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L’iniziativa dell’UDC in Ticino passerà, nel resto della Svizzera no. Che fare? – di Filippo Contarini

dal blog  filippocontarini.ch


(fdm) Pubblico questo articolo scritto da uno dei miei autori preferiti (nel campo dei “nemici”). Se lo leggete attentamente (o anche solo superficialmente) scoprite che Contarini sogna la sconfitta dell’iniziativa UDC… accompagnata dal trionfo delle idee e dei metodi socialisti e sindacali. Ma, Filippo, quella non è la Svizzera (risp. il Ticino) bensì il Paese della cuccagna! Per il PS…

Credimi, non sarà così facile.



Il prossimo 9 febbraio voteremo l’iniziativa UDC “Contro l’immigrazione di massa”. Chiede, tra l’altro, di reinserire i contingenti sugli stranieri che lavorano in Svizzera. Questo toccherebbe anche i frontalieri. Se l’iniziativa passa, la libera circolazione dei lavoratori cade. Questo significa che un’azienda non può assumere stranieri se la quota massima totale è già stata raggiunta e che per assumere uno straniero l’azienda deve provare che non c’è uno svizzero cui dare la precedenza.

La potenza comunicativa di questa nuova regola in un cantone come il nostro è potente. Da anni lo slogan in Ticino è chiaro: “gli italiani rubano il posto di lavoro ai ticinesi e comunque, anche se non lo rubano, fanno abbassare i salari”. Da questa frase (che è vera solo in parte) alla richiesta di protezionismo il passo è brevissimo. “I noss prima degli altri!” sembra dire una grande fetta di popolazione a gran voce. Costi quel che costi, anche affossando tutti bilaterali e quindi l’economia nazionale tutta. C’è infatti chi crede che eliminando la libera circolazione l’economia ticinese produrrà nuovi posti di lavoro ben retribuiti per i ticinesi. Da dove prendono questa certezza? Nessuno lo sa.

Io non sono d’accordo a questo modo di riflettere e a questo automatismo. I problemi causati dal frontalierato ci sono e nessuno li nega. Ma lo ho già detto fino alla noia: non bisogna mettere i lavoratori gli uni contro gli altri e non bisogna condannare le nostre esportazioni. I bilaterali sono importanti per la nostra economia. Lo sappiamo: i datori di lavoro tirano i salari al ribasso e se ne fregano del nostro territorio, di fronte a questi problemi bisogna aumentare le misure di accompagnamento e bisogna permettere ai sindacati di giocare un ruolo forte, in particolare imponendo salari minimi attraverso contratti collettivi di lavoro. Bisogna insomma aumentare la lotta nel lavoro (in particolare nel terziario!), non chiudere le frontiere.

Vorrei però qui riflettere su un tema che va un attimo più in là, ovvero cosa sarà necessario fare politicamente dopo la votazione del 9 febbraio. Sappiamo infatti tutti perfettamente che la Svizzera interna non vive i problemi delle regioni di frontiera. Il benessere economico garantito dagli accordi bilaterali non sarà messo in discussione dalla popolazione.

E il Ticino che farà, quando si troverà in disaccordo con tutti gli altri?

Il nostro cantone è parificato agli altri dal 1803. Prima era un insieme di terre dominate dai balivi svizzeri tedeschi. I nostri avi hanno vissuto l’entrata nella Confederazione come una liberazione, un progresso mai messo in discussione. E solo una volta qualcuno ha voluto andarsene dalla Svizzera. Erano gli irredentisti della destra fascista ticinese (i “leghisti” di allora), del gruppo L’Adula, che volevano far annettere il Ticino all’Italia per fare il grande impero fascista.

Il Ticino, un cantone endemicamente povero, di grande emigrazione, che solo i trafori alpini e l’attrazione di denaro dal sud hanno fatto emancipare economicamente. Un cantone che se isolato muore. Oggi c’è Alptransit, un pioggia di miliardi è arrivata dal nord sul nostro cantone per aprire ancor più il passaggio tra le alpi e avvicinarci al resto della Svizzera. Zurigo sarà vicinissima, si pensi solo al valore dei terreni che si alzerà grazie a questa nuova via. Studiare “in dentro” sarà ancora più facile, anche alle ottime SUP dell’altipiano. Insomma, sopra di noi una Svizzera che sembra essere una vera garanzia per il mantenimento del nostro benessere, soprattutto nell’incertezza data dalla globalizzazione.

Una Svizzera che però il Ticino a rigor di logica dovrebbe odiare, se veramente i ticinesi plebisciteranno l’iniziativa UDC, mentre lassù la bocceranno sonoramente. Ma allora che fare?

La risposta può essere solo una: dobbiamo limitare il successo dell’iniziativa UDC da noi e ricominciare a sviluppare l’arte della diplomazia. Dobbiamo far passare il nostro messaggio nei canali istituzionali e informali, smettere di sembrare i fratelli ridicoli, oltre che poveri, dell’intero Paese. Concretamente: lavorare su tutti quei punti che possano redistribuire il benessere dell’altipiano anche da noi, compensando i problemi evidenti che ci dà il frontalierato.

Ancora più in concreto: oltre a chiedere i diritti sindacali per i nostri lavoratori, dobbiamo chiedere una revisione delle basi di calcolo della perequazione finanziaria. Dobbiamo chiedere una revisione delle leggi ambientali per intervenire sul sovraffollamento delle strade. Dobbiamo chiedere più presenza dei ticinesi ai piani alti dell’amministrazione federale. E non solo: dobbiamo incentivare una cultura della vicinanza svizzera (non sono balivi, sono concittadini) e nel contempo essere forti a sostenere le nostre ragioni. Gli Svizzeri tedeschi ci ascoltano, ma spesso ci considerano poco seri. Che errore! Ma è responsabilità nostra far cambiare loro questa opinione.

Queste strade sono meno facili da percorrere rispetto alle urla domenicali, rispetto alle sparate dei muri a Chiasso. È chiaro, in un cantone storicamente litigioso come il nostro (pieno di prime donne arroccate al potere che non accettano critiche, va pur detto) far passare messaggi unitari non è facile. Ma attenzione: tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 siamo stati varie volte lo zimbello della Svizzera. Quante volte sono intervenuti addirittura con l’esercito perché ci consideravano i “Sorgekind” federali, quante volte abbiamo dovuto andare in su con il cappello fra le mani. Ora il rischio è di nuovo quello. Urla, sbraiti, populismo, una valanga di “sì” all’iniziativa UDC e poco che rimane in tasca. Vogliamo questo?

No, non è questa buona politica, non è questa la giusta prospettiva per il Paese.

Filippo Contarini

Relatore

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  • Se il buon Contarini si degnasse di leggere qualche giornale Svizzero romando, come la Tribune de Genève o Le Matin, e guardasse i commenti agli articoli sulla votazione in questione , si renderebbe conto che una città filoeuropeista come Ginevra i commenti sono quasi tutti a favore dell'iniziativa e un recentissimo sondaggio della stessa Tribune ha dato il risultato che quasi l'82% dei partecipanti voterà SI all'iniziativa.
    Incredibile ma vero e allora Contarini io nei tuoi panni non sarei cosi` ottimista.

  • Contarini ha pochi dubbi e molte certezze. Studia a Roma, mi pare, e vive tranquillo. Scopre, e lo scrive, che la potenza comunicativa è potente. E dire che fino a poco fa pensavo che la potenza potesse anche essere impotente.
    Non nega i problemi causati dal frontalierato (e, implicitamente, anche dalla libera circolazione), ma li risolve, definitivamente. Come? Aumentare le misure di accompagnamento e permettere ai sindacati di giocare un ruolo forte. Quale? Permetter loro di imporre salari minimi attraverso contratti collettivi di lavoro. E poi? Non chiudere le frontiere! Semplice, no? Ma bisognava pensarci. Da presidente onorario dell'UDC Ticino mi sorprende, e me ne rammarico, che i miei successori alla testa del partito non ci siano arrivati.
    Risolti con irrisoria e seria (seria, non seriosa!) facilità i problemi di cui sopra, Contarini si preoccupa poi di cosa fare dopo il 9 febbraio. Un 9 febbraio di cui conosce giä, non so come, i risultati: approvazione massiccia dell'iniziativa in Ticino, massacro nel resto della Svizzera. Per prima cosa propone un'azione preventiva, non successiva alla votazione: fare il possibile per limitare l'eventuale strepitoso successo che l'iniziativa avrà in Ticino. Subito dopo il voto, passare all'azione, riprendendo in mano le redini dell'azione politica. Come? Anche qui, azioni semplici e concrete. Primo passo, chiedere un nuovo calcolo della perequazione finanziaria. Poi rivedere le leggi ambientali per porre freno agli ingorghi stradali. Rivendicare quindi maggior presenza ticinese ai piani alti dell'amministrazione federale. Incentivare la cultura della vicinanza con i confederati ultramontani. Far cambiare agli svizzeri tedeschi la cattiva opinione che hanno di noi ticinesi. E, dulcis in fundo, esser forti nel sostenere le nostre ragioni. Anche qui, soluzioni semplici, quasi ovvie, tali da far aumentare a dismisura il mio rammarico per il fatto che gli attuali dirigenti dell'UDC cantonale non siano arrivati a pensarci da soli.

  • Che cosa c'entrino i leghisti Ticinesi con i fascisti lo sa solo il Contarini. Evidentemente ormai ha perso ogni contatto con la realtà cantonale ed è diventato un eurozombie. Probabilmente scatta sull'attenti appena vede 12 stellette gialle su sfondo blu.

  • La tesi contariniana secondo cui siamo in presenza di una Svizzera che mostra zone con gradi di sensibilità diversificati rispetto al tema immigrazione (altipiano/zone di frontiera: che a mio modo di vedere sarà determinante per il risultato della votazione) mi sembra condivisibile. Pure d'accordo sullo scenario post-votazione se i risultati (Ticino sì/Confederazione/no) si concretizzassero per davvero, e che richiederebbe una necessaria e incisiva messa a punto nelle relazioni con i Confederati. Sulla questione irredentista mi permetto di dissentire. Anzi direi proprio che il malcontento popolare ticinese si nutre del fatto che i nostri vicini, oltre che essere sostanzialmente percepiti come formidabili esportatori di manodopera low cost (un Cantone di frontiera confrontato con una concorrenza particolarmente impropria, e come d’altra parte lo stesso Contarini sostiene nel secondo capoverso) scontano una certa impopolarità anche per i trascorsi bellici del novecento. Ma, e lo ripeto, il limite maggiore delle iniziative drastiche come questa (come pure 1:12) è quello di scatenare un dibattito altrettanto rigido. Soprattutto nella reazione degli ambienti economici maldisposti a qualsiasi cedimento di tipo sindacale. Ciò che mi interessa e che osservo -inquieto- è infatti la reazione dai contorni inquietanti in stile orwelliano che l’etablishment economico attua nei confronti della seppur azzardata e radicale, iniziativa democentrista. Parlo della pseudoinformazione di reazione che si è scatenata in tutta la sua virulenza. Sono infastidito (per quanto possa valere) della ormai evidente imposizione di un credo, di una religione, di una dottrina che vuole giustificare una pericolosa, distorta e totalitaria economia delle disuguaglianze. Sono deluso, ancora una volta, dell’incapacità di gran parte dei media di porsi in una dimensione di autonomia e di equidistanza dalle tesi in conflitto. Mi irritano particolarmente le pesanti inesattezze nella narrazione dei mercati mondializzati che si tenta di spacciare come una verità implicita e inderogabile. Come pure la diffusione di una indecente accozzaglia di dati e (soprattutto!) di aspettative illusorie, speculando su un pubblico che non ha sempre il tempo, la voglia, il sapere e i mezzi per prenderne coscienza. Dissimulazione che viene prodotta e sostenuta da chi ha il tempo, la voglia, il sapere, i mezzi e purtroppo il potere di attuarla. Concluderei con una provocazione. Non è passato molto tempo da quando i democentristi, oggi tartassati dai potenti media dell'etablishment perché iniziativisti di una proposta di contingentamento, di controllo e di riduzione della ricchezza economica, si accodavano invece soddisfatti all'utilizzazione di una (quasi identica) propaganda diffusa dagli stessi media quando le proposte tendevano (per esempio) a "controllare, contingentare" magari fiscalmente, le grandi ricchezze nate da altrettanti profitti economici. C’est la vie.

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