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Far West nel mondo dell’artigianato ticinese? – di Alex Farinelli

Non è una novità che in Ticino il fenomeno dei padroncini sia da diverso tempo fonte di inquietudine e preoccupazione. Le cifre sono in continua crescita, nel 2013 gli indipendenti che ogni giorno hanno varcato il confine per lavorare nel nostro cantone sono aumentati del 66 % rispetto al 2012, passando da 7’500 a 12’500 e sottraendo di fatto un fatturato annuo di 175 mio di franchi all’economia locale. In aggiunta va ricordato che, sempre nel 2013, sono state riscontrate 1’000 infrazioni ad esempio inerenti violazioni dei contratti collettivi o delle disposizioni vigenti sui salari minimi. Per arginare questi malandazzi e “frenare” il fenomeno si può agire concretamente, sia sul piano di controlli e sanzioni, sia sul piano fiscale.

Per quanto concerne gli accertamenti bisogna sfruttare maggiormente la vicinanza delle istituzioni comunali al territorio amministrato. In sostanza, così come a livello federale Berna dovrebbe delegare ai cantoni, gli unici che conoscono nel dettaglio le rispettive problematiche, le modalità di applicazione dei contingenti per gli stranieri, così il cantone dovrebbe poter delegare ai comuni i controlli sulle ditte estere che operano in Ticino. I comuni infatti, per mezzo dell’Ufficio tecnico e con l’aiuto delle polizie locali, potrebbero verificare più efficacemente se queste ditte rispettano le nostre leggi e se dispongono delle autorizzazioni necessarie. Con tale provvedimento si potrebbe da un lato individuare un maggior numero di abusi e dall’altro, in qualche modo, rallentare il forte afflusso di imprese straniere.

Le sanzioni per chi contravviene le regole vanno aumentate per fungere veramente da deterrente, in particolare per chi abusa della qualifica di indipendente al solo scopo di non sottostare ai contratti collettivi, comportandosi di fatto in maniera sleale nei confronti delle imprese che rispettano le leggi. I comuni potrebbero inoltre rientrare dei costi supplementari generati dai maggiori controlli grazie ad una quota sulle sanzioni riscosse. Il cantone, inoltre, dovrebbe impegnarsi per far introdurre un’imposta di bollo sui permessi di lavoro rilasciati.

Da ultimo bisogna agire sulla fiscalità in quanto, come è noto, i padroncini che lavorano in Svizzera non pagano le imposte da noi ma dovrebbero dichiarare il guadagno in Italia. Il condizionale è d’obbligo, infatti è lecito supporre che questo avvenga molto di rado, creando di fatto un’ulteriore distorsione della concorrenza che va ad accrescere il vantaggio competitivo delle imprese italiane a discapito delle nostre. Una soluzione a costo zero sarebbe trasmettere i dati fiscali alle autorità italiane: non potendo più lavorare in nero, e dovendo pagare le onerose imposte italiane, tanti padroncini dovrebbero adattare i loro prezzi, permettendo alle ditte ticinesi di tornare concorrenziali.

Questi sono alcuni dei passi che si potrebbero intraprendere per cercare di controllare l’afflusso di imprese italiane e garantire un mercato con pari condizioni per tutti. Ovviamente non si risolveranno tutti i problemi, ma da qualche parte bisogna pur cominciare ad agire concretamente. Da ultimo non dimentichiamo che queste aziende lavorano in Ticino perché chiamate da qualcuno: dobbiamo quiandi essere maggiormente responsabili rivolgendoci, nel limite del possible, alle imprese locali. E in questo tutti possiamo dare il nostro piccolo contributo.

Alex Farinelli, Candidato PLR al Consiglio di Stato

 

Relatore

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