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Lettera aperta a Matteo Pronzini – di Gianfranco Soldati

Caro Matteo,

per cominciare scusami se oso darti del tu, pur non avendo mai avuto il piacere di far parte della fitta schiera dei tuoi amici. Me lo permetto nella mia purtroppo sicura qualità di decano dei candidati al prossimo Gran Consiglio.

Che tu sia una personalità estroversa, dotata di una grinta non comune, di esemplare impegno e soprattutto di un’intelligenza e di un’oratoria fuori della norma lo dimostra il fatto che da qualche tempo in qua la nostra televisione di parastato ti esibisce come erba cipollina dei brodini politici che ci somministra quasi quotidianamente. Esattamente quel che accadeva, anni fa (forse tu non ricordi, ma io sì, tu eri ancora in fasce) con Werner Carobbio, a suo tempo personaggio di forte spessore politico. Sei, mi sembra, sulla buona strada per diventarne degno erede, in sana e democratica competizione con la figlia Marina.

In questa campagna elettorale, grazie alla riconosciuta imparzialità della “gens comana” (gente di Comano, non di Dublino) hai avuto ben più di altri l’occasione di esporre, nei modi tranquilli e suadenti che ti contraddistinguono, le tue proposte per la definitiva soluzione di tutti i problemi che travagliano questo nostro microcosmo dell’iperbole. Pacato, ponderato, paziente e prudente, le quattro “P” del buon politico. Con la “P” del politico sono addirittura 5 le “P” che puoi far ricamare, disposte a mo’ di rosetta, sul tuo gonfalone.

Una sola tua sentenza (tu non perdi mai tempo con asserzioni o con assunti, e tanto meno con ipotesi o proposte, tu vai subito al sodo, sicuro e perentorio) mi è francamente spiaciuta, quella che da parecchio tempo vai, assieme al tuo compare Giuseppe nonché Sergi, ripetendo “urbi et orbi” (ai sordi e ai ciechi, o sbaglio?): nel campo della sanità ospedaliera la ricerca del profitto non è lecita e quindi non si può permettere la presenza del settore privato, che notoriamente se muove un dito lo fa solo ed esclusivamente per il profitto. Semplice, lapalissiano, per fortuna ci sei tu ad averci avvertiti. Punto e basta.

Che il tribunale amministrativo federale abbia, con una sentenza del 2014, stabilito che il profitto nell’attività ospedaliera sia pubblica che privata è legittimo a determinate condizioni, tutte ampiamente ossequiate nei due settori del Canton Ticino, è un dettaglio assolutamente trascurabile e addirittura insignificante, nella misura in cui la sentenza contrasta con il tuo ben più cogente pensiero.

E se il privato, privato (scusa, amico Matteo, l’involontario iterativo) del giusto e onesto profitto non ha più i mezzi per gli investimenti necessari per mantenersi all’altezza del progresso che in medicina è molto più rapido di quello che si registra nel sindacalismo, tanto peggio per lui. Che tutto un capitale di lavoro, di esperienza, di dedizione venga disperso in nome degli assurdi e stolti pregiudizi dei tuoi simili non può certo preoccuparti, visto che tu di pregiudizi non ne hai. Se alcune dozzine di liberi professionisti e centinaia di persone del settore paramedico restano senza lavoro possono sempre, e tu, carissimo, lo sai meglio di tutti, firmare un contratto collettivo di lavoro e il problema si risolve come per incanto.

Io, non posso non confessartelo, provo una certa perplessità quanto sento certe tue rivendicazioni, dettate, su questo non ho dubbi, dalla chiara e risoluta volontà di por fine ai soprusi che constati. Soverchierie che, lo so, per la maggior parte sono la logica e necessaria conseguenza del non accoglimento di tue opzioni che da anni porti avanti e indietro. La mia titubanza deriva da un’esperienza di 40 anni nel settore privato e di soli 10 anni nel pubblico, abbandonato perché ne ero stufo, e a gentile richiesta ti potrei elencare anche i motivi della decisione. Proviene inoltre dalla conoscenza storica dello sviluppo della sanità cantonale dal 1803 in poi, sanità che fino al 1976 (anno di inizio dell’attività del grande oncologo in Ticino) era a livello di “lazzaretto medioevale” (lo ha detto lui, in una delle sue piuttosto rare presenze in Consiglio comunale a Verscio). E deriva, anche e per finire, dalla certezza che una onesta e intelligente collaborazione del pubblico con il privato non può non essere vantaggiosa per tutti, mentre la prevaricazione del pubblico sul privato, come quella che siete riusciti ad imporre con l’ultima pianificazione ospedaliera e che state cercando di implementare con quella in discussione non può esser altro che dannosa.

Per finire, caro Matteo, guarda che la lagna per una presenza eccessiva del privato in Ticino per rapporto agli altri Cantoni è un pseudoargomento, addirittura oserei dire una scempiaggine. La presenza è sì più marcata in Ticino, ma per un solo motivo: la storica insufficienza del pubblico fino ai tempi moderni, insufficienza che aveva indotto (o obbligato) gli ordini religiosi a sostituirsi ai governi privi di mezzi dei tempi andati. A questi ordini e a chi ne ha assunto la successione (i “borghesi” a Locarno, la colonia italiana a Lugano, il Signor Turconi a Mendrisio, ma mai i sindacati, per fare qualche esempio) il Ticino deve solo riconoscenza. Un concetto, questo, estraneo alla tua sinistra mentalità, lo so, e non te ne faccio una colpa, viste le molte altre doti che sempre dimostri.

Se permetti e per finire, vorresti aiutarmi a sciogliere un dilemma che mi accascia, guadagnandoti la mia imperitura gratitudine? Esistono realmente i (vendi)cattivi che vogliono mettere le mani sul pubblico (uno dei tanti tuoi “giù le mani”) o si tratta, astutamente, di una tattica per non lasciar trasparire che in realtà siete voi a voler mettere i piedi (del “giù i piedi” potrei assumere io la responsabilità) sul privato? Guarda che non ti addebito l’uso improprio e in fin dei conti disonesto di questo subdolo sistema, quello di inventarsi avversari inesistenti per giustificare le proprio aggressioni (scoperto molti anni fa da un certo Miguel de Cervantes in un territorio, la Mancha, ricco di mulini a vento), anche se la somiglianza tua e del succitato Giuseppe con i suoi due celeberrimi eroi è tale da indurre in errore anche un esperto di letteratura granguignolesca.

Nella fretta di salutarti con la dovuta stima stavo quasi per dimenticare di chiederti notizie sullo stato di salute dei profitti del sindacato. Tre o quattro anni fa avevo saputo, tramite la “Weltwoche”, che il capitale proprio dell’Unia ammontava a 265 mio di franchi, notizia da nessuno contestata. Visto l’andamento della borsa da un paio d’anni in qua suppongo e ti auguro che abbia ora superato i 300 mio, sempre di franchi e adesso, grazie all’abolizione del tasso di cambio fisso, da te così deprecata, anche di euro, ancor più utili dei franchi nel caso di una futura adesione all’UE che tanto auspicate, tu e i tuoi kompagni. Ho letto anche, sempre su quella cattivona di una “Weltwoche”, che Corrado Pardini, stella nascente dell’Unia, consigliere nazionale e tuo battagliero (e quindi simile) collega, ha intentato causa ad un sindacato, alleato nella stipulazione di “GAV” (Gesamtarbeitsverträge) nel settore industriale meccanico, chiedendo la restituzione di 16 mio di franchi. Guarda, Matteo, che non è che voglia mettere il naso nei vostri affari, o osare giudizi di liceità morale di vostri profitti, non sono così indiscreto e presuntuoso: si tratta solo di dare ai lettori (come ben sai, le lettere aperte non sono riservate al solo destinatario) una pallida e probabilmente anche imprecisa idea dell’entità dei profitti dei sindacati. Profitti, ne sono arciconvinto, ben più giustificabili di quelli che tu, basandoti su ponderate e forse anche sofferte considerazioni, non riesci più a tollerare nel campo delle attività ospedaliere private.

Con inalterata e, ripeto, dovuta stima

Gianfranco Soldati
 presidente onorario UDC Ticino

Relatore

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