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Votiamo chi offre un po’ di speranza – di Alberto Siccardi

L’indipendenza del nostro Paese, l’impresa che genera ricchezza, la spesa eccessiva dello Stato. Questi i tre punti cardine sui quali si regge l’articolo. La visione di un vero imprenditore, positivo e concreto, che molto ha realizzato nella sua vita.

Articolo pubblicato nel CdT.

Dobbiamo andare a votare, per il futuro nostro e dei nostri figli. Vale in particolare per quei cittadini che non votano perché scoraggiati o indignati o, peggio ancora, perché convinti che tutto continuerà come prima. Questi ultimi, poi, si sbagliano di grosso. Tutto sta cambiando anche da noi, e non in meglio. Dobbiamo e possiamo lottare solo votando chi porta dei programmi, non le solite frasi ad effetto. Si voti per chi si impegna a fare qualcosa di utile a cambiare. E questo vale anche per gli arrabbiati o scoraggiati, votino per cambiare chi ha la responsabilità del passato malgoverno.

Le aree sensibili della politica dei prossimi anni sono almeno tre. L’indipendenza della Svizzera in senso lato, l’economia pubblica e privata e, da ultimo ma non meno importante, la difesa del territorio, sia da immigrazioni selvagge sia da eventuali aggressioni dall’esterno, che nessuno può più escludere.

La prima, la più importante, è l’ indipendenza e del nostro paese.

L’accettazione di «diritti internazionali» che limitino la nostra sovranità è da combattere senza complessi. Tutto il mondo ci invidia la nostra democrazia diretta, senza la quale saremmo da tempo parte della disastrata Unione europea (UE) e in balia delle «stranezze» dei nostri governanti. Insegniamo ai nostri ragazzi questa disciplina di libertà che è la Civica, come si faceva anni addietro (e ora non più), per dare loro gli strumenti utili contro lo statalismo e le influenze straniere.

La seconda, l’economia. Occorre preservare la qualità della vita in Svizzera, intesa come ambiente, mobilità sostenibile, occupazione, e, contemporaneamente, promuovere lo sviluppo industriale, del quale la Svizzera non può fare a meno. La attività finanziaria non basterà più e occorre fare impresa. Abbiamo la possibilità di scegliere attività industriali di alto valore aggiunto e di collocarle in aree dove esse non facciano a pugni col paesaggio.

Quello della occupazione è un nodo che va affrontato senza demonizzare i frontalieri, che sono indispensabili. Se sottraiamo infatti i diecimila disoccupati ai sessantacinquemila frontalieri vediamo che abbiamo bisogno di cinquantacinquemila unità straniere per la nostra economia cantonale. Ma dobbiamo anche dare un lavoro ai nostri disoccupati. Abbiamo due Università molto attive, esse devono essere parte in causa nella riqualificazione dei giovani ticinesi offrendo facoltà utili alle aziende presenti sul territorio. Sarebbe anche interessante dividere i nostri disoccupati in gruppi secondo le loro caratteristiche e capacità e riqualificarli. Ma avere anche il coraggio di chiedere loro che, in presenza di un posto di lavoro disponibile, lo accettino. Come avviene nei Grigioni, pena la perdita della indennità di disoccupazione.

E arrivo all’Economia pubblica. Il Ticino ha un livello fra i più alti per tassazione e, in chiara contraddizione, un alto indebitamento. Semplice, spende troppo, e lo sappiamo tutti. Il GdP ha scritto mesi fa che nei prossimi 5 anni quasi 1.000 impiegati statali e molti funzionari andranno in pensione. Dovremmo non sostituirli là dove possibile e riallocare quelli esistenti. E, per evitare tanti altri sprechi, fare la guerra ai mandati clientelari, fare attenzione a certi lavori stradali che muoiono e rinascono per anni nello stesso tratto di strada, darci una misura negli investimenti, con un credibile piano finanziario a tre anni. Come i Grigioni dieci anni fa. E pretendere il referendum finanziario obbligatorio per megainvestimenti. E cosa dire dell’ordine interno. Non riusciamo ad espellere i criminali stranieri perché cozza col diritto internazionale, i furti e le rapine sono all’ordine del giorno. Già, ma noi vogliamo espellerli, e vorremmo controllare di nuovo le frontiere. E si torna così alla questione della nostra indipendenza, irrinunciabile. Questa è la grande sfida degli anni futuri.

Verso l’esterno? Meglio non dormirci sopra. In Europa si parla di cellule islamiche nascoste nel nostro Paese e nel mondo occidentale, pronte a dare manforte dall’interno a chi ci assalisse improvvisamente alla frontiera.

Ecco, per tutti questi motivi io andrò a votare. E baderò ai programmi, non al partito. Andiamo a votare e scegliamo chi ci offre seriamente un po’ di speranza.

Alberto Siccardi

vice presidente di Area Liberale, candidato al Gran Consiglio per “la Destra”

Relatore

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  • Un articolo, mi sembra, da condividere senza riserve. E un autore dell'articolo che avrà il mio e merita il nostro sostegno elettorale.

    • Caro GS1235,
      la sedicente “Destra” cantonale espone il solito teorema dell’indipendenza del Paese e dell’impresa che genera ricchezza. Tralascio il discorso sulla spesa eccessiva dello Stato che è un tema interessante, ma andrebbe puntualizzato, sezionato e analizzato per capitoli e voci distinte. Si possono certamente trovare settori sovradimensionati e probabilmente anche sprechi. Come in molti altri ambiti non pubblici. Se la memoria non m’inganna mi sembra di ricordare alcuni fallimenti privati che hanno messo in ginocchio interi settori produttivi e finanziari. Quindi disoccupazione. Quindi spese per aiuti sociali. Quindi Stato-soccorso. A meno che non si ragioni in termini thatcheriani: chi resta fuori, è fuori. Si affidi alla beneficenza, e auguri. Che tradotto significa: chi non trova più posto nel processo produttivo diventa un… escluso. Poi ovviamente un… recluso. Popolazione carceraria americana: quasi tre milioni di detenuti. Che costano pure al contribuente. Evvai.

      Torniamo alla chimerica indipendenza. Un concetto più retorico (ridicolo) che reale. Perché se lo accostassimo al secondo concetto cioè quello dell’impresa che genera ricchezza ecco che l’idealistica… idea d’indipendenza cede sotto il peso degli… affari esteri. L’impresa per vendere/esportare non può solo affidarsi alla voce «qualità» produttiva esportabile. Che una voce importante, ma una delle tante voci dell’eventuale successo/insuccesso.

      Non tocca certo al sottoscritto ricordare che l’esportazione/importazione delle merci sottostà (sta sotto) a strutturate dinamiche economiche/finanziarie/fiscali che sono controllate (dico controllate) dal mercato e da opportuni(stici) trattati stipulati al di sopra di singoli Paesi. E dal profitto. L’importazione di manodopera a condizioni salariali concorrenziali, ha sostituito ogni discussione sindacale locale. Per esempio. E si regge su (opportuni{stici} differenziali economici e fiscali transnazionali difficilmente addomesticabili. Così come insegnano gli ultimi, in ordine di tempo, tra CH/ITA.

      E funzionano alla grande, economicamente parlando, tanto da diventare un…irrisolvibile mantra elettoral-popolare.

      Per passare oltre… frontiera e non affliggere, si potrebbe citare, per essere banali, il Trattato trans- Atlantico (Ttip) di prossima ratifica. Un esempio di quanto l’indipendenza dei singoli Paesi sia, alle nostre latitudini, una fallacia elettorale. Il concetto stesso di mercato integrato, cancellerà sempre più il riferimento diretto con un’entità nazionale. Anzi l’economia integrata esclude ogni voce “nazionalistica”. La mondializzazione mercantile assumerà INVECE il chiaro e concreto significato di UNICA alternativa. Che tradotto diventa universalismo della precarietà dei salariati. Meglio tradotto: programmatico trasferimento del rischio dalle imprese (e dagli Stati) al SINGOLO. Qualcuno dovrà finalmente spiegare il vero significato di codesta… indipendenza. Al cittadino-salariato, intendevo dire.

      • Caro Signor Segnalidirete,
        Lei ha perfettamente spiegato i motivi che mi hanno indotto a notevolmente mitigare il mio credo (devo dire credulità? o credulonerìa?) nel libero mercato e nella globalizzazione, oramai sostenuti a spada tratta solo da chi ne beneficia largamente. Al punto che ho sostenuto (e rimango convinto della bontà della mia scelta) l'iniziativa 1:12, l'iniziativa Minder, la cassa malati unica.
        Al fine rimane una (amara, ma non troppo) constatazione: la soluzione ideale nessuno la detiene, semplicemente perché non esiste. E non esiste perché troppo differenti sono gli interessi. Non si possono conciliare gli interessi dei fratelli Mantegazza o di un Ermotti o di un Vasella con quelli degli imprenditori medi, dei contadini, e neppure con i suoi, caro Segnaladirete, e con i miei o quelli dei nostri figli. Interessi divergenti significa necessità di soluzioni divergenti. Significa quindi lotta politica all'infinito, sapendo in partenza che la lotta non finirà mai e mai condurrà alla soluzione ultima dei problemi.
        Due verità assolute rimangono, valide per tutti. Primo: la libertà assoluta non è data a nessuno, neppure ai miliardari

        • Caro GS1235,
          sono convinto, per quanto possa contare, che il dibattito politico possa arricchirsi anche attraverso un pacato e argomentato confronto tra semplici cittadini. Anche in forma scritta. Anche attraverso un blog informale. La ringrazio per la franca e cortese replica.

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