Pelin, il “Partito della Regione” esiste?

Questo è un grave interrogativo, emerso nel corso di una breve discussione innescatasi ieri sera al Moncucchetto (è in arrivo una fotogallery e un pezzo, non prima di sera).

Perciò il mio pensiero odierno va a Pelin Kandemir Bordoli, esponente di spicco del PS. Una signora simpatica, con un bel sorriso cordiale. Il suo partito è quello che è, ma lei mi piace.

Più ci penso e più mi convinco: le suddivisioni partitiche della nostra politica sono, in sostanza, artificiali. Certo sono, anche, reali e addirittura essenziali, in particolare quando si formano le liste e si intraprende la competizione elettorale. Ma…

Prendiamo il “Partito della Regione”. Ufficialmente, non esiste. Ma in concreto esiste, eccome. Ne sono certo. Li ho tutti qui, fotografati, in testa. Provengono da due partiti? Sì, formalmente sì.

Io le dico le cose come stanno. Pelin nega, fa la furbetta, ridacchia. (Secondo me lo sa bene che esiste, ma non vuole ammetterlo). Lasciamo la questione in sospeso. Ma un giorno o l’altro decideremo, una volta per tutte.

Gran bella serata questa di Besso Pulita! e brillante l’idea del presidente Ugo Cancelli, di chiamare 3 ben noti personaggi – due aventi all’incirca i miei anni, il terzo più giovane – a rievocare infiniti stupendi ricordi di anni lontani. Cose da “Ragazzi della via Pal”, non a torto è stato citato il famoso libro.

Via Coremmo, via Nosedo, la Casa della Pasta, ul punt da fèr, le bande, i tirasassi, le slitte. Gli oratori non se ne rendevano conto ma io (apparentemente impassibile) ero scosso, invaso e quasi sopraffatto dai ricordi. Io vissì lì, nell’alta via Nosedo, dall’età di 7 anni. Io vidi le cose che loro videro. Feci le cose che loro fecero. Le ricordo insieme a loro.

Lisetta e Niccolò, squisiti padroni di casa, erano raggianti. Com’è importante il quartiere di Besso!

Al Moncucchetto il 1° ottobre 2011 io festeggiai – con la famiglia e una cerchia ristretta di amici – il mio compleanno. Tre anni sono passati da quel giorno, tre anni vissuti da giornalista. È come un gioco: io fingo di esserlo, e dico a tutti che lo sono. Qualcuno, addirittura, mi crede.



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