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I giochi dei partiti sulla “Lex USA” – di Gianfranco Soldati

[fdm] Riguardo al contenuto di questo interessante articolo mi permetto unicamente di far notare che il periodo evidenziato in grassetto coincide – parola per parola – con l’opinione di un molto considerato maître à penser, che porta il nome di un imperatore romano.

Le maniere del Go­verno statunitense di imporre la sua volontà in materia di fiscalità sono da sempre caratteriz­zate da prepoten­za irriguardosa, con considerazio­ne assolutamente nulla di leggi di paesi democratici terzi che non con­vengano alla potenza (ancora) egemo­ne. Nel mirino di Washington si trova­no attualmente le nostre due grandi banche, parecchie banche cantonali e alcune importanti banche private, che dovranno elaborare e probabilmente già hanno elaborato le loro strategie difensive.

Una banca, la Wegelin, ban­ca privata più anziana della Svizzera, già ci ha lasciato le penne, costretta a svendersi in patria e all’abbandono delle attività americane. La nostra ministra delle finanze, vero e proprio Giuda in gonnella per quel che concerne l’impalcatura etica, aveva escogitato un piano machiavellico, ap­punto la Lex USA, per cedere e conce­dere agli USA tutto quel che si poteva concedere senza che il popolo sovrano potesse interferire con un referendum. Era una legge mostruosa per più moti­vi: dispregio assoluto delle norme e dello spirito democratico, messa fuori­legge per un anno di leggi vigenti, ter­mine di un anno di validità scelto ap­positamente per scaricare il popolo sovrano, graffio profondo all’indipen­denza e sovranità nazionali.

Respinta dal Consiglio nazionale, accettata con 26 sì, 18 no e 1 astensione dal Consi­glio degli Stati, la proposta del nostro Giuda in gonnella, che già aveva pro­vocato le dimissioni del nostro incari­cato delle trattative con gli USA e se­gretario di Stato Michael Ambühl, è stata poi definitivamente affossata il 19 giugno dal Consiglio nazionale con 123 no, 63 sì, 4 astenuti e 9 assenti. Questa votazione è stata condizionata da manovre e bassi interessi partitici che dovrebbero far arrossire anche un pellirossa morto e congelato. I media nazionali, elettronici e stampati, si so­no guardati bene, come spesso fanno, dall’informare correttamente il popoli­no. Vediamo di far chiarezza.

La ministra delle finanze sperava ed era convinta di spuntarla con il suo progetto di legge ad hoc contando sul suo partitucolo e sugli interessi dei partiti borghesi che l’avevano eletta in complicità con il PS a scapito del can­didato uscente, Christoph Blocher, del maggior partito svizzero, l’UDC-SVP, nel 2007. In particolare il PPD-CVP, diretto da quella volpe furbissima («si­cut vulpis callidissima» dicevano i ro­mani) di nome Christophe Darbellay, un vallesano di capacità e furberie tat­tiche incredibili che mai indovina una strategia, si sarebbe e si è schierato con lei. Nel Consiglio degli Stati, dove il PPD-CVP è chiaramente sovrarappre­sentato, per motivi che non possiamo addurre nello spazio di un articolo, il partito di Darbellay ha condizionato il sì alla ministra.

Anche nel Consiglio nazionale le ha accordato sostegno in­defettibile, con due sole eccezioni, L. Barthassat (Ginevra) e J. Neirynk (Vaud). Come mai? Semplicemente perché la ministra vuole farsi rielegge­re per la terza volta nel 2015, ma sa­rebbe disposta alle dimissioni nel 2017, dando così la possibilità al partito pre­sieduto dal vallesano furbo di ricon­quistare il secondo seggio a scapito del PLR-FDP (dando per scontata la scomparsa del partitucolo ad perso­nam della ministra, che si prevede – o si spera, come Darbellay – possa venir riassorbito in toto dai social-cristiani). Un esempio demoralizzante di preva­lenza di interessi partitici sul chiaro (così chiaro da potersi dire luminoso) interesse nazionale di salvaguardia della propria dignità.

E i parlamentari ticinesi a Berna come hanno votato? No alla lex USA Abate, Carobbio, Cassis, Rusconi, Pantani e Quadri, assente Pelli, Lombardi presi­dente non vota. E Regazzi e Romano? Un sì per disciplina di partito, in osse­quio al piano tattico furbesco (ma controproducente) del loro presidente? O forse, come vorrei sperare, un’asten­sione? La speranza e più ancora la pretesa di ricuperare, mediante tattici­smi e furberie, il secondo seggio nel Governo quando non si dispone del necessario consenso popolare, sono in­dice di una preoccupante carenza di sensibilità democratica. Sul piano na­zionale, credo, la discesa sotto il 10% non sia lontana. Un tempestivo cam­biamento del presidente nazionale PPD-CVP si impone.

Gianfranco Soldati, presidente onorario dell’UDC Ticino


Relatore

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