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Turchia : come passare da paese senza problemi a paese senza più alleati

Non molto tempo fa la Turchia sembrava aver trovato la formula del successo in materia di politica estera – semplice e concisa : “Zero problemi con i paesi vicini”. Una politica vantata sia a livello nazionale che internazionale.

Oggi, all’indomani delle rivoluzioni della Primavera araba, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan ha tagliato i ponti che lo collegavano al regime militare egiziano, se l’è presa con le monarchie del Golfo per il loro rifiuto di sostenere il presidente destituito Mohamed Morsi e si è lanciato in una guerra verbale con Israele, che accusa di aver collaborato al colpo di Stato in Egitto.
Turchia e Egitto hanno richiamato in patria i rispettivi ambasciatori e Erdoğan ha pubblicamente criticato il nuovo governo del Cairo : “Fra Bachar el-Assad e Abdel Fattah al-Sissi, (il capo dell’esercito egiziano, ndr) non vi è alcuna differenza – aveva dichiarato a metà agosto – Il terrorismo di Stato sta arrivando in Egitto.”

Qualche giorno dopo questa dichiarazione, Erdoğan portava Israele nel conflitto, accusandolo di essere dietro il colpo di Stato che al Cairo aveva destituito il presidente Morsi.
La prova, argomentava il premier turco, si trova in un video del 2011 dove si vede l’ex ministro israeliano degli affari esteri Tzipi Livni discutere della Primavera araba con il filosofo francese Bernard-Henri Lévy.

Gli specialisti della Turchia hanno iniziato a chiedersi se con una simile enfasi Erdoğan non stesse sabotando l’efficacia del suo metodo. “La Turchia ha fatto quello che c’era da fare deplorando il golpe militare in Egitto – ha spiegato un ex alto responsabile della diplomazia turca – ma all’interno della comunità internazionale si è anche messa dal lato sbagliato.
Ankara avrebbe dovuto far pesare la sua influenza ben prima della caduta dei Fratelli musulmani. La Turchia ha messo troppo l’accento sul successo del processo democratico in Egitto, senza vedere gli errori commessi dal regime di Mohamed Morsi.”

In realtà va detto che era questione di tempo prima che cadesse la strategia del “zero problemi”. Per non avere problemi si deve star fuori dalle questioni domestiche degli altri paesi e anche far prova di molta indulgenza nei confronti dei paesi più influenti.
La Turchia aveva tenuto la bocca chiusa di fronte alle violenze post elettorali in Iran nel 2009, aveva tessuto legami con la Siria di Bashar al Assad prima della sanguinosa rivolta e affinchè gli uomini d’affari turchi ottenessero contratti commerciali presso il regime libico, in Libia Erdoğan aveva volutamente ignorato il non rispetto dei diritti dell’uomo da parte del colonnello Gheddafi.

Una politica di non-ingerenza messa da parte con l’arrivo delle rivolte della Primavera araba. Questo non riguarda solo l’Egitto, dove la Turchia è ormai considerata un protagonista di parte e non un intermediario neutro.
In Irak il governo turco ha apertamente sfidato il primo ministro Nouri al-Maliki, accusandolo di attizzare i conflitti religiosi e di negoziare in maniera arbitraria contratti per l’estrazione di petrolio in Kurdistan.
In Siria ha offerto sostegno illimitato ai ribelli, lasciando loro il campo libero sul territorio, chiudendo gli occhi sulle loro atrocità e criticando gli Stati Uniti che hanno qualificato di gruppo terrorista i djihadisti di Jabhat al-Nosra, legati a al Qaeda.

Erdoğan ha anche problemi di politica estera in altre regioni. In Occidente l’immagine della Turchia ha preso un brutto colpo quest’estate, con le manifestazioni al parco Gezi.
La decisione del premier di attaccare i manifestanti con la polizia anti-sommossa ha reso fragile il legame con l’Unione europea. Alla fine di giugno, subito dopo la repressione del movimento di protesta, Bruxelles aveva deciso di rinviare all’autunno i negoziati sull’adesione della Turchia all’UE. Dagli Stati Uniti sono giunte anche severe critiche.

La Turchia ha fatto ben poco per rimediare ai danni. Al contrario, i responsabili turchi hanno continuato ad accusare i paesi occidentali di aver orchestrato le manifestazioni e diverse “forze oscure”, quelle che Erdoğan chiama le lobby internazionali “dei tassi d’interesse”, di averle finanziate.
Il nuovo consigliere del premier, Yiğit Bulut, non ha avuto scrupoli nel qualificare l’UE di “organizzazione fallita, vicina al crollo totale”.

Oggi la Turchia rischia di tornare alla situazione degli anni 1990, quando vi erano numerose tensioni fra i paesi arabi e europei, quando le teorie di complotto avvelenavano il dibattito politico e i turchi – convinti di vivere in un paese sotto assedio – si ripetevano all’infinito che la Turchia non aveva amici. Erdoğan ha visibilmente fatto uscire il suo paese dalla situazione “zero problemi” per farlo entrare nel mondo dei problemi internazionali, sicuramente per molto tempo.

(Slate.fr)

Redazione

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