La colonizzazione delle terre dei poveri

Nemmeno un mese fa, Gianna Finardi aveva trattato la problematicità dello stile di vita alimentare dei paesi occidentali, che appare sempre piu’ insostenibile.

Una notizia di pochi giorni fa che denota ancora una volta come le leggi dettate dalle multinazionali e dagli stati ricchi occidentali, attuano una strategia aggressiva pur di salvaguardare la solita routine agroalimentare.
Questa volta si sono avverate quelle supposizioni legittime e prevedibili che recitavano “le terre coltivabili sono sempre piu’ ristrette rispetto ai bisogni alimentari e agricoli umani”.

Ma come si è avverata questa ipotesi di mercato?
Sicuramente nella peggiore delle maniere e con una crudeltà immane specie se pensiamo che sono stati espropriati 1300 contadini dalla loro terra.
Mwesigire, avvocato e scrittore ugandese, afferma senza ombra di dubbio che è in atto una “silenziosa ricolonizzazione su vasta scala”, travestita da sviluppo economico e da lotta alla povertà, ma la cui finalità è unicamente la soddisfazione degli interessi delle multinazionali.
L’azienda svedese EcoEnergy, che ha affittato per 99 anni dal governo tanzaniano più di 20 mila ettari di territorio nel distretto nordorientale del Paese. I braccianti di Bagamoyo, produttori di mais, riso, frutti, e cassava, e piccoli allevatori perderanno oltre alla terra, anche la casa. Inizialmente questa vasta area era di proprietà di un’azienda agricola di Stato che venne chiusa nel 1993 ma su questi terreni le comunità locali hanno esercitato un diritto di uso che oggi gli è negato.

Tutta questa manovra di accaparramento delle terre coltivate da comunità locali nei paesi poveri, piu’ che al progresso in nome della sicurezza alimentare, rassomiglia ad un esproprio, ad un furto per mano di investitori internazionali.
E’ risaputo che La Tanzania, dal 2006, è un luogo di ottimi affari ovvero una nuova frontiera del neocolonialismo dove acquistare appezzamenti di terra, su modello del famoso progetto internazionale Eco Energy che avrebbe come finalità un maggior benessere per le popolazioni povere dell’Africa ma gli esperti, a cominciare da quelli della Fao, sostengono che allevamenti intensivi, supersfruttamento del suolo, pesticidi e fertilizzanti chimici, ogm non sono la soluzione del fabbisogno alimentare, anzi.
Un recente studio econometrico mostra che se, in Tanzania, la terra fosse stata data (e irrigata) ai piccoli contadini, tre milioni di persone in più troverebbero da mangiare.

Il Progetto Eco Energy produrrebbe piu’ su larga scala attraverso monocolture il cui ricavato sarebbe esportato e non certo secondo un gradiente di sostenibilità che deve partire già su piccola scala per permettere il sostentamento degno delle popolazioni indigene.

Il Commento di Gianna Finardi:” In questi mesi, leggendo notizie di vario genere sulla sostenibilità alimentare, è come se avessi sempre piu’ la certezza che la sostenibilità è possibile ma è un po’ come se si vivesse in un sistema assurdo dalle sembianze di una bilancia starata i cui bracci pendono solo a favore dei capitalisti. Infondo tutti siamo capitalisti,  perché abbiamo un capitale personale, anche di pochi euro, ma poi ci sono persone i cui capitali smisurati sono investiti in progetti agroalimentari come se i ricchi  volessero assicurarsi il cibo!
Una cosa è certa, la rete dei singoli ha una forza indiscussa e annientarla sarà la sfida delle multinazionali. I mercati rionali, i  produttori a chilometri zero, gli orti di casa o di quartiere sono un ottimo esempio di sostenibilità e sono sinonimo di  ricchezza, biodiversità, non che un’immediata alternativa alla globalizzazione ma tuttavia sfuggono al dominio perverso delle multinazionali e credo che queste ultime sapranno elaborare strategie di mercato per demotivare i piccoli produttori. Basta solo triplicare il prezzo delle piantine da orto, impedire le sementi fai da te, vietare l’irrigazione delle parti esterne e già molti si troverebbero ostacolati non poco>>.

Hedy Lamarr

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