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“Siamo vittime di una mentalità collettivista!” – di Stelio Pesciallo

Articolo pubblicato nel Corriere del Ticino del 21 novembre scorso.

«Abbiamo bisogno di una Svizzera diversa?» si chiedeva in un articolo apparso sul «Corriere del Ticino» l’avvocato Tito Tettamanti con riferimento alla tendenza a volere estendere l’intervento statale e a restringere lo spazio di autonomia nell’attività delle imprese soprattutto anche a seguito delle iniziative socialiste sul tappeto e che saranno prossimamente sottoposte in votazione popolare.

La domanda è legittima se si pon mente alle conseguenze che simili inziative riserverebbero sia all’attività delle imprese, piccole o grandi che siano, sia agli interessi degli individui a potere contare su un sistema economico efficace e su un sistema politico il più possibile rispettoso delle autonomie individuali.

Ma questa domanda mi induce a pormene altre, che si situano a monte di questa, e cioè se si possa ancora definire il nostro sistema come liberale, vale a dire incentrato sull’individuo e le sue potenzialità, e se coloro che si definiscono paladini del liberalismo, anche nel nome del partito che rappresentano, non abbiano favorito l’insorgere di una tendenza sempre più statalista, vuoi per disinteresse, vuoi per conformismo mentale, vuoi perché distolti dal perseguimento di interessi contingenti e di comodo, tanto da potere dire che l’humus sul quale maturano le più recenti iniziative da parte dei movimenti di sinistra sia stato predisposto e coltivato da anni di politiche socialiste praticate da chi si è sempre definito liberale e difensore del sistema del libero mercato.

È un dato di fatto che soprattutto negli ultimi cinquant’anni la quota dello Stato, a tutti i livelli (Comuni, Cantoni e soprattutto Confederazione, che con la centralizzazione dei compiti compromette i vantaggi di una struttura federalistica) sia cresciuta e di converso sia diminuito lo spazio di autonomia riconosciuto all’individuo, il quale si vede sempre più costretto nelle maglie di una legislazione che si vuole occupare di tutto e impone al cittadino una condotta sempre più costringente in tutti i settori della sua attività, dall’educazione alla vita familiare, dalle iniziative in campo economico all’attività sul territorio, dai rapporti con gli altri individui alla cura della salute. Beninteso, tutte le regolamentazioni che hanno portato a questa situazione sono state giustificate con la necessità di proteggere gli individui, di provve dere ai loro bisogni e quindi sono state adottate nel supposto interesse di tutti.

Ma questa evoluzione (o, meglio detto, involuzione) ha portato, con il crescere della burocrazia e delle prestazioni pubbliche, a due conseguenze sempre più palpabili: da un lato all’aumento del bilancio degli enti pubblici, del debito pubblico e dei disavanzi (che a fatica il politico riesce ad arginare visto che da essi dipende la sua possibilità di fare politica), dall’altro lato ad una crescente deresponsabilizzazione individuale accompagnata dall’aspettativa che tutto sia dovuto da parte dello Stato.

Queste conseguenze sono state originate e supportate dalla convinzione che sussistano problemi da affrontare (il che non è sempre vero) oppure che determinate attività possano solo o preminentemente essere svolte dallo Stato (il che pure nella maggior parte dei casi non è vero in quanto possono essere affrontate più efficacemente dagli individui con forme organizzative costituite spontaneamente). La tendenza va purtroppo nel senso di insistere nel percorrere questa strada; le conseguenze negative diventeranno sempre più pesanti.

Questa tendenza è accompagnata da una crescente disinformazione (come quella che addebita ad un inesistente sistema liberistico le storture che sono davanti agli occhi di tutti, disinformazione impiegata per proseguire sulla strada della collettivizzazione della società) e da un’attività crescente della macchina legislativa, che funziona prevalentemente per correggere gli errori causati da precedenti interventi legislativi che alla lunga hanno prodotto effetti contrari a quelli perseguiti.

Da questa situazione non si potrà uscire se non con una radicale modifica della mentalità collettivista che ha preso piede nel modo di pensare e di agire (e dubito che qui la scuola statale ci potrà aiutare). Segnali di cambiamento in questo senso non sono purtoppo in vista; anzi, l’indebolimento sia al nostro interno che all’estero di quello che ancora resta delle forze liberali sembra un segno dei tempi ed è accompagnato da un crescente isolamento di una parte sempre più consistente della popolazione dall’attività della politica. Non ci resta che confidare nella forza della ragione e nell’influsso positivo che essa potrebbe ancora esercitare soprattutto sulle nuove generazioni.

Stelio Pesciallo


Relatore

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  • Mai come oggi l'intrattenimento, la retorica seducente e l'esagerato spazio a vuoti discorsi di libertà, vengono versati su un uditorio distratto, confuso, impaurito. Un "matraquage" quotidiano che si condensa nel banale ritornello: il nostro sistema non è (più) liberale!

    Mentre il linguaggio politico ha assimilato le terminologie tipiche dell'ingegneria economica, la gestione di un disastro ordito (nell'ombra) dal capitalismo finanziario (sempre più forte) ha riversato i passivi sui budget nazionali così da affossare, sul nascere, ogni domanda di socialità. Il make-up (perfino) lessicale ha offuscato sostantivi quali "licenziamenti" e "disoccupazione" ormai spariti dal vocabolario aggiornato. Oggi si parla di lavoro precario, flessibile, part-time, atipico, interinale, del mini-job e alla fine... perfino di piano sociale (sic!).

    Ai governi attuali, siano loro di destra oppure di sinistra, non resta altro che gestire il passivo. Ecco la ragione dell'aumento del bilancio degli enti pubblici.

    Per contro eccoti servita l’incessante somministrazione quotidiana (virtuale), di belle cose, di belle case e di belle gambe, raccontata per bocca dalle star dell'intrattenimento lautamente pagate per presentare i soli quartieri alti della città. Una pantomima quotidiana di ricchezza apparente, irraggiungibile ai più. Perché è, e sarà, un'infima minoranza a goderne i concreti benefici. Per tutti gli altri non resterà altro che la servitù volontaria vissuta nell'illusione, nell'aspettativa: il sogno, la chimera.

    Un trucchetto necessario alla sopravvivenza del capitalismo predatorio.

    Caro Pesciallo, si guardi in giro: le differenze di SOSTANZA, tra un lavoratore sovietico del Novecento e un lavoratore odierno dal contratto... molto atipico stanno tutte nello "scenario contestuale": il cosiddetto "inganno della ricchezza scenografica", con il quale tutto l'occidente sembra essere sprofondato e anestetizzato. Una forma riveduta e ampliata di collettivismo. Il collettivismo del capitale.

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