22 settembre – “Iniziativa insidiosa e ipocrita” – Intervista al col. Mattia Annovazzi

Oggi accogliamo nel salotto di Ticinolive una personalità importante, niente meno che il coordinatore della campagna contro l’iniziativa della sinistra (cioè, in sostanza, in favore del nostro Esercito) col. Mattia Annovazzi. Per quanto riguarda la profondità, la completezza e l’incisività delle risposte – mi sento di dire – egli fornisce una prestazione veramente di alto livello. Il lettore potrà giudicare da sé.

Un’intervista del prof. Francesco De Maria.


Francesco De Maria Lei teme la votazione del 22 settembre?

Mattia Annovazzi    Certamente, l’iniziativa è insidiosa e ipocrita. In realtà essa vuole sradicare un modello di successo, il principio di milizia svizzero, dalla popolazione e dal territorio. Il principio di milizia, insieme alla democrazia diretta e al federalismo, distinguono la Svizzera dagli altri paesi. Il principio di milizia non è un accessorio trascurabile, magari legato a qualche contingenza pratica o storica, ma è un elemento di stampo repubblicano di controllo civile delle istituzioni e di limitazione del monopolio della forza dello Stato. Anche per tale ragione, questo principio organizzativo è sancito nella Costituzione federale.

Inoltre, anche se apparentemente i sostenitori dell’iniziativa parlano soltanto di esercito, in realtà, l’iniziativa danneggia tutta la politica di sicurezza della Confederazione, indebolendo radicalmente la capacità di risposta e di reazione del paese e della società civile di fronte a crisi, catastrofi e conflitti. Le conseguenze interesserebbero in ugual misura l’esercito, la protezione civile, il servizio civile e la collaborazione/le sinergie di tutte queste istituzioni con i partner della sicurezza cantonali e comunali.

Io e altri sosteniamo che il cittadino deve assumersi, volente o nolente, anche un ruolo di responsabilità nell’ambito della sicurezza collettiva del paese, conformemente al modello repubblicano che informa la Confederazione elvetica, fondato sul senso civico. A questa visione si oppone quella della maggior parte degli Stati che ci circondano fondati su un modello di Stato che affonda le sue radici in una filosofia libertaria, che sostanzialmente fa della libertà individuale il principale valore politico, ponendola al di sopra dell’interesse comune. E questa sarebbe la tanto decantata necessità di adattamento ai tempi?
No, grazie, non abbiamo bisogno di appiattirci su modelli altrui.

È un passaggio pericoloso. Ma… una campagna propagandistica ben organizzata non potrebbe addirittura giovare all’esercito? I cittadini svizzeri lo conoscono sufficientemente bene?

MA   Le informazioni sull’esercito non mancano e chi vuole confrontarsi in modo serio con l’istituzione “esercito” può sempre farlo. Ciò detto, non ritengo che questa iniziativa permetta un simile esercizio, dato che non costruisce nulla, ma si limita a distruggere valori generali e istituzioni svizzere, che a nostro parere dimostrano ancora oggi tutta la loro validità. La situazione (peggiore) degli Stati che ci circondano ne è la testimonianza più flagrante. Per tornare all’iniziativa, essa non permette di discutere o informarsi correttamente e serenamente su questi temi.

Ritengo che non spetti a noi, militari di milizia, condurre campagne di informazione sull’esercito. Ma quali cittadini responsabili è importante attivarsi per ricordare che l’esercito è del popolo e per il popolo e, dunque, deve restare saldamente sotto il suo controllo. Ciò detto, da un punto di vista generale, l’esercito ha certamente margini di miglioramento per spiegare al cittadino quanto sa fare e quanto può fare per la sicurezza del nostro paese.

Può raccontarci, senza svelare troppi segreti, come vi siete preparati a combattere questa cruciale battaglia?

MA   Abbiamo costituito un comitato interassociativo, cercando di lavorare “in rete”, a livello svizzero con il comitato nazionale e a livello cantonale con tutti i portatori di interessi che condividono i nostri orientamenti e i nostri valori. Il tutto è partito nel mese di dicembre dell’anno scorso, quando abbiamo cominciato a raccogliere i fondi per condurre la campagna. Quindi abbiamo lavorato a progetto per realizzare i prodotti che a nostro parere possono essere più efficaci sotto il profilo dei contenuti e della comunicazione.

Lei pensa che gli iniziativisti possano avvantaggiarsi additando al cittadino elettore ciò che si è fatto in altri paesi?

MA   Non dovrebbe essere così. Non esiste un modello paragonabile a quello Svizzero attuale, come non esiste in alcun paese quello proposto dagli iniziativisti. Nella maggior parte dei paesi da loro citati – paesi, che contrariamente alla Svizzera o all’Austria, dispongono di un bacino di reclutamento molto più grande – poi, non vi è stata un’abolizione dell’obbligo di leva, ma soltanto una sospensione. Una grossa differenza pratica e giuridica, quindi, per quanto riguarda un’eventuale riattivazione di questo obbligo. Citare poi parametri a vanvera, quando corretti – trascurando bellamente il quadro politico, istituzionale, storico ed economico dei vari paesi – è uno esercizio di disinformazione poco decoroso, a cui purtroppo assistiamo da tempo da parte dei sostenitori dell’iniziativa.

L’obbligo di servire è contrario a un principio di libertà?

MA   In Svizzera nessuno può seriamente sostenere di vivere in un paese non libero, perché nell’arco della sua vita è obbligato a prestare qualche centinaio di giorni di servizio nell’esercito, nella protezione civile o nel servizio civile, in favore della comunità. L’impostazione per cui a diritti “a go go”, si vuole far corrispondere doveri “à la carte” non ci appartiene. Non va dimenticato che è nell’interesse pubblico di tutti far sì che la sicurezza del paese e della popolazione sia effettiva e possibile. Questa iniziativa mina le basi della nostra sicurezza. E senza sicurezza non vi è libertà.

L’obbligo di servire discrimina gli uomini rispetto alle donne? Non è contrario al principio della parità tra i sessi?

MA   Il principio della parità di trattamento non è fine a sé stesso. L’obbligo di servizio è stato ed è concepito in modo tale da rispondere alle esigenze di sicurezza del paese. La parità di trattamento va quindi contemperata con le esigenze legate alla sicurezza nazionale. Gli iniziativisti non hanno mai potuto citare una decisione di un tribunale svizzero o della Corte europea dei diritti dell’uomo che abbia accertato l’esistenza di una discriminazione perché l’uomo fa militare e la donna no, e questo perché, semplicemente, di queste decisioni non ve ne sono.

L’esercito ha vissuto anche degli scandali, come ad esempio il famoso “caso Naef”. Ogni tanto deve pur succedere. Pensa che questi ne abbiano compromesso l’immagine?

MA   Ogni scandalo è negativo per l’istituzione che lo subisce. In una società mediatizzata il danno di immagine ha un impatto sempre più importante sulla considerazione di un’istituzione nell’opinione pubblica. Tuttavia, non bisogna dimenticare che dietro alle strutture organizzative vi sono semplici uomini e donne che lavorano e quindi sbagliano. L’esercito, le sue formazioni, sono essenzialmente composti di cittadini-soldati, in altre parole non è fondamentalmente altro che un’estrazione della nostra società, con i suoi pregi, le sue debolezze. Inoltre, un adeguato livello di comando e di controllo oggi giorno non è più finanziariamente sostenibile, ragione per cui nelle aziende pubbliche e private – in particolare quelle di grandi dimensioni e caratterizzate da strutture e processi di lavoro articolati e complessi – occorre fare i conti con problemi di questo tipo. Singoli casi non pregiudicano mai un’intera istituzione. Anzi, ciò che conta è la capacità di queste organizzazioni di saper tirare le conseguenze dai propri errori. Proprio nel caso Naef, l’esercito ha saputo trarre e implementare i necessari insegnamenti, per cui in ultima analisi ha dimostrato di saper correggere e di saper migliorare. Non è per tutti così.

L’esercito svizzero negli ultimi anni si è progressivamente ridotto nelle sue dimensioni numeriche. Può illustrarci in sintesi le varie tappe di questa “cura dimagrante”?

MA   A grandi linee le tappe sono state le seguenti:
Esercito 61: 625 000 militi
Esercito 95: 400 000 militi
Esercito XXI e concetto 8/11: 200 000 militi
Ulteriore sviluppo dell’esercito: 100 000 militi

Sottolineo che tutt’altra questione è quella di sapere qual è l’effettivo che presta giornalmente servizio (in media 5000 militi, senza le scuole). Questo è il numero determinante per comprendere l’impatto concreto dell’obbligo di servizio oggi. Il totale dei giorni di servizio prestati all’anno è plafonato a 5 milioni di giorni, il che corrisponde a molto meno del 1% del totale dei giorni di lavoro prestati dalla popolazione attiva.

Per quale motivo un esercito di puri volontari non sarebbe accettabile?

MA   Un esercito di puri volontari non è accettabile perché, per l’esiguità del numero di militi, non garantirebbe alcuna sicurezza. Non si vede come questi pochi militi potrebbero svolgere tutti i compiti affidati all’esercito dalla Costituzione federale, compiti che l’iniziativa non contesta.

Nel contempo, non è accettabile semplicemente perché un esercito di puri volontari non funziona. Per restare alle notizie di questi giorni – qualora vi fosse stato bisogno di una dimostrazione pratica – va sottolineato che in Germania il modello adottato per i militi volontari è fallito: in sintesi, troppo pochi candidati, troppi militi che hanno interrotto prematuramente il servizio (25-30% nei primi 3 mesi), ma anche tempi di servizio troppo brevi. È quindi evidente – e lo deve essere, al più tardi ora, anche per i sostenitori dell’iniziativa – che il modello proposto è un inganno e un’illusione.

Aggiungo che l’esercito non potrà mai competere ad armi pari con l’economia privata o il settore pubblico nel mercato del personale, semplicemente perché già gli iniziativisti stessi sarebbero contrari a mettere a disposizione i mezzi necessari o a creare le condizioni perché l’esercito possa acquisire risorse umane di pari qualità. Senza considerare che nel nostro paese contiamo al momento con un grado di occupazione molto elevato, e la Svizzera, nonostante l’obbligo di leva, risulta essere una delle prime nazioni a livello mondiale in termini di produttività, innovazioni, prodotto interno lordo pro-capite.

Senza poi dimenticare che il sistema proposto sarebbe addirittura discriminatorio per i pochi volontari che si mettessero a disposizione. Diminuirebbe rapidamente nella società l’accettazione delle assenze per servizio militare. Peggiorerebbe il contesto sociale complessivo per prestare servizio. Si assisterebbe come in Germania a un levato numero di rinunce e di defezioni. In sostanza, le conseguenze della scelta di prestare servizio ricadrebbero interamente sul singolo individuo e sarebbero tali da disincentivare chiunque; questo a fronte di prestazioni fornite, comunque, in favore di tutta la collettività. Ciò dimostra come il tema della discriminazione sia trattato in modo quantomeno disinvolto da parte degli iniziativisti.

Per quale motivo un esercito di soli professionisti non sarebbe accettabile?

MA   In Svizzera, per motivi giuridici, culturali e politici, un esercito di professionisti non è un’opzione praticabile. Un esercito di soli professionisti, inoltre probabilmente più costoso di quello attuale già in situazioni normali, si concentrerebbe unicamente sulle competenze di difesa; verrebbero così meno tutte le altre e importanti prestazioni che l’esercito garantisce attualmente, come l’intervento in caso di catastrofi e l’assistenza alla popolazione e alle autorità civili. Quello che, poi, caratterizza il nostro esercito è proprio il sistema del cittadino-milite, ovvero l’equilibrio tra civile e militare. Trasferimento di conoscenze ed esperienze tra la vita civile e militare e viceversa, e controllo democratico esercitato direttamente dal cittadino che presta servizio. Con un esercito di professionisti questi valori andrebbero persi. Inoltre, i professionisti sono troppo pochi in situazioni straordinarie e sono troppi in situazioni normali. La scalabilità (o modulabilità) a seconda della minaccia e degli impieghi e la polivalenza sono i punti di forza del nostro esercito, anche dal profilo del contenimento dei costi.

Le truppe le organizzano gli ufficiali… ma i fondi li stanziano i politici. Di quale budget minimo abbisogna l’esercito svizzero nella sua composizione attuale?

MA   Preciso che gli ufficiali prestano servizio, e si assumono compiti di responsabilità, mentre le truppe le organizzano le autorità competenti; il legislatore a livello di struttura e compiti, rispettivamente, il dipartimento preposto, il DDPS, a livello di organizzazione. Ciò premesso, sul tavolo c’è la decisione del parlamento che prevede un effettivo di 100 000 militi e un budget di 5 mia di franchi. Tuttavia, la mia impressione è che negli ultimi anni il livello politico prende decisioni sull’esercito basandosi su parametri finanziari, e solo in seconda battuta si preoccupa – quando lo fa – del profilo di prestazione che l’esercito deve fornire. Il processo corretto dovrebbe svolgersi all’inverso, non solo dal profilo tecnico, ma anche perché il livello politico è comunque responsabile di fronte ai cittadini delle decisioni prese, che limitando le risorse o sottovalutando i rischi, compromettono la capacità dell’esercito di rispondere adeguatamente alle missioni sancite dalla Costituzione federale.

Qual è la sua opinione sull’acquisto dei nuovi aerei da combattimento?

MA   La sovranità sullo (e la protezione dello) spazio aereo è fondamentale per il controllo del territorio e la protezione della popolazione. Ciò detto, non conosco a sufficienza il dossier “Gripen” per poter esprimere un’opinione.

L’esercito è oculato nello spendere o, al contrario, non si preoccupa di risparmiare? (sovrabbondanza di materiale, sprechi ed errori nella gestione informatica, alti stipendi elargiti a professionisti, ecc.)

MA   Come in ogni grande organizzazione complessa – in specie anche legata a influenze di matrice politica, che a volte impediscono di prendere decisioni che potrebbero condurre a una gestione più efficiente delle risorse – possiamo trovare facilmente numerosi esempi di eccellenza. Il punto è che questi esempi, purtroppo, non fanno notizia. Infatti, l’unica differenza che c’è tra l’esercito, e più in generale l’ente pubblico, rispetto all’economia privata, sta nel fatto che gli errori e i malfunzionamenti nel pubblico sono impossibili da occultare e i media ne danno subito notizia, normalmente in modo amplificato. Per quanto riguarda la mia esperienza sin qui, posso affermare che nel complesso la gestione delle risorse è attenta e oculata.

A suo giudizio i partiti borghesi (PLR, PPD, UDC) appoggeranno incondizionatamente l’esercito nel corso di questa campagna elettorale?
O potrebbero “sfilacciarsi” (PLR, PPD) sulle loro ali sinistre?

MA  Per me è stato chiaro, sin dall’inizio, che la questione non si sarebbe risolta assolutamente in uno scontro tra destra e sinistra. La considerazione sull’esercito dipende molto dalla percezione individuale del singolo cittadino, che può essere influenzata da molti fattori, non soltanto partitici.

L’esercito svizzero di milizia ha un significato e un valore morale ai suoi occhi? O costituisce soltanto la soluzione più “pratica” al problema della difesa del Paese?

MA   Prestare servizio significa entrare in contatto con una serie di valori generali – non soltanto tipicamente svizzeri e identitari o unicamente militari – che meritano di essere conservati. Confronto e integrazione tra culture, lingue e strati sociali; conoscenza del/azione sul territorio in cui viviamo, lavoro in gruppo a favore della popolazione, disciplina/autonomia/responsabilità nel medesimo tempo, partecipazione personale, solidarietà e senso per la comunità. L’esercito svizzero tutela poi il capitale formativo, il capitale sociale, culturale e istituzionale, e sempre di più anche il capitale ambientale, nonché il capitale di fiducia del nostro paese. Si tratta di valori difficilmente quantificabili, ma non per questo meno importanti. La tutela di questi valori – in ogni e qualsiasi ambito dove vengono promossi – già giustifica, di per sé, un chiaro NO all’iniziativa, a prescindere da ogni altra considerazione.

L’ultima domanda giunge un po’ a tradimento (in cauda venenum). Qual è, a suo avviso, il più incisivo argomento di cui dispongono gli iniziativisti? Dunque il più pericoloso per voi, sostenitori dell’esercito?

MA   L’argomento più pericoloso consiste nell’affermazione che l’obbligo di servizio è una perdita di tempo e che le nuove minacce richiedono altre soluzioni.

Incisivo, non perché il primo argomento in sé sia fondato – visto che il servizio reso in favore della collettività ha un valore inestimabile – quanto perché si cerca di ridurre il tema dell’obbligo di servizio a una questione squisitamente individuale, di cui nella migliore delle ipotesi ci si può occupare se proprio non c’è nient’altro da fare e che può essere delegata a terzi, come se il contributo del cittadino nella nostra società e nello Stato potesse limitarsi a considerazioni, di natura utilitaristica, del tipo “mi serve o non mi serve”. Questa logica è pericolosa, non soltanto nella discussione sul tema specifico, dato che riguarda un approccio complessivo dell’individuo verso le esigenze e i problemi della società e dello Stato.

Il secondo punto in realtà è tautologico. Il cambiamento è una costante della storia dell’uomo in tutti gli ambiti. La vera sfida consiste nella gestione della complessità, che non si risolve eliminando o spostando questo o quello. Ciò vale anche per l’approccio miope, privo di ogni prospettiva e mai sistemico, proposto dai sostenitori dell’iniziativa sul problema della minaccia. È come dire, ad esempio, che siccome oggi si combatte usando armi che possono colpire a migliaia di chilometri, nessuno può più morire in un conflitto per un accoltellamento. Oppure è come dire che siccome oggi si conduce la guerra elettronica o sul piano delle operazioni di informazione, allora le questioni legate alla protezione della popolazione e alla stabilizzazione del territorio e delle condizioni di esistenza in una situazione di conflitto non sono più di alcuna attualità. In realtà, una cosa non esclude l’altra. Con riguardo all’ultimo esempio, ritenuto che oggi giorno quasi tutto funziona grazie a computer (approvvigionamenti di qualsiasi natura, ospedali, infrastrutture critiche, sicurezza, borsa, prezzi, denaro virtuale ecc.) sarebbe finalmente tempo e ora di sapere come i sostenitori dell’iniziativa pensano di risolvere, perlomeno, le conseguenze – sulla vita pratica di tutti i giorni delle persone – di danneggiamenti o malfunzionamenti provocati nei computer o di eventuali panne elettriche prolungate. Quali sono le risposte degli iniziativisti per gestire l’urgenza in una situazione straordinaria? Non è dato di sapere. È invece un fatto incontrovertibile che gli iniziativisti vogliono eliminare l’unica riserva di sicurezza di cui dispone la Confederazione.

Anche di fronte a questa deriva utilitarista e a questi tentativi di gretta banalizzazione della minaccia, invito tutti i cittadini che hanno a cuore la sicurezza del paese e della popolazione a votare un convinto NO all’abolizione del servizio militare obbligatorio.

Esclusiva di Ticinolive. Riproduzione consentita citando la fonte.

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