Un anno fa la Croazia diventava il 28. Stato membro dell’Unione europea, un’adesione piena di speranza per questa nazione di 4.2 milioni di abitanti, i cui dirigenti non hanno saputo approfittare per raddrizzare un’economia in recessione e lanciare le riforme economiche indispensabili.
Piccolo paese balcanico la cui economia si basa sul turismo della costa adriatica, questa ex-repubblica jugoslava indipendente dal 1991 è entrata nel sesto anno di recessione.
Dopo la Grecia, è l’economia dell’Unione europea che ha registrato il più importante crollo del Pil dall’inizio della crisi economica. Fra il 2009 e il 2013 il Pil croato è calato in media del 2.5% all’anno.
A parte le difficoltà economiche, i litigi in seno al partito social-democratico che dirige il governo hanno largamente contribuito a un bilancio amaro, che fa del 28. Stato membro dell’UE l’ultimo della classe.
I conti del governo sono in rosso e Bruxelles non ha aspettato molto dopo i festeggiamenti dell’adesione per lanciare i suoi avvertimenti.
In gennaio l’UE ha aperto una procedura di deficit eccessivo per la Croazia, con l’obiettivo di ridurre il budget del governo sotto la barra del 3% del Pil entro la fine del 2016.
Il governo sperava che l’effetto dell’adesione all’UE, dove i capitali dovrebbero essere più sicuri, sarebbe stato sufficiente per attirare investitori stranieri e rimettere in sesto l’economia. Ma il terreno non è stato preparato.
“La Croazia deve lavorare sodo per migliorare la competitività e l’ambiente degli affari, se vuole attirare investitori stranieri – ha spiegato all’AFP Timothy Ash, analista dei mercati emergenti presso la Standard Bank.
L’adesione all’UE non ha portato la sperata semplificazione della burocrazia. In materia di clima favorevole agli affari, fra i paesi europei la Croazia è nella penultima posizione su una lista della Banca mondiale, davanti alla Grecia.
Alcuni analisti pensano che l’adesione all’UE non ha portato i risultati attesi a causa di un disimpegno delle banche in piena crisi economica. Secondo loro, il contesto dell’allargamento nel 2004 a 10 paesi, seguito da Romania e Bulgaria tre anni dopo, è stato molto diverso.
“All’epoca c’era ottimismo per l’allargamento verso l’est europeo, un ottimismo che aveva incoraggiato gli investitori in quei paesi – fa notare l’analista economica Damir Novotny – 10 anni fa le banche straniere investivano nella regione. Adesso si stanno ritirando e i motori della crescita girano al rallentatore.”
Oltre alle difficoltà economiche, la Croazia è scossa da una crisi all’interno del partito al potere, con il recente licenziamento del ministro delle Finanze, Slavko Linic, il cui ruolo è stato cruciale nell’attuazione delle riforme finanziarie e economiche, a seguito di un contrasto con il primo ministro Zoran Milanovic.
“In questi tempi difficili, i dirigenti non si preoccupano del paese ma dei loro dissapori interni, il che aggrava ulteriormente la crisi in Croazia – commenta l’analista politico Berto Salaj.
(Fonte : Liberation.fr)
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Il problema della Croazia è che vive in pratica di solo turismo estivo, 3 mesi buoni all'anno (luglio, agosto e settembre), 2 passabili (giugno e ottobre), qualcosa a Pasqua, il resto dell'anno notte buia, disoccupazione alle stelle, ristoranti costretti a chiudere fuori stagione, ecc. ecc. Il paese manca completamente di industrie in grado di produrre qualcosa di esportabile, solo prodotti ad uso interno, tecnologicamente superati. Di investimenti dall'estero neppure l'intenzione, burocrazia opprimente e, per quel che sento dire, notevolmente corrotta.
Adesso è in arrivo la Serbia e, dulcis in fundo, l'Albania. Come dire che si aggiungono piani ad un edificio dalle fondamenta traballanti.
Prima crolla il grattacielo, adesso a 28 piani, presto a 30, e meglio è.