Da poco la Croazia ha deciso (è stata anche ammessa, ndR) di entrare a far parte dell’Unione europea. La conseguenza per noi è che la libera circolazione delle persone con questo nuovo Stato membro UE diventa un tema caldo.
La libera circolazione delle persone in Ticino ha avuto e sta avendo conseguenze molto gravi, malgrado la SECO (Segreteria di Stato per l’economia) si ostini a ripetere, contro ogni evidenza, che “Tout va bien, Madame la marquise”. Eppure tanto bene le cose non devono poi andare, se da un lato il Consiglio federale pappagalla le veline della SECO su quanto è bella la libera circolazione senza limiti, ma dall’altro applica la clausola di salvaguardia.
Fatto sta che ci troviamo ora confrontati con un nuovo partner. La Croazia, appunto. La quale, sia detto per inciso, sembra aver capito subito l’andazzo: non ha fatto a tempo a votare l’ingresso nell’ Unione europea che subito si è lanciata in un attacco al franco svizzero. Ma vediamo un po’ più da vicino il nuovo Stato membro UE.
La Croazia ha circa 4.5 milioni di abitanti, e fin qui nulla da segnalare. Ma poi arriva il bello. Il tasso di disoccupazione ufficiale della Croazia è del 18.1%, ricordiamo che la media UE è dell’11%, e da notare che in questa percentuale figurano solo persone che hanno cercato attivamente un’occupazione nelle 4 settimane precedenti. Questo significa che il dato reale è molto più elevato rispetto a quello ufficiale.
Ed infatti, sempre dalle statistiche ufficiali, emerge per la Croazia una quota di persone attive del 55.3%. Una percentuale che è bassa in maniera allarmante. Si pensi che la quota UE è del 68.5%. Ciò significa dunque che in Croazia solo il 55,3% delle persone tra i 20 ed i 64 anni esercita un’attività lucrativa di almeno un’ora (!) alla settimana. Come si possa considerare attivo/a professionalmente un uomo o una donna che lavora un’ora alla settimana, è uno dei tanti misteri dei rilevamenti statistici.
Questa cifra entra apparentemente in conflitto con il tasso di disoccupazione del 18.1% citato sopra. Si tratta, appunto, di un conflitto apparente. In realtà, dimostra solo come una grossa fetta dei senza lavoro croati sia stata espulsa dalle statistiche della disoccupazione per finire in quella dei titolari di rendite di altro tipo (che possono essere l’equivalente della nostra AI, dell’assistenza, eccetera).
Ciliegina sulla torta, che tanto “ina” non è, ed anzi più che una ciliegia è un’anguria: la disoccupazione giovanile (sotto i 25 anni), che raggiunge in Croazia la percentuale stellare del 51,8%, ossia il doppio della media UE. Solo la Spagna (56%) e la Grecia (59.2%) sono messe peggio!
Il quadro che emerge da questi pochi dati statistici è dunque desolante, per usare un eufemismo. Queste sono le caratteristiche del nuovo “partner” al quale dovremmo (?) applicare la libera circolazione delle persone. Con le conseguenze fin troppo prevedibili in termini di immigrazione; sia nel mercato del lavoro che nello Stato sociale.
E’ comunque scontato che il popolo elvetico sull’estensione degli accordi bilaterali alla Croazia sarà chiamato a dire la sua. Visto che questi accordi, malgrado i maldestri ed arroganti tentativi della SECO di negare l’evidenza, suscitano un crescente e giustificato malcontento nella popolazione – e non più solo quella delle regioni di confine che, come si è già capito, contano come il due di briscola – pensare di estenderli ad un partner con le caratteristiche occupazionali sopra citate di certo non susciterà entusiasmi.
In altri termini, il rischio di njet popolare alla libera circolazione delle persone con la Croazia è concreto, e questo potrebbe far crollare la totalità dell’accordo sulla libera circolazione delle persone. La cui presunta imprescindibilità per la Svizzera viene calata dall’alto come un dogma; ma che le cose stiano davvero così è tutto da dimostrare. Ed infatti c’è chi, anche negli ambienti accademici, comincia a metterlo in dubbio. Del resto anche l’adesione allo SEE di 20 anni fa doveva essere obbligatoria, fondamentale, indispensabile e chi più ne ha più ne metta. Si è visto come è andata a finire.
Lorenzo Quadri, consigliere nazionale, Lega dei Ticinesi
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Ma era da una vita che si sapevano questi dati sulla Croazia. purtroppo quando si vive immersi in uno schema di Ponzi è difficile accorgersi del reale problema
Ci sarà qualcuno che non si è ancora chiesto come andrà a finire? Un amico mi diceva che si potrebbe immaginare l'economia come un'entità che si muove quasi fosse posta su delle placche (zolle) tettoniche. Aree, zone, perennemente instabili. Quando queste modificandosi e muovendosi vengono in contatto, magari urtandosi l'una con l'altra, si producono delle scosse sismiche, più o meno forti. Chi si trova nelle zone di contatto diventa vittima dell’indesiderato fenomeno. Il Ticino viene proprio a trovarsi sul margine di una (superata) placca, diciamo, geoeconomica. Da una parte il mediterraneo e dall'altra il nordeuropa: un contesto economico rischioso seppur attraente. Quando gli Stati contavano, non vi era nessun rischio. Ognuno al suo posto, le zolle stavano ferme. Ancorate alle singolarità nazionali. Il termine "Canton" era chiaro: "Canton" citta della Cina, non era assimilabile al "Canton" Ticino. Ora, con la deriva economica dei continenti, il magma ondeggia, scuote le aree sicure, le certezze vacillano. In effetti stiamo affrontando un terremoto sociale mondializzato, alla radice del quale c'è il potere economico, sganciato da ogni dovere civico, e appoggiato da politiche complici del catechismo "modernista". "L'interdipendenza generalizzata, la disoccupazione strutturale in vaste zone del continente, le asimmetrie demografiche e la pressione delle imprese, favoriscono in un modo o nell'altro l'entrata e l'utilizzazione di manodopera economicamente opportuna. Inoltre tre decenni di turbofinanza hanno avuto quale unico scopo quello di ristabilire il primato del capitale su quello del salario." (mykanban). Parossismi economicistici. Bisognerebbe costruire un'economia indigena antisismica.
Fatemi sapere.
La notizia di ieri sul possibile ristagno e crescita zero nel prossimo semestre, dice il contrario dell'ottimismo a tutti i costi. È la prova che non bisogna mai gioire della povertà degli altri, che può anche travolgerci......
Il declino degli Stati "integerrimi" iniziò negli anni ottanta. Il neoliberismo imperante, il capitalismo finanziario, il market system, la free enterprise: "Esistono solo individui e solo relazioni di mercato" disse la signora di ferro. E oggi appunto ci sono solo individui. Delusi, irritati, frustrati. La truffa si è manifestata. Gli Stati probi sono uguali agli stati in default. Non c'è alcuna differenza. Tutto azzerato. Reset. Chi non trova lavoro nel suo ambito va a cercarlo in altri contesti. Popoli in continua migrazione tra settori economicamente estinti e settori attrattivi. Settori, contesti, zone, non Stati! Inutile oggi definire uno Stato migliore/peggiore di un altro. Un discorso che ha perso ogni significato concreto. Stato formica oppure Stato cicala? Tipologie ridicole. Le opportunità maggiori si presentano, probabilmente, a chi emigra da un contesto-cicala in crisi. Più disponibilità, più combattività, maggiore motivazione, un raffinato acume appreso anche per sopravvivere. Un individuo portato al successo. Per gli indigeni dell’integerrimo contesto-formica-ricevente una concorrenza micidiale.
Ho riproposto una parte di un post già... postato, perché, tutto sommato, le dinamiche si ripetono. Anche le tardive lamentele dell'on. Ghisletta ("sull’arma a doppio taglio della liberalizzazione economica") dovranno prima o poi, tener conto degli scenari attuali così come la liberalizzazione economico-finanziaria vuole fatalmente imporre. Già Giddens, ispiratore della politica economica di Blair, avanzava timidamente l'idea dello Stato minimo per lasciar posto alle "qualità" individuali. Oggi siamo all’esaltazione di tali concetti. Un mercato, in senso lato, di individui in perenne concorrenza. Dalla culla alla tomba.