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Per dibattere sul futuro del Ticino – di Tito Tettamanti

Pubblicato sul CdT e riproposto con il consenso dell’Autore.

Il mio periodo prediletto: “Studi come quello dell’IRE, sia nelle parti condivisibili che in possibili altre, sono essenziali per elevare il chiacchiericcio a livello di vero dibattito. Servono a evitare di fare politica e discussioni basandosi su affermazioni incontrollate, sui sentito dire, sui luoghi comuni conditi di banalità.”

TTTTLa settimana scorsa è stato reso pubblico uno studio dell’Istituto di ricerche economiche (IRE) diretto dal professor Rico Maggi dal titolo Ticino futuro. Senza entrare nei dettagli, alcune considerazioni generali mi sembrano opportune.

Ormai sempre più diffusa è l’abitudine di ricorrere a un check-up per appurare lo stato delle nostre condizioni fisiche. Anche i Paesi necessitano di tempo in tempo di una radiografia che permetta diagnosi e individuazione di successive terapie. Purtroppo, di tale necessità non sembrano molto convinte le nostre autorità cantonali. Dal 1998, data del Libro bianco commissionato dall’allora consigliera di Stato Marina Masoni, il Cantone pare disinteressato a simili esercizi. Il pregevole libro di Angelo Rossi Dal paradiso al purgatorio del 2005 è frutto di iniziativa privata. Data la competenza, il rigore e l’onestà intellettuale dell’autore, ha avuto diritto a un funerale di prima classe, vale a dire molte recensioni, tanti complimenti, ma ci si è ben guardati dall’approfondire come si sarebbe dovuto interessanti argomenti trattati tipo produttività, efficienza, eccetera e di trarne insegnamenti per le politiche economiche. Non mi consta ad esempio che i consiglieri di Stato di allora abbiano dedicato una mezza giornata con il prof. Rossi per capire meglio e
approfondire certe problematiche. Studi come quello dell’IRE, sia nelle parti condivisibili che in possibili altre, sono essenziali per elevare il chiacchiericcio a livello di vero dibattito. Servono a evitare di fare politica e discussioni basandosi su affermazioni incontrollate, sui sentito dire, sui luoghi comuni conditi di banalità. Dovrebbero anche permettere, dinanzi all’evidenza fattuale e scientifica di certi argomenti, di facilitare possibili intese tra le diverse forze politiche, sociali ed economiche. Permettere di abbandonare la polemica pretestuosa, atta talvolta a mascherare una scarsa conoscenza dei problemi, per cercare invece le soluzioni. Sarà opportuno anche aver coscienza che lo studio dell’IRE non si rivolge solo alle autorità e forze politiche: destinatario è tutto il Paese. Otterrebbe l’effetto contrario se venisse usato quale pretesto per politiche interventiste e per ampliare competenze burocratiche. Ad ognuno il suo ruolo. Lo Stato si occupi delle condizioni quadro atte a facilitare (e non ostacolare) l’impegno degli operatori economici. Questi ultimi dal canto loro debbono però assumere le proprie responsabilità e mettere in atto nelle articolazioni del tessuto imprenditoriale del cantone quelle strategie e misure che permettano di affrontare con successo le sfide che ci aspettano. Non solo, ma nelle sue diverse componenti la società civile deve discutere e approfondire le proposte dell’IRE al fine di prenderne coscienza e di far opera di sensibilizzazione. Il ruolo dei media è essenziale e non può rimanere episodico.

Il passato fiorire del settore finanziario e del relativo indotto è stato anche frutto della possibilità di approfittare di sviluppo e carenze dell’Italia. Ci siamo trovati i clienti, talvolta neppure troppo esigenti, sulla porta di casa. Questo atteggiamento opportunistico ci è stato utile, non vi è motivo di dolercene, ma oggi dobbiamo affrontare acque più agitate e dimostrare di saperci imporre su mercati più difficili ed esigenti in una realtà non immune da crisi. Dobbiamo saper diventare proattivi. Il rilancio passerà anche dal secondario avanzato e da un’adeguata formazione di quadri, come suggerisce l’IRE.

Facciamo in modo che lo studio diventi per tutti un utile utensile per operare e costruire il futuro. Ma non illudiamoci: per superare le difficoltà non bastano gli studi, ci vuole uno sforzo convinto di un Paese che sappia non esaurirsi in piagnistei e litigi.

Tito Tettamanti

 

Relatore

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  • (") Lo Stato si occupi delle condizioni quadro atte a facilitare (e non
    ostacolare) l’impegno degli operatori economici. Questi ultimi dal canto
    loro debbono però assumere le proprie responsabilità e mettere in atto
    nelle articolazioni del tessuto imprenditoriale del cantone quelle
    strategie e misure che permettano di affrontare con successo le sfide
    che ci aspettano. (")

    Accidentaccio. Siamo richiamati al cambiamento.
    Dobbiamo proprio affidarci alle elezioni risolutorie?
    Qui si dà per scontata una rivoluzione emancipatoria (già un tempo definita copernicana) magari per mezzo delle schede assegnate all’opposizione.
    All’opposizione dello status quo.

    Che un pezzo sta a destra e l’altro pezzo sta a sinistra. Ai margini dell’orbita partitica. Un raggio, una scheggia, un frammento di politica che grida alle ingiustizie di un un sistema sbagliato? Ma come/quale sbagliato?

    Quello delle condizioni quadro «ostacolanti» oppure sbagliato per colpa di quelli che non si «assumono le proprie responsabilità»? Cioè, non propriamente sbagliato, perché c’è pur sempre qualcuno che ci guadagna; epperò sono in pochi. Pochi, pure e purtroppo, i redditi della confusa e dolente maggioranza… democratica.
    Questo è un fatto.

    Quella s’arrabatta nell’illusione del cambiamento. Nella perenne ricerca della simmetria dei diritti e dei doveri. Nell’altrettanto perenne attesa di rimettere in moto, insomma, un processo etico. Mentre c’è chi ha già capito che si vive da tempo nella nuova/vecchia asimmetria dei privilegi.

    Tra la natura extraterritoriale del potere economico e la permanenza coatta dei penalizzanti vincoli territoriali dei popoli. Tra le oligarchie degli apparati dominanti (che sono in grado di spostarsi in un guizzo verso mete di profitto senza doversi preoccupare delle conseguenze) e i soliti “stanziali” costretti a fare i conti con la concorrenza. Asimmetrica.

    Sì perché il tormentone attuale è quello di dover apparecchiare un territorio che attiri gli investimenti, (condizioni quadro…) che adegui al ribasso le proprie pretese sociali (così vuole la concorrenza, perdiana!) per poter ospitare (attrarre) l’investitore extraterritoriale. Che ha pur sempre, (ri-accidentaccio) la via di fuga della delocalizzazione. Perché mai pago della qualità fiscale offerta… oppure perché la concorrenza è infinita. Come in Ticino, che è pure lui… infinito.

    E sì, gli interessi ci dividono. Proprio come disse un presidente rappresentante delle famose oligarchie dominanti: che tanto vale avere una politica interna, perché tanto è quella esterna che decide. E Lui (il presidente) lo sapeva bene che quando appartieni alle élite, i confini non sono più geografici. Le frontiere sono di reddito. Anzi più che frontiere si potrebbe addirittura parlare di muri, di cinte difensive.
    Invalicabili.

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