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Libia. Il processo di Saif al Islam Gheddafi sarà una mascherata

Il processo di alti responsabili del regime del defunto colonnello libico Muammar Gheddafi rischia di tramutarsi in una mascherata, scrive Amnesty International su suo sito web.

Il processo, iniziato il 27 aprile, vede alla sbarra anche il secondogenito del colonnello, Saif al Islam Gheddafi. Il tribunale ha ordinato che insieme ad altri sei imputati, l’uomo assista al suo processo in video conferenza.

Saif al Islam Gheddafi qualche giorno dopo il suo arresto, nel novembre 2011

Malgrado il ricorso alla video conferenza sia stato introdotto nel codice penale libico, i processi dei sette imputati infrangeranno il loro diritto ad avere un processo equo, scrive Amnesty : “L’impatto sul caso di Saif al Islam Gheddafi ispira timori particolari perchè viene tenuto prigioniero in un luogo segreto nella città di Zintan, da una milizia che ha sempre rifiutato di consegnarlo alle autorità nazionali a Tripoli.
I sei altri accusati sono in prigione a Misratah, in prigioni controllate dal ministero della Giustizia e della Difesa.

Far comparire Saif al Islam Gheddafi in un processo in video conferenza è un grave pregiudizio al suo diritto di avere un processo corretto. Non si trova in carcere sotto la responsabilità dello Stato libico e le modifiche al Codice di procedura penale e la decisione presa dal tribunale il 14 aprile hanno l’unico scopo di dare l’apparenza della legalità al braccio di ferro che oppone le milizie e le autorità centrali.
La conclusione è che Saif al Islam Gheddafi, come centinaia di altri detenuti, si trova sempre in un luogo di detenzione non ufficiale.”

Il 27 aprile, giorno dell’apertura del processo, Saif al Islam Gheddafi ha assistito al dibattimento dalla sua cella di Zintan (a 170 km dalla capitale).

Saif al Islam Gheddafi assiste in video conferenza al suo processo, da una sala del tribunale di Zintan, il 27 aprile 2014

Durante l’udienza inaugurale, il 14 aprile, il giudice aveva autorizzato il ricorso alla video conferenza, cedendo agli argomenti sulla sicurezza invocati dalle milizie che dal novembre 2011 lo tengono prigioniero. Lo stesso arrangiamento è stato concesso per gli imputati rinchiusi nel carcere di Misratah.

Il procedimento è stato giudicato incompatibile con i diritti della difesa dagli avvocati degli imputati : “Non vediamo cosa succede nella sala del tribunale. Non possiamo garantire che l’accusato non sia sottoposto a minacce. Presenteremo un ricorso per incostituzionalità alla Corte suprema – ha indicato Leila Ben Debba, una degli avvocati dell’ex primo ministro libico Baghdadi Al-Mahmoudi.

Redazione

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