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Tempo di elezioni e di crisi nel piccolo Ticino – di Tito Tettamanti

 

Pubblicato nel Corriere del Ticino e riproposto con il consenso dell’Autore.

La campagna per il rinnovo dei poteri cantonali è in pieno svolgimento. È facile ipotizzare che nei vari incontri e dibattiti le crisi che incombono non potranno venir ignorate. Vi è l’imbarazzo della scelta.

Cominciamo da quella della piazza finanziaria ticinese. Il ridimensionamento non è ancora terminato ed è pericolosa illusione pensare che i tempi passati possano tornare. Dobbiamo trovare alternative.

La crisi in Italia. Qualcuno potrebbe ironicamente commentare: «Non è una novità». Vi è purtroppo la novità di una recessione economica con pesante impatto sulle attività imprenditoriali che chiudono e licenziano, tassi di disoccupazione angoscianti (40% per i giovani), notizie di occupazione di case e altri scontri sociali. Se l’Italia non produce ricchezza ne soffriamo anche noi.

La crisi del debito. Ad esempio quella della voragine che tormenta gli Stati dell’UE. Limitiamoci al debito del Cantone (2 miliardi di franchi, che non sono pochi) e alle difficoltà finanziarie di Lugano, il polo multifunzionale che ha il ruolo di motore. Comunque, senza entrare nei dettagli, il nuovo Parlamento ed il nuovo Governo non avranno spazi di manovra e si troveranno nella necessità di adottare una politica di rigore e risparmio per evitare il peggio. Rinuncio a commentare la crisi della nostra società che si trova in una difficile fase di transizione.

Che facciamo? Entriamo in depressione (con il mal di schiena, oggi una delle patologie più diffuse) o, come indicato nell’ideogramma cinese, consideriamo che la crisi è costituita da rischi ma anche da opportunità? Le opportunità le possiamo trovare in potenzialità latenti e che potremmo sviluppare. Ma a chi il compito e la responsabilità del rilancio? Al Paese, e la risposta non è né di comodo né retorica. Non facciamoci illusioni con piani quinquennali di infausta dittatoriale memoria, né con pianificazioni e politiche industriali di marca statalista.

Sono le forze produttive del Paese che devono operare. La realtà e la strutturazione della società postindustriale, quella degli sviluppi del digitale, permettono fortunatamente iniziative più adatte alla nostra morfologia economica. Vi è un maggiore spazio per iniziative di più modeste dimensioni e che richiedono minor capitale e con alto valore aggiunto. L’impatto della tradizione industriale è diminuito. Il fatto che qualche settimana fa alla prima competizione tra start-up nel Ticino si siano presentate 60 nuove iniziative è incoraggiante.

La logistica con la moda (Fashion Valley), la farmaceutica con il settore tecnico medicale, l’attività di commodity trading sono già oggi colonne portanti del tessuto economico e contribuiscono massicciamente al gettito fiscale. Vediamo di tenerne conto.

Ovviamente, le forze imprenditoriali hanno bisogno di radiografie della nostra realtà e qui l’IRE, e con esso nei loro specifici settori gli istituti di facoltà universitarie e think tank come Avenir Suisse (vedi il recente studio del dr. Marco Salvi) debbono fare la loro parte. Come la debbono fare i media, non limitandosi al fatto di cronaca, ma impegnandosi ad approfondire e commentare gli studi in modo che vengano assorbiti e diventino patrimonio dell’opinione pubblica, facilitando in tal modo anche l’intesa tra le parti sociali.

La nostra società deve prendere coscienza della gravità della situazione, ma al contempo assumere la mentalità di chi vuole risolvere i problemi. Indispensabile un’amministrazione pubblica che capisca che il suo ruolo non si esaurisce nel controllo e nel divieto, ma deve invece essere quello del sostegno e dell’aiuto all’iniziativa privata. Lungaggini e tempi morti costituiscono per l’economia costi irrecuperabili e un atteggiamento di aperto sostegno contribuisce a creare posti di lavoro.

La politica? Passate le elezioni, se si riuscisse a mettere tregua alle risse da pollaio, si dovrebbe stringere un patto per il Paese su alcune condizioni quadro che necessitano il sostegno di un’amplissima maggioranza e che non possono continuare a peggiorare.

Tutta teoria? Se fissarsi degli orizzonti e cercare di avere le idee chiare per perseguirli, impegnandosi con una mentalità propositiva, è teoria, allora non vi è nulla di più pratico della teoria.

Tito Tettamanti

 

Relatore

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  • Finirla con le risse da pollaio? Ma scherziamo? Di quale argomento dovrebbero scrivere giornalisti e giornalai? E dal parrucchiere, dal macellaio, al mercato ... dobbiamo pur riempir la bocca di parole!

  • Che si debbano pur trovare delle alternative è informazione pleonastica. Oppure incoerente. Ci avevano infatti detto che non c’erano alternative! Anche perché la cosiddetta economia integrata non offre molto spazio ad alternative. Anzi non ne offre proprio. Se non quello di adattarsi. E la furbissima Lady T. già lo sapeva…

    Leggiamo pure lo sforzo dei media ufficiali nell’esemplare e infaticabile compito di “normalizzare” i nuovi impulsi economici transatlantici globalizzanti. Far credere insomma ai cittadini distratti (narrando accattivanti parabole in ossequio a dottrine editoriali garanti delle “libertà” secondo reddito accumulato), che bisognerà di nuovo e convintamente piegare il capo -ossequiosamente o con malcelata compiacenza- ai dettami dell’oligopolio neoliberista: ovvero ubbidire (in uno stile post-gessleriano) alle cosiddette forze imprenditoriali ormai proprietarie delle coscienze (e dei redditi) dei figli di Tell, costretti nel ruolo dei già più volte ricordati mouton de Panurge.

    Facendo finta che sia un sacco bello perdere ogni potere contrattuale e salariale, ridimensionare le risorse pubbliche {per finanziare le gated community}, inventarsi un’occupazione {perché le precedenti sono ormai esternalizzate}, assistere al consolidarsi di abissali disuguaglianze incentrate sull’appropriazione privata di ciò prima apparteneva alla collettività. Avvenimenti oggi buttati nel calderone ormai definito con l’onnicomprensiva etichetta giustificatoria di “così vuole il mercato”: che sarebbe meglio tradurre con i termini di “endemico disastro”. Nefasto accadimento attivato dal privatissimo buco speculativo liberal-immo-finanziario (di sempre più lontana {’08} e offuscata memoria) rivelatosi subito come una “tempesta perfetta” scatenata per consolidare quelle instabilità necessarie alla privatizzazione degli stati. A suo tempo perfino evitabilissima.La tempesta.

    Come è triste, diciamolo una-volta-tanto, e avvilente osservare anche alle nostre periferiche latitudini le finte risse nel “pollaio” politico un tempo definito “teatrino” dove si inscenano esilaranti distrazioni recitate per meglio far deglutire l’olio di ricino di una realtà… senza alternative. Triste pure il vedere/sentire recitare la parte dei primi attori a personaggi perfettamente consapevoli di fare da comparsa. Magari adocchiando un posto in prima fila. Come pure umiliante l’essere costretti a dover leggere (ingoiare) quotidiane “perle di arguzia” infilate da giornalisti (sedicenti tali nella pura servitù “intellettuale”) entusiasti nel eseguire, pure ricompensati, il compito di diffondere, spargere, emanare le assurdità del dogma dell’accumulazione privata.

    Ticino sì, vaso di coccio fra vasi di ferro. Così come la condizione dell’elvezia madre. Perché anche oltregottardo le lunghe discussioni sul nulla, tentano di mostrare qualche scampolo democratico per non impaurire (ulteriormente) la platea. Tutti (o quasi tutti) sappiamo che tutto (o quasi tutto) è già prestabilito dal rigido copione del colonialismo della ricchezza. Anche quando far scattare gli applausi. Con qualche fischio (concesso d’ufficio) tanto da rendere perfino credibile il finto dissenso. Tutti (quasi tutti) sperando, in segreto, di vincere alla lotteria. Quella settimanale e pure quella della vita. Secondo statistiche si narra che 1 su 600milioni potrebbe anche farcela, in quella settimanale. Per l’altra si dovrà chiedere ai… mercati.

    • "Ridimensionare le risorse pubbliche" (!!) Tu sei un gran furbacchione ma prima di fregare "grande Jack" - che è nato circa un secolo prima di te - devi mangiarne, di polenta!
      "Ridimensionare le risorse pubbliche". Tu FINGI (maldestramente) di ignorare che la spesa pubblica si è gonfiata a dismisura, anzi mostruosamente. Fai il finto tonto, e ne godi. "Persino Jack ci cascherà!" pensi compiaciuto. Povero te.

      • Caro Jack,
        scrivere: “ridimensionare le risorse pubbliche” non significa che sia già stato fatto. Certo tu (il concetto) lo preferiresti formulato come: “prima o poi lo si dovrà pur fare” lo si dovrà fare!” “ lo si deve fare!!”.
        Tuttavia lo si farà. In altre contrade lo si sta facendo alla grande: tagli lineari, bilancio a base zero, etc., altrimenti definiti con un concetto pugnace: “starving the beast”. Mi aspettavo, invece, la contestazione sulla statistica, che, ammetto, è un tantino… pro domo mea.

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