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Ticino, valvola di sfogo ai problemi occupazionali dell’Italia – Lorenzo Quadri

Dobbiamo preoccuparci? Forse è il caso di sì.

Di recente si sono moltiplicati, nella vicina Penisola, gli “spot” all’indirizzo degli italiani in difficoltà. Degli spot con un messaggio chiaro: andate in Svizzera – nel caso concreto in Ticino – a cercare lavoro e benessere. Perché lì ce n’è per tutti.
Questi spot sono arrivati in maniera bipartisan, sia da destra che da sinistra. Non è certo un caso. E’ una strategia.

Dietro ai complimenti al sistema elvetico, che possono anche fare piacere, è ovvio che l’obiettivo di queste iniziative mediatiche – i due esempi più recenti li abbiamo avuti sul magazine settimanale Panorama e, televisivamente, su Ballarò – non hanno l’obiettivo di “lisciarci”.
L’Italia intende incoraggiare l’emigrazione, indicando anche delle mete. Nel caso concreto il Ticino. Che, con la libera circolazione delle persone, diventa fin troppo “facile bersaglio”.

Purtroppo, in barba ai pareri taroccati che la SECO sforna a getto continuo con l’obiettivo di nascondere dietro cifre e statistiche manipolate una preoccupante realtà, non è affatto vero che, come scrive Panorama, in Svizzera c’è lavoro per tutti.
La progressiva sostituzione di residenti con frontalieri e padroncini, e il parallelo continuo peggioramento della situazione occupazionale del nostro Cantone dimostrano l’esatto contrario.
Se il tasso di disoccupazione in Ticino appare percentualmente basso, è anche per gli indicatori che si scelgono. Intanto dall’ultimo numero di DATI emerge il progressivo divaricamento tra la disoccupazione nazionale e quella ticinese.

Per un paese, invitare i propri concittadini ad emigrare è segnale di crisi nera, oltre che di sconfitta politica. La situazione italiana è tuttavia sufficientemente grave da giustificarlo: PIL in calo da sette trimestri consecutivi, mentre perfino il Piemonte viene qualificato come “spazzatura” dall’agenzia di rating Moody’s.
Che in Italia si presenti il Ticino quale valvola di sfogo ai problemi occupazionali della Penisola, fornendo pure le istruzioni per l’uso per staccare un permesso B o G, costituisce per noi un serio pericolo.
Vediamo bene cosa sta succedendo con le notifiche dei padroncini e dei distaccati, che minacciano di raggiungere quota 38mila a fine anno. L’invasione è già in atto.

Davanti a questa situazione non si può rimanere inattivi, ma occorre tutelare il nostro mercato del lavoro. A livello federale, tuttavia, la priorità politica non l’ha la realtà del territorio, bensì il rispetto pedissequo di ogni cavillo della libera circolazione delle persone, in nome, come ha chiarito la SECO, della reciprocità.
Ma se volessimo rispettare il principio della reciprocità, e qui sta il paradosso, la libera circolazione delle persone dovremmo applicarla all’italiana, ossia non applicarla.
Nulla ci leva poi la convinzione che, se fosse (ad esempio) il Canton Berna a dover fare i conti 38mila padroncini, l’approccio federale sarebbe ben diverso.
Visto che a Berna non c’è la volontà di sostenere il Ticino, occorrerà arrangiarsi da soli. Ma in fretta, perché di tempo non ne abbiamo più.

Lorenzo Quadri
Consigliere nazionale Lega dei Ticinesi

Redazione

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  • Parrebbe che l'on. Quadri abbia raggiunto una maggior serenità di linguaggio affrontando il contenzioso frontaliero. Bene. Ma la valutazione (ahinoi) si ferma al primo scalino del problema. Omette di segnalarci che la presunta o veritiera sostituzione dei salariati indigeni con quelli frontalieri, è determinata da fenomeni impliciti nell'economia azionaria in libera concorrenza. Ricordate? "Ogni lavoratore è tenuto a competere con chiunque sul pianeta sappia fare il suo stesso lavoro." Era il ritornello enfatizzato da tutti gli antistatalisti e suggerito dagli interessati "spin" del turbocapitalismo. Così può capitare che un qualsivoglia diplomato/laureato che vive in un contesto dove vi è un forte tasso di disoccupazione, una forte precarietà d'impiego con paghe inconsistenti, rintracci (a due passi da casa in un altro contesto politico ed economico) attività (ancora) remunerate con stipendi dignitosi e agevolazioni contrattuali. Ovvio che decida con legittimo opportunismo di approfittarne. Non è casuale che in pochi decenni tutta questa ideologia legata alle opportunità lavorative si è manifestata con prepotenza sulla scacchiera economica e con il beneplacito di (quasi) tutti. Il Ticino offre questo “allettante” scenario che supera vecchie frontiere pressoché inutili, di uomini, capitali e informazioni. Inoltre la"strategia" di tentare di alleggerire ("valvola di sfogo") la disoccupazione indigena (perfino) istigando all'emigrazione fa parte del gioco politico. Ridicolo sarebbe un appunto moralistico. Alcuni Stati nordeuropei (Svizzera /Ticino compresi) sono attualmente quelli più esposti perché presentano (ancora) un livello di socialità accettabile, tanto che nell'animo dei nativi appare come un diritto acquisito. E pur vero che le condizioni di lavoro e le garanzie sociali sono frutto di un lungo lavoro politico, organizzativo e civico eccellenti, ma è altrettanto vero che oggi (codesti traguardi) risultano sempre più fragili e in balia dell'opportunismo economico. Sconquassi finanziari e migrazioni di massa segnano la rivoluzione -diciamolo- capitalista in corso, che ha lo scopo di aumentare le disparità nelle condizioni sociali di tutto il lavoro salariato. Un famoso sociologo, tempo fa, inquadrò il problema con un'affermazione pessimistica: "Allevati nella società dei consumi, molti non ancora capito la gravità della situazione che si sta profilando, e le difficoltà a cui si andrà incontro". Ora ci siamo. L'assalto alle (ultime) cittadelle di benessere condiviso, altrimenti definito welfare, è appena iniziato.

  • Uella! Tali problemi non sono quisquilie. Né pinzillacchere. O meglio le soluzioni non sono cosiffatte. In una società liberale la permeabilità delle frontiere è un principio indiscutibile: gli scambi economici devono (dovrebbero) avvenire nell'ambito di un mutuo accesso. Reciprocità! Ma siamo poi sicuri che la supposta *reciprocità* sia l’unica "parola d'accesso" applicabile in un'economia di libero mercato. Perché nel nostro caso il differenziale di costo della manodopera tra le due regioni contigue è affascinante. Che ne pensate di una nuova parola chiave in sostituzione di quella ormai scaduta... per esempio... *concorrenza*? Il costo del lavoro, sappiamo, è la pietra angolare della competizione economica. Nella Patria di Tell il costo del lavoro (che poi sono i salari) è considerato (non dal sottoscritto) troppo oneroso. Verosimilmente la Seco, condivide il mio pensiero (si fa per dire) economico. Quindi non coglie e rilancia. Perché se la concorrenza transfrontaliera a senso unico si presentasse come un'opzione calmierante delle condizioni salariali ritenute... corporative, di privilegio insomma, ecco che (in un'economia liberale) il conto torna. Che ne dite di *tornaconto* quale nuova password?

    • Interessante l'idea delle tre password. Anche se, personalmente, la competizione tra salariati, operai, manodopera, la vedo schematizzata (e mi scuso per l'abbondante semplificazione) in questa forma: nel contesto diciamo "x" la manodopera costa 100, mentre in un ipotetico contesto "y" la manodopera costa 10. Si presentano 2 possibilità: il lavoro si sposta dal contesto "x" in quello “y" (delocalizzazione) oppure la manodopera del contesto "y" si sposta nel contesto "x" (emigrazione/immigrazione). Ci sono ovviamente delle facoltà di scelta, per esempio quella in cui la manodopera indigena del contesto "x" si autoriduca il salario e rinunci ad altre garanzie sindacali. Fatti già avvenuti, per altro in ambito europeo; ma grosso modo le cose si muovo con questa logica. Se si aggiungesse inoltre un saldo demografico negativo nel campo "x" e uno positivo nel campo "y", la faccenda arriva ad assumere aspetti di ulteriore squilibrio. Le conseguenze, con le sfumature del caso sono sotto gli occhi di tutti. E come dice il mio vicino di casa (che è una persona saggia) “se le opportunità globali non vanno verso la gente, la gente andrà verso le opportunità globali”. Contingentamenti? La globalizzazione è allergica alle clausole. Anche a quelle semplicemente atte a delimitarne gli ambiti. Ci sarà pure la famosa ordinanza sui cetrioli (ord. n. 1677/88 Eur-Lex) ma neanche l'ombra sulla regolazione dei meccanismi "x" / "y". Le postille per un micro-territorio come il nostro Cantone non sono annesse negli statuti dell'economia mondializzata. Essa pensa (si fa per dire) in grande. Il dettaglio del meccanismo regionale semplicemente non esiste. Essa valuta in termini di grande politica standardizzata. E, stavo per dimenticarlo, considera i profitti. Degli investitori.

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