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Mettiamo all’asta i contingenti – di Paolo Pamini

Pubblicato nel Corriere del Ticino del 18 febbraio, ripresentato con il permesso dell’Autore


Come andranno attribuiti i contingenti che Popolo e Cantoni hanno deciso di reintrodurre con l’iniziativa contro l’immigrazione di massa? Una messa all’asta sarebbe una soluzione molto semplice e con innumerevoli vantaggi.

Sappiamo tutti che, il 9 febbraio u.s., Popolo e Cantoni hanno dato allo Stato federale la competenza di determinare dei contingenti per i lavoratori stranieri, ma come andranno attribuiti? La grande paura è che, come l’esperienza dei decenni passati insegna, l’Ufficio federale della migrazione assuma decine di funzionari che abbiano la presunzione fatale di sapere chi sia degno di lavorare in Svizzera e quali settori economici autorizzati a reclutare manodopera estera. Oltre al danno dell’arbitrio funzionariale, seguirebbe la beffa di pagare tali burocrati con i soldi sottratti a tutti noi contribuenti. Inoltre, come ignorare il lobbismo ed i tentativi di corruzione che emergerebbero?

Esiste un meccanismo di attribuzione molto più semplice e virtuoso: la messa all’asta dei contingenti annuali. Prendiamo il caso ticinese, e ammettiamo che annualmente al massimo 50’000 stranieri possano lavorare sul territorio cantonale. Quali datori di lavoro sarebbero autorizzati ad assumerli? Si potrebbe immaginare che entro fine luglio i 50’000 ticket relativi all’anno successivo vengano messi all’asta e venduti ai migliori offerenti; una vera e propria borsa del lavoro straniero. Il prezzo di un ticket sarebbe determinato da chi si aggiudica il 50’000simo posto e uguale per tutti. Poiché per un tale ticket un datore di lavoro è disposto a pagare al massimo il margine di profitto assoluto generato dal lavoratore straniero, l’asta dei contingenti permetterebbe di attribuirli proprio a quelle attività più produttive. Il tutto solo grazie a meccanismi di mercato, senza supponenza burocratica e tentativi di favoritismi politici.

Inoltre, con buona probabilità l’asta dei contingenti andrà a detrimento proprio di quei settori economici che assumono manodopera a basso costo, mitigando al contempo il problema del dumping salariale e inducendo un rialzo automatico dei minimi salariali. I sindacati otterrebbero i loro obiettivi senza neppure dover regolamentare il mercato del lavoro.

A questo punto, a qualche politico malizioso già luccicheranno gli occhi pensando a quanti nuovi voti potrebbe comprare con le maggiori entrate generate dall’asta. Pertanto, sarebbe opportuno restituire i proventi direttamente alla popolazione, per esempio come accredito d’imposta ai contribuenti, come contributo ai premi di cassa malati, o meglio ancora a riduzione delle aliquote delle imposte sull’utile. In alternativa, in ottica imprenditoriale, il gettito dell’asta potrebbe esser investito nell’ampliamento delle infrastrutture già oggi sollecitate dai lavoratori stranieri e che lo Stato non è stato finora capace di adeguare. Per esempio, un aumento della capacità (auto)stradale nel Sottoceneri, a vantaggio del tempo quotidianamente perso in colonna dai Momò.

In conclusione, mettere all’asta i contingenti favorirebbe le aziende di punta ed il loro indotto sul territorio, ridurrebbe il dumping salariale, e beneficerebbe gli svizzeri o le imprese con il ristorno dei proventi. Il tutto senza l’arbitrio della burocrazia e ulteriori balzelli regolatori, come il salario minimo legale.

Paolo Pamini economista, AreaLiberale e Istituto Liberale

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