Natalia, le rondelle di mele e le torri desolate

Questo è un semplice post pubblicato sulla pagina Facebook di Natalia Ferrara Micocci. Mi è piaciuto perché è schietto e si assume la responsabilità di criticare.

EXPO 2015 – Il mondo a Milano. Primo piede giù dal letto, mi ricordo della giornata di ieri, secondo piede e ripercorro con un smorfia tutti i km sudati ieri. 110 ettari di edifici, esperienze, emozioni. Certo, non tutto merita lunghe code sotto il sole e piedi gonfi come palloni da calcio. Togliamoci subito il dente del padiglione svizzero. Triste. Grigio. Anonimo. Ora, noi tutti sappiamo la storia delle rondelle di mele e pensiamo di far riflettere milioni di visitatori. Ci sbagliamo. Quello che rimane dopo la visita alle torri è una enorme desolazione. Accesso antistante banalmente asfaltato, prima coda per avere un ticket con orario stabilito, poi una seconda per entrare. E dopo? Niente. Un paio di stanze magazzino, un paio di addetti vestiti con la peggior divisa e spogli di entusiasmo e padronanza delle lingue. Due parole, dico due, sulla responsabilità, mele e acqua che sono finite. Tschüss. Né immagini delle nostre saline, né racconti sui ricercatori che hanno permesso la liofilizzazione del caffè, niente. Io mi tengo le fiacche ai piedi, ma chi ha curato il nostro progetto prenda un calcio nel sedere. Perché altrove sembra di entrare in un Paese e non in un padiglione. Foto, filmati, installazioni, luci e musica. Israele, Emirati Arabi, Kazakistan, Colombia… Non vi racconto cosa troverete, guai guastare le sorprese! Ma sarà come viaggiare con un open ticket e tornare con un bagaglio di informazioni. Anche nei padiglioni che non brillano, qualcosa di piacevole si trova, che sia il parco fiorito cinese, i batik vietnamiti e anche una assurda piscinetta (più kitsch che) ceca. E mentre l’albero della vita svetta in rosa, il palco dell’anfiteatro si illumina con il Cirque du soleil, mi trascino all’uscita e penso che tornerò, per visitare altri Paesi, gustare altri cibi e vivere nuove esperienze… qui si respira tutt’altra aria che quella del fallimento. A meno che non si parli di noi, con quei silos svizzeri e quei silenzi ticinesi. Non ci siamo, no. Nel vero senso della parola.

Relatore

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