiva) “etichetta”?
GJ Non accetto le etichette proprio perché sono riduttive. Chiedere allo Stato di utilizzare bene le risorse che gli assicuriamo e chiedergli di rispettare la libertà dei cittadini e di valorizzare le loro iniziative volte a rispondere ai bisogni della società, non significa essere di destra o di sinistra. Credo che oggi questa contrapposizione tra destra e sinistra sia un po’ superata. Come ho già detto, si tratta piuttosto di capire quali sono i servizi che lo Stato deve assicurare ai cittadini e quali può delegare alla società civile; si tratta anche di riscoprire il significato autentico di alcuni termini quali ad esempio la responsabilità degli individui e delle famiglie e la solidarietà – da non confondere con l’assistenzialismo – nei confronti di chi vive un reale disagio.

Le comunali differite del 2013 di Lugano e Mendrisio si avvicinano a grandi passi. Il suo partito è pronto ad affrontare la prova?
GJ Il mio partito si sta preparando alle sfide elettorali del 2013 e a questo proposito intende presentare agli elettori persone capaci, motivate e competenti, in grado di offrire il proprio contributo alla qualità di vita e alla crescita dei propri comuni d’appartenenza.

Il PPD è forte a Mendrisio, meno forte a Lugano. Teme che la lotta “epocale” nella città ceresiana possa “rubare la scena” a tutti gli altri, danneggiandoli anche elettoralmente?
GJ Il pericolo esiste. Temo tuttavia maggiormente un altro pericolo che considero più grave e che è l’assenteismo al voto ossia l’indifferenza dei cittadini. È questa la sfida più importante e interessante: motivare e appassionare i cittadini, cercando di riavvicinarli alla politica, quale strumento per migliorare la qualità di vita delle realtà in cui vivono ogni giorno.

Il suo partito a Lugano ha ambizioni che vanno oltre la riconferma dell’uscente Angelo Jelmini? Ritiene che quest’ultimo possa essere insidiato da qualche rivale di lista particolarmente agguerrito?
GJ Come ho già detto, è solo presentando agli elettori una vera e propria scelta di candidati che si può recuperare un certo interesse per la politica e per gli appuntamenti elettorali. Le liste scontate non sono attrattive. La competizione elettorale è tale se le liste sono realmente competitive. Quando c’è competizione arrivano anche i risultati (magari non personali…)

Esclusiva di Ticinolive, riproduzione consentita citando la fonte

Relatore

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