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Vita aliena? Probabilmente un problema fuori contesto – malatempora

Detesto parlare di alieni perché trovo che tutto il contesto sia ammantato da un alone mistico che non gli attiene.

Non vedo nulla di disdicevole in una ammissione di ignoranza, ben sapendo che questa in fondo è il primo passo necessario sulla via della conoscenza. Invece in questo ambito si vuole a tutti i costi “dimostrare” per mostrare che in fondo si è detentori di (una parte di) Verità assoluta, mentre al massimo possiamo fare solo delle ipotesi.

La questione, ed i quesiti che nascono da essa, si possono ordinare come segue:
1. Esiste vita extraterrestre?
2. Esistono organismi complessi extraterrestri?
3. Esistono società extraterrestri?
4. Società tecnologiche?
5. Possono raggiungerci?
6. Con che intenzioni?

Già alla prima domanda dobbiamo fare i conti con il principio di indeterminazione, un mostruoso conflitto di interessi ed la monumentale arroganza degli esponenti della nostra specie.

Vita (noi) che indaga la vita, soggetto ed oggetto della stessa indagine, che si applichi il principio di indeterminazione è evidente, resta il fatto che quando una causa è nota si possono comunque dedurre gli effetti ed in questo caso sono comunque minimi.
Il conflitto di interessi rimane invece soggiacente per tutto il discorso, visto che non è affatto chiaro cosa noi si speri come risposta, cioè il nostro interesse.
Dell’arroganza invece ci liberiamo subito: ritenersi l’unica forma di vita intelligente nell’universo non solo è presunzione, ma stupidità. Significa anche ignorare una potenziale minaccia.

La vita esiste altrove che su terra, malgrado non sembrino ovunque date le condizioni, perché sarebbe un’incredibile coincidenza che essa fosse accaduta solo qui.
Non solo questa considerazione è altamente probabile, ma è quasi una certezza. Anche le tre seguenti domande hanno una risposta affermativa con elevata probabilità e questo ci conduce direttamente alle ultime domande che in fondo sono quelle che ci interessano realmente.
La quinta domanda, che introduce l’ultima, è veramente spinosa perché porta ad un discorso di divario tecnologico (con noi).
Noi non riusciamo a raggiungere loro e se loro raggiungono noi due cose sono evidenti e certe: esiste un divario tecnologico ed esiste pure un divario scientifico, dato che noi riteniamo la velocità della luce un limite invalicabile.
Già il divario tecnologico potrebbe schiacciarci, figuriamoci quello scientifico. Anche se i loro spostamenti fossero frutto solamente di una superiore capacità tecnologica (e non superano la velocità della luce), questo darebbe al loro viaggio solo l’agro sapore di un esodo di cui non potremmo non chiederci le ragioni.
Infatti, se degli alieni dovessero raggiungerci, dovremmo ragionevolmente chiederci le loro intenzioni. Esplorazione, turismo, commercio, benevolenza o conquista?

A prescindere dalle loro possibili ragioni una cosa continua e continuerà a turbarmi. La storia della vita sul nostro pianeta ci insegna alcune cose, prima fra tutte è che la vita ha delle regole molto selettive. La complessità di un organismo, la collaborazione (nella specie o simbiotica con altre specie), l’intelligenza e la tecnologia sono fattori di successo. Soprattutto l’intelligenza, e quindi la capacità di sviluppare metodologia e tecnologia, appartiene piuttosto ai predatori che non alle prede, perché l’apporto di risorse pregiate ha un effetto catalitico sullo sviluppo dell’intelligenza stessa.
Anche da noi infatti si dice furbo come una volpe mica furbo come un cervo.

L’elaborazione di una strategia necessita intelligenza. Certo anche la difesa necessita di intelligenza essendo una strategia anch’essa, ma alla lunga l’offesa la vince sempre sulla difesa appunto perché deve innovare e sorprendere.
Con queste premesse è quindi molto improbabile che degli alieni siano animati da quella benevolenza che molti sono convinti debbano per forza avere. Una cosa sembra non essere mai passata per la mente dei cercatori di possibili contatti extraterrestri, ovvero che la natura di questi contatti potrebbe essere alquanto sgradita.
La Storia e le fosse sono piene di civiltà scomparse perché hanno incontrato una tecnologia (o anche metodologia) sconosciuta. Penso che la definizione più calzante possa essere quella di Banks: problema fuori contesto.

“Un Problema Fuori Contesto era una cosa che la maggior parte delle civiltà incontravano una volta sola, più o meno nello stesso modo in cui una frase incontra un punto e a capo.
Di solito si illustrava la natura di un PFC con un esempio del genere: siete una tribù che vive su un’isola grande e fertile.

Avete imparato a coltivare il terreno, inventato la ruota, la scrittura e le altre cose del genere, i vicini sono vostri alleati, o sono stati ridotti in schiavitù, o comunque non danno fastidio, tutto il vostro surplus di capacità produttiva viene impiegato per erigere templi in vostro onore, siete ricchi, sicuri e potenti come i vostri sacri antenati, sia pace all’anima loro, non si sarebbero mai nemmeno sognati di poter diventare e in generale la situazione procede liscia come una canoa sull’erba bagnata… quando all’improvviso in fondo alla baia appare questa immensa zolla d’acciaio senza vele che si lascia dietro uno spaventoso fumo bianco e trasporta un mucchio di persone con strani bastoni di ferro in mano. In quattro e quattr’otto le persone con i bastoni scendono a terra e vi annunciano che siete appena stati scoperti, che adesso siete tutti nuovi sudditi dell’Imperatore, che l’Imperatore va matto per questa specie di regali che si chiamano tasse, e che questi tizi vestiti di nero dagli occhi fiammeggianti che loro chiamano preti gradirebbero dire un paio di cose ai vostri sacerdoti.
Ecco, quello è un Problema Fuori Contesto.” (Iain M. Banks, “L’altro universo”, 1997 Editrice Nord, p.70)

Per questo noi dobbiamo continuare il più possibile ad espandere il nostro contesto. Nessuno verrà a salvarci, neppure da noi stessi, dovremo farlo da soli.

malatempora

Redazione

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  • Avevo scritto un post ieri sera, ma vedo che si è perso. Non entro nel merito delle tue considerazioni. Volevo solo dare testimonianza di una mia esperienza in merito.
    Accadde nel 1978. Mi trovavo a casa dei miei genitori, in Toscana, quando mia mamma, di ritorno dal mercato mi disse che a Torrita di Siena, la sera prima, erano atterrati "i marziani" (così li chiamò). Salii subito in macchina e mi precipitai sul posto dell'evento dove raccolsi, per ricordo, un sasso annerito, come quelli che delimitano il fuoco di una griglia. Faceva parte di una corona circolare del diametro esterno di circa 1 m e di larghezza di pochi centimetri (5÷10).
    Il resto lo lascio raccontare dal protagonista dell'incontro ravvicinato del terzo tipo: un giovane normale, serio e riservato, affatto chiacchierone o contaballe (così lo definì a suo tempo chi lo conosceva). Ecco il testo di un'intervista da lui rilasciata recentemente.

    Non pronuncia mai quella parola: Ufo. Oggetti volanti non identificati. Non parla di extraterrestri, tantomeno descrive quell’ «incontro» particolare con enfasi. Semmai naturalezza, semplicità e schiettezza di chi ha metabolizzato l’evento. Eppure lui, Rivo Faralli, 57 anni, barbiere di Torrita, ne ha visto uno di Ufo. A due passi da casa della madre, che quel 14 settembre 1978 era andato a trovare. Il suo caso è stato studiato, finendo nelle riviste ufficiali del Comitato ufologico nazionale (Cun). Una storia che l’ha accompagnato per tutta la vita. «Pensa che volevano portarmi in America per fare un confronto alla luce di ciò che avevo visto — racconta nel suo negozio di Torrita stazione — ma io non volli andare. Non me la sentivo, una cosa più grande di me». Il quotidiano La Nazione lo ha intervistato.

    Tutti in paese sanno. ciò che è accaduto, ma anche che Rivo è una persona seria. Nel locale che gestisce da 38 anni, oltre alla foto della sua splendida figlia, prematuramente scomparsa, c’è l’altra grande vicenda che ha segnato la sua esistenza. «Questo disegno lo realizzò il famoso Molino — spiega — sulla base della descrizione fatta all’epoca degli esseri che vidi».

    Dove accadde?

    «In via Piè agli Orti, nella zona del Refenero. Ero uscito da casa della mamma, saranno state le 21,30. Si spense il motore dell’auto, i fari. Più che un rumore vidi una luce abbagliante, fosforescente. Cosa feci? Rimasi immobile. Pietrificato, a maggior ragione quando da questa sorta di cappello luminoso uscirono in due (non dice cosa, ndr)».

    Due esseri viventi?

    «Fluttuavano nell’aria, non erano molto alti. Sembravano avere le facce scarnite, dal casco s’intravedeva poco il volto. Girarono intorno alla mia 127, sembravano più interessati a lei che a me. Poi se ne andarono».

    Lei come riuscì a tornare a casa.

    «Frastornato. Ero in ritardo, mia moglie chiese spiegazioni. Non riuscivo a dirle nulla, ero sotto choc. Solo più tardi... Alla gente non raccontai l’accaduto, temevo di non essere creduto, che mi avrebbero preso per matto. Non andai dai carabinieri. Poi la voce si sparse e la mia vita diventò un inferno. Fu un pellegrinaggio».

    In che senso?

    «Venne ad ascoltare il mio racconto Roberto Pinotti del Centro ufologico nazionale, sentirono anche mia madre e altre persone coinvolte. Sul selciato erano rimaste tre macchie scure, come fosse stato bruciato ad una temperatura altissima. Tutti, poi, venivano a prendere quei sassi, in realtà furono analizzati dagli esperti che effettuarono anche carotaggi del terreno. Per oltre un mese bussarono alla mia porta, ad ogni ora del giorno e della notte, persone normali, da La Spezia e da altre parti d’Italia, giornali e televisioni. Fui intervistato anche da La Nazione. Tutti volevano sapere, tutti volevano che ripetessi ciò che avevo visto. Accettai di andare da Corrado».

    Ebbe conseguenze fisiche dopo quell’ «incontro»?

    «Bruciore agli occhi che poi passò. Soprattutto, per un paio di anni, ebbi paura anche a passare da una stanza all’altra. Fui portato all’ospedale a Siena perché svenivo, stavo male. Non avevo malattie, erano le conseguenze psicologiche di quell’avvenimento. Mi fecero l’ipnosi, cercarono di capire se fossi un visionario».

    Invece non era tale, neppure ubriaco.

    «Proprio no! Certo, facile immaginare che sull’accaduto è stata fatta tanta ironia, qualcuno disse che mi ero inventato tutto per ottenere pubblicità».

    Come si fa a dimenticare?

    «E’ difficile ma sono tranquillo. Ho condotto la mia vita. Certo, scordare è impossibile».Non pronuncia la parola Ufo, Rivo Faralli. In cuor suo, nonostante tutto, non riesce ancora a credere che sia potuto accadere. Proprio a lui.

    MXM
    Ceterum censeo BNS (BCE, FED ecc.) delendam esse

  • È un discorso di gestione dell'informazione, che va oltre il semplice scetticismo.

    @Dicolamia2013:
    Io personalmente sono propenso a credere alla veridicità di certe affermazioni, ma ciò mi porta ad interrogarmi (oltre che sulle lacune della nostra fisica) sulle loro intenzioni.
    Famigliola in vacanza? Esploratori? Naufraghi? Avanguardie? Studiosi? Missionari?
    Per il resto ci sono alcune deduzioni logiche che si impongono. Non sapendo, è nel nostro stesso interesse preparaci al peggio (beninteso sempre sperando ottimisticamente che non avvenga).

    Quello che a me da fastidio sono quelle persone che, loro dicono ottimisticamente, io dico stupidamente, ritengono certe le loro buone intenzioni. Guarda caso sono anche quelle che sbraitano ai quattro venti che le autorità non le tengono adeguatamente informate.
    In marina hanno un motto: bocca che parla, nave che affonda.
    Forse le autorità hanno ottime ragioni per tacere, e non siamo certamente noi a dover insegnare le virtù (sulla preparazione) della paranoia ai servizi d'informazione.

    • Ci sta tutto. Quando incrocio per strada qualche turista in vacanza è difficile sapere a priori con quali intenzioni egli mi venga incontro. Però se mi incrocio con lui negarne l'esistenza è difficile.
      Che poi l'autorità abbiano ottime ragioni per tacere lo presumo anch'io, ma non perché abbiamo da temere dagli alieni; se non non programmerebbero a così lunga scadenza la loro permanenza al potere.
      Pobabilmente sarebbe la loro autorità ad andare a farsi friggere se si spalancasse la testa alla gente. Quindi penso che tacciono per loro stessi.
      Ad ogni caso direi di attenersi ai fatti. E i fatti, inequivocabili, ci sono.

      MXM
      Ceterum censeo BNS (BCE, FED ecc.) delendam esse

  • "L’elaborazione di una strategia necessita intelligenza. Certo anche la difesa necessita di intelligenza essendo una strategia anch’essa, ma alla lunga l’offesa la vince sempre sulla difesa appunto perché deve innovare e sorprendere." (sic!) malatempora

    Mai tramontata nei liberalismi di varia fattura l'idea (anche se ampiamente superata dai fatti) che sposa l'ipotesi mandevilliana dell'egoismo predatorio: quel "meraviglioso" meccanismo di autoregolazione che si dovrebbe incaricare automaticamente di convertire la selezione neodarwinista (uomo quale animale) in pubbliche virtù.

    Che "l'offesa vinca sempre sulla difesa" è assioma spietato e fallace. Se fosse vero i cervi sarebbero estinti, il pacifismo pure scomparso dalla scena sociale e le fortificazioni difensive, solo monumenti inutili. Ma non è proprio così. Per fortuna. I rapaci velociraptor e i mansueti diplodochi sono probabilmente scomparsi insieme. Senza dimenticare che alla volpe spesso le si faceva la pel...liccia. Combattuta anche per il suo morso "rabbioso" e la propagazione della scabbia. Quindi furba e pericolosa ma in grave pericolo di estinzione. Se non ci fossero stati gli animalisti anti predazione che la difesero, e (nella sua più totale cecità predatoria) le tolsero l'impiccio e le salvarono pelliccia e pelle. Finora.

    Ci sono poi anche il mimetismo e il camuffamento. Per i rapaci è l'anticamera dello scatto predatorio. Per gli altri delle semplici strategie difensive che permettono loro di poter sopravvivere al balzo: in altri termini, una seccante necessità. Il problema sta nel significato energ(etico) speso. Qui sta il crinale separatore.

  • @openside:
    Interessante. Metti il dito sulla piaga.
    È la necessità di innovare che rende l'offesa così imprevedibile.La difesa innova solo per reazione, salvo quando adotta il motto la miglior difesa è l'attacco.
    Quanto alla pernicosità dei predatori... Un animale non si cura affatto di non sterminare una specie da cui dipende. Semplicemente nel gioco dell'evoluzione accade. La domanda pertinente è come mai anche noi non ce ne curiamo, visto che ci pretendiamo superiori.
    Forse che i serpenti bruni arrivati a Guam si sono curati dello sterminio della fauna avicola indigena?

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