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Una massa monetaria in esplosione distorce l’economia – di Paolo Pamini

Sembra un paradosso: stiamo vivendo un periodo di inflazione senza aumento di prezzi. È la morsa impietosa che mette sotto pressione moltissime aziende, locali o internazionali che siano.

Prima di tutto siamo vittime di una decennale rivoluzione semantica che ha portato a credere che l’inflazione corrisponda all’aumento dei prezzi (una delle possibili conseguenze, non affatto l’unica) anziché l’emissione di moneta dalle banche centrali (ossia la causa). Basti solo sfogliare il Webster’s Dictionary del 1913, e alla voce inflation si leggerà “l’espansione monetaria causata da sovraemissione”. Dello stesso tenore ancora nel 1932 (!) il Dictionnaire de l’Académie française. Non stiamo parlando del sesso degli angeli, bensì di migliaia di miliardi di Euro emessi in questi anni e di milioni di posti di lavoro in Europa sotto continua pressione. Rievocando la Grande Depressione degli anni ‘30, governi ed economisti ci mettono costantemente in guardia dal rischio di deflazione, modernamente intesa come diminuzione generalizzata del livello dei prezzi, e giustificano pertanto ulteriore produzione monetaria dal nulla per mezzo delle banche centrali, a beneficio del finanziamento del debito statale in continua espansione. La storiella della deflazione non è affatto nuova: la si sentiva nel 2008, e già prima nel 2002.

Chi tralascia il frastuono mediatico e guarda alle statistiche nude e crude vede tuttavia l’esatto opposto: dati alla mano, negli anni il livello dei prezzi in Europa è aumentato, tanto che l’Euro di oggi compra meno del 75% dell’Euro del 1998, al momento della sua introduzione. Una tassazione di un quarto del potere d’acquisto, mentre tutti parlano di deflazione! Ma non solo: dal 2000 al 2013, in Europa il prezzo medio di un Big Mac è aumentato del 40%, a fronte di un aumento medio dell’indice dei prezzi del 29%.

La quantità di moneta emessa dalle banche centrali è letteralmente esplosa negli ultimi anni (oggi più di 5 volte quella del 2008). Questa inflazione in senso stretto non si è pienamente tradotta in aumento generalizzato dei prezzi, bensì molto spesso e in molti settori nella diminuzione della qualità o quantità di prodotti a prezzo costante. In ogni caso un’erosione dissimulata del potere d’acquisto degli investitori e dei risparmiatori, spesso tralasciata nella misurazione ufficiale dell’inflazione. Come già notava l’economista liberale Murray Rothbard, l’inflazione monetaria conduce ad una riduzione della qualità di beni e servizi, poiché spesso i consumatori si oppongono meno agli aumenti di prezzo quando questi avvengono sotto forma di deteriorazione della qualità.

Bastano pochi esempi quotidiani per accorgerci di cosa sta succedendo. Sempre più parliamo con una hotline telefonica automatica anziché con persone vere e proprie. Servizi accessori un tempo offerti vengono soppressi: il parabrezza lavato dal benzinaio, oppure la verifica del livello dell’olio motore o della pressione dei pneumatici. Subiamo code d’attesa più lunghe nelle amministrazioni, o nella sanità per ottenere le stesse cure; addirittura nei commerci come grandi magazzini. Ci vengono offerti pasti di minor qualità negli areoplani, se non vengono integralmente soppressi senza sensibile variazione di prezzo. I grandi magazzini adottano casse self-service dove i consumatori si accollano il lavoro un tempo eseguito dalle cassiere (stipendiate). Stessa dinamica con il self-check-in agli aeroporti.

Il punto non sono le modifiche tecnologiche, che normalmente dovrebbero permettere prezzi al consumo minori, bensì il fatto che i prezzi finali rimangano essenzialmente costanti. Si paga uguale per ricevere di meno. La stessa dinamica la si osserva in molte confezioni dei supermercati, che a parità di prezzo hanno ridotto le quantità.

Pertanto, l’aumento della massa monetaria che sta finanziando gli enormi debiti pubblici (e non solo greci) ha anche questa volta effetti distorsivi sull’economia nel senso di un peggioramento del rapporto prezzo-qualità. Dato che il debito non è altro che uno spostamento di risorse tra persone, è naturale che qualcuno nel mondo debba subire gli effetti della spesa statale finanziata con debito pubblico ed emissione monetaria, come in Europa. Questi sono i consumatori, che subiscono una qualità minore a parità di prezzo anziché prezzi maggiorati a parità di qualità. L’effetto è sempre lo stesso: inflazione nel senso tradizionale, benché non misurata dagli indici statistici.

Paolo Pamini
Economista, Liberales Institut ed ETHZ

(articolo pubblicato nel GdP)

Relatore

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  • Ciò che mi piace del prof. Pamini è la sua schiettezza argomentativa.
    Parla chiaro. Anche quando zibaldona.

    Sì, perché quello che dice è chiaro, è addirittura molto chiaro dove vuole arrivare; ma… ogni capoverso ha una sua anima, perdiana. Ogni capoverso meriterebbe uno specifico approfondimento, dovrebbe essere trattato di per sé. Ciò che non mi convince è la presunta unitarietà discorsiva. Come se tutto dovesse inevitabilmente portare a…

    È vero quando parla di paradosso del livello dei prezzi, È vero quando parla di frastuono mediatico. Pure vero il massiccio ricorso all’emissione di denaro da parte delle banche centrali. Pure scandalosamente vera la perdita di contatto tra la burocrazia markettara delle hotline telefoniche, e la solitaria sofferenza del cittadino comune lasciato alla deriva nella moderna corte dei miracoli dei penultimi.
    Tutto vero.

    Ma ogni specifico ha una sua… specifica. Il finanziamento dei debiti pubblici ha (avuto) la specifica genesi del correre in aiuto dei “privatissimi” istituti di credito distrutti dal “privatissimo” disastro del 2008. Per esempio. È di questi giorni la pubblicazione su “Sole 24 ore” di una tabella esemplificativa denominata “mappa dei salvataggi” che dimostra quanto denaro pubblico sia stato somministrato dai cittadini di vari Paesi per “curare” il “privatissimo” mal di default bancario. Digita: “ Sole 24 ore-Perché è più facile prendersela con i vizi pubblici che non con quelli privati”. Per esempio.

    Inoltre la solitudine del cittadino comune è una solitudine riferita ai grandi monopoli (pure privati) in crescita (grande distribuzione, telefonia, trasporti aerei, mercato fondiario), che si sentono così forti e protetti dall’alleanza con i grandi media (dissimulatori-frastornanti) da considerare il cittadino nemmeno più un «cliente», ma piuttosto come schiavo delle finalità azionarie.

    Anche perché il cittadino comune ha smarrito ogni seppur minima dignità davanti ad ogni… privazione.
    Anzi davanti ad ogni… privatizzazione.

  • Bello e istruttivo leggere Pamini e bello e istruttivo leggere anche Senzaquorum.
    "cittadino nemmeno più cliente, ma piuttosto schiavo delle finalità azionarie"???? No, solo un pollo, da spennare senza farlo gridare, con spudorato cinismo e

    • ("ma piuttosto schiavo delle finalità azionarie"????")

      Caro GS1235, la “cura” neoliberista è stata somministrata in questi ultimi vent’anni proprio per spostare il reddito del lavoro (salari e investimenti) al profitto azionario. Nulla più di una subdola distopia in cui la MISERIA è parte integrante del sistema. In realtà la finanza ha assunto il ruolo di sistema (un ruolo politico) quindi al posto di… finanziare (eventualmente) la crescita industriale, finanzia se stessa. Inoltre va fatta una fondamentale distinzione tra CRESCITA e SVILUPPO. Ringrazio per gli apprezzamenti e la saluto cordialmente.

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