Categories: Democrazia attiva

Il re è nudo – di Elisabetta Gianella

Una cosa salta all’occhio. La candidata Verde, molto combattiva, ha indubbiamente le sue ragioni – che espone efficacemente – ma i suoi numeri (+1 milione, -8, +3) sono “piccoli”. Il disastro nei conti della Patria viene dall’incapacità della politica di controllare la spesa.

La bozza di accordo fra Svizzera e Italia sulla fiscalità dei frontalieri pone due enormi problemi. E il Consiglio di Stato sembra non voler affrontare per tempo e con la necessaria risolutezza i nodi spinosi di un contratto dove, al momento, abbiamo tutto da perdere e che potrebbe pregiudicare negativamente buona parte del nostro futuro. Strano atteggiamento, quello dell’Esecutivo, che appare molto poco lucido nell’analizzare i contenuti e nel proporre una strategia. Come se fosse frastornato dalle diverse posizioni dei vari ministri e dalle enormi pressioni che di certo il mondo finanziario ed economico (ma probabilmente non solo…) stanno esercitando sul Collegio. Anche buona parte del mondo politico è narcotizzato. È come se stesse cercando di addormentare il dibattito pubblico per far digerire ai ticinesi la pillola più amara.

Parliamoci fuori dai denti: la Svizzera è uscita perdente da questo negoziato. E il Ticino, ancora una volta, è stato immolato sull’altare della Patria. Il re è nudo. Ma tanti, troppi politici, girano lo sguardo dall’altra parte. Forse perché temono di arrossire nel prendere atto della disfatta.

Ma torniamo ai due problemi. Il primo riguarda la nostra sovranità cantonale. Siamo infatti confrontati con uno Stato terzo che pretende (ed ottiene per gentile concessione di Berna) che il Canton Ticino cancelli una legge appena votata dal Gran Consiglio. Così, con un colpo di bacchetta magica! Altrimenti dell’accordo appena raggiunto non se fa più nulla. Forse, su due piedi, non ci si rende conto dell’enormità che l’Italia e Berna pretendono dal nostro Cantone. Ma capovolgendo il discorso forse si coglie meglio il peso della richiesta. Immaginiamoci se la Svizzera e l’Italia imponessero alla Lombardia o al Piemonte di cancellare una legge votata dai rispettivi Consigli Regionali. Ovviamente la controparte si metterebbe a ridere e si alzerebbe subito dal tavolo. Facendo per altro la cosa buona e giusta: perché in qualsiasi trattativa ci sono e ci devono essere punti non negoziabili. E il rispetto della Costituzione (perché Berna ha perfino accettato la clausola anti 9 febbraio), delle leggi, delle istituzioni e del popolo, dovrebbero essere i primi punti della lista.Il secondo problema è di carattere economico e di solidarietà tra Confederazioni e tra Cantoni. Ancora di recente la Consigliera Federale Simonetta Sommaruga, arrampicandosi sugli specchi, ha negato al Ticino l’abolizione della notifica online per padroncini e distaccati perché, a suo avviso, questa misura avrebbe creato una disparità di trattamento fra i Cantoni. Berna non può avvantaggiare un Cantone rispetto ad un altro. Ma questo principio viene applicato un tanto al chilo dal Governo federale. Non vi è dubbio infatti che la parte dell’accordo con l’Italia che toglie le castagne dal fuoco alle nostre banche, favorisce tutte le piazze finanziarie svizzere e non solo quella ticinese. Ed è evidente anche ai più disattenti che il “prezzo” che la Svizzera ha deciso di pagare per non essere travolti dalla voluntary disclosure italiana è tutto nella seconda metà dell’accordo: quello sull’imposizione dei frontalieri. Ma chi lo pagherà questo prezzo? Solo il Ticino.

Quello che non si dice, o non si vuole dire, è che la nuova intesa tra Berna e Roma, nella migliore delle ipotesi, garantirà al nostro Cantone un sostanziale status quo a livello di entrate (+ 1 ml). Mentre i comuni incasseranno meno di oggi (- 8 ml). Ma sapete chi è l’unico che ci guadagna? La Confederazione che, bontà sua, incasserà 3 ml in più rispetto ad ora! Dal 1974 a oggi il Ticino (solo il Ticino) si è sacrificato per l’intera nazione versando 1 miliardo e 200 milioni di franchi. E ora, dopo tre anni di trattative, per salvare ancora una volta gli interessi della Patria, al nostro Cantone viene chiesto di accettare zitto e muto quella che anche il più mite degli analisti non potrebbe che definire una colossale presa in giro. Se non una vera e propria truffa. Il tutto, ben inteso, e ricordiamocelo sempre, a patto che sia la Svizzera che il Ticino decidano di calpestare le proprie leggi.

Considerate le carte in tavola non ci resta che essere pragmatici. È necessario che il Ticino rivendichi quanto gli spetta e chieda un risarcimento a Berna. Il Governo federale ha palesemente svantaggiato il nostro Cantone per assicurarsi un vantaggio collettivo nazionale. Il nostro sacrificio deve essere quindi riconosciuto dal Consiglio federale. Le formule del risarcimento possono essere diverse ma devono corrispondere a non meno di 30 milioni all’anno.

Dobbiamo essere disposti come Ticino a far saltare il banco (blocco dei ristorni), se necessario, per tutelare finalmente i nostri diritti e non svendere la nostra dignità. Perché, l’accordo che sta per essere pattuito tra Svizzera e Italia, è inaccettabile e va combattuto con ogni mezzo. 

Elisabetta Gianella
Candidata al Gran Consiglio I Verdi del Ticino

Relatore

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  • Eh… la politica…
    Vi ricordate le campagne balairatt, antifrontaliers, il linguaggio muscoloso contro il vero/presunto sfruttamento ai danni del salariato nostrano.? Ebbene in alcuni di quegli ambiti un tempo virilmente polemici, sembrerebbe, parrebbe, che il richiamo della foresta mercantile neoliberista abbia smussato le velleità combattive. Si parla già di bicchiere mezzo pieno. Vabbé. Sarà colpa delle nuove regole di “via sicura”. Dei permille.

    Sopra (o sotto) tutto questo restano, permangono, ìmperano (implacabili) i mercati. Se abbiamo bisogno di una politica «dicono i mercati» questa dev’essere neoliberale! Riserviamo scarsa attenzione, alla libertà politica, diamo per contro grande rilievo alla libertà di consumo. Potete sempre scegliere tra dieci modelli di smartphone. Che volete di più? Dicono i mercati. E così ecco che anche da noi, i gestori del profitto ci intimano di seguire la “single option” che vuole la concorrenza tra gli Stati (intesi anche come Cantoni), che vuole la lotta (vincitore/perdente) che porta fino all’esclusione per coloro che non corrispondono al catalogo delle norme previste, appunto, dai mercati. Lo Stato neoliberale è lo Stato concorrenziale, è lo Stato-mercato. La politica «deve» seguire la logica del ricavo e dei tagli fiscali. Lo ha detto il «G1». Per chi non segue il pensiero unico ci sarà la confisca della ricchezza, gli verrà tagliato il pane e pure le brioche(s), come indica perentoriamente il credo economico ultraortodosso. Dicono i mercati. L’argomento, anzi la minaccia, è così evidente che spalanca le porte, prima al ripensamento, poi al fondamentalismo della prevenzione del pericolo. Ed ecco che il bicchiere diventa mezzo pieno. Eppure…

    ….viceversa all’orizzonte appaiono i nuovi ambienti/movimenti/partiti politici «neofiti» che sembrano ripercorrere le stesse “vie (già quasi) sicure” per ottenere un iniziale credito elettorale. Stessa strategia acchiappa malcontento per tentare di trasformarlo in schede elettorali. Come un tempo fu per i balairatt.
    La storia si ripete verso l’aprile incombente.
    Bisogna proprio dire che a volte… ris-tornano.

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