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Accordi fiscali Svizzera-Italia: il buio oltre la siepe – di Iris Canonica

Mentre magistrati e ufficiali italiani vengono a Lugano a pontificare

“Accordo” è ormai diventato alle nostre latitudini un termine quasi fatato, di cui, in ambito fiscale fra Svizzera e paesi esteri, si è usato e abusato a piene mani in questi ultimi tempi, per addolcire una pillola amara e per tentare, forse, di rabbonire gli animi giustamente inquieti e preoccupati.

La realtà è però molto diversa e di accordi reali fra le parti in questo ambito non se ne sono visti molti, mentre abbiamo subito pressioni e diktat di vario tipo, spacciati strumentalmente per accordi. Nella guerra economico-finanziaria che ha posto il nostro paese al centro di ripetuti attacchi sferrati da alcune nazioni (come gli Stati Uniti) e da organismi sovranazionali, quali l’UE e l’OCSE, l’esito è sempre stato finora quello di provocare un generale indebolimento della nostra specificità e della nostra sovranità, di riflesso alla fragilità della classe dirigente locale e di un Consiglio federale dal ventre molle.

Pensiamo solo al famigerato accordo FATCA, un vero diktat siglato con gli USA (ma bisogna dire che, in questo caso, anche qualche partito storico ha grosse responsabilità nell’accettazione dello stesso), alla deleteria “Lex USA” ,con immensi costi per le banche interessate, che si ripercuoteranno inesorabilmente sulle casse dello Stato (attraverso la riduzione del gettito fiscale), e via di questo pericoloso passo.

Fino alla scorsa settimana v’era ancora chi molto ingenuamente credeva che con l’Italia si potesse aprire il varco per un vero accordo sui temi fiscali, su quelli della superata convenzione dei frontalieri del 1976 e sulla perniciosa “black list”, che penalizza arbitrariamente tutte le nostre relazioni economiche e finanziarie con l’Italia. Purtroppo, si è dovuto nuovamente constatare che all’Italia gli accordi con la Svizzera interessano meno di zero, nel senso che il governo di Roma intende mantenere una posizione unilaterale, che inoltre esclude totalmente i temi legati alla fiscalità dei frontalieri e alla “black list”.

Mentre nel Parlamento italiano i deputati si azzuffavano alla grande, il ministro italiano Saccomanni è venuto a Berna a ribadire i concetti di questa unilateralità, senza che chi dovere da parte svizzera abbia palesato la benché minima rimostranza in proposito. Altro che accordo!

Contemporaneamente, sempre nella capitale federale, andava in scena il “Forum per il dialogo tra la Svizzera e l’Italia”, un inutile incontro che ha raccolto un centinaio di personalità, alcune delle quali, pur essendo svizzere, non difenderanno mai e poi mai gli interessi del nostro Paese . Visti i problemi sul tappeto, non era proprio il caso di prodursi in questo genere di salotto!

Soffocata da un debito pubblico stratosferico, la vicina penisola ha “fame” ed è essenzialmente interessata a far cassa, riportando a casa quanti più capitali possibili, trincerandosi dietro ipotetiche o reali direttive internazionali, nei confronti delle quali anche la nostra “docile” ministra delle finanze Widmer –Schlumpf (che ci sta portando nel baratro) si è sempre celermente piegata, addirittura anticipando misure neppure richieste . Per quanto deprecabile, quella italiana è una posizione di cui dobbiamo prendere atto, evitando di spendere energie e soldi in inutili trattative e cercando almeno di frenare il distruttivo cedimento del nostro governo federale.

Nel breve termine, sarà pertanto fondamentale che il Parlamento federale blocchi la convenzione OCSE sull’assistenza amministrativa firmata nell’ottobre scorso dal Consiglio federale, una convenzione che ci penalizzerebbe oltre ogni limite, togliendoci tutte le carte da giocare – anche per eventuali trattati con l’Italia -, introducendo lo scambio di informazioni su richiesta. Di questa preoccupazione si sono fatti interpreti le principali associazioni economiche di categoria del Canton Ticino, che in una nota diffusa la scorsa settimana hanno messo i puntini sulle “i” sull’orientamento adottato dal governo federale.

Nel frattempo, l’ABT ha promosso un convegno a Lugano sul tema della “Voluntary disclosure” (il decreto legge votato dal Parlamento italiano per riportare i capitali detenuti all’estero in Italia, che penalizza nuovamente la Svizzera, essendo il nostro paese nella “black list”), chiamando, fra gli altri, come relatori addirittura un magistrato e un alto ufficiale della Guardia di finanza, ambedue in attività. Con gli attuali chiari di luna sulla piazza finanziaria ticinese, la mossa dell’ABT rischia di essere anche dannosa.

Non dubito che questi inviti siano legittimi, però, in un momento come quello attuale, far capo a magistrati e ufficiali in carica di un paese straniero, con il quale abbiamo un difficile contenzioso e non pochi problemi, mi suona davvero fuori luogo, per non dire altamente inopportuno. Che, poi, questi magistrati e questi personaggi vengano da noi assumendo toni arroganti e minacciosi –come è successo – non è accettabile per nessuna ragione al mondo. Forse, per il fatto che in Ticino si parla l’italiano, questi signori pensavano di essere a casa loro?

Iris Canonica

Relatore

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