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Film in concorso: “James White” – Recensione di Desio Rivera

Facce sporche al Pardo. No, non è una polemica, sono i manifesti di questo anno. Facce che, dicono, sono state colpite da “pardite” ma, in realtà, sembrano di minatrici (evviva la parità uomo-donna, di minatrici vere non ne avevo ancora viste), e minatori di una miniera di carbone… con le striature nere che le solcano.

Desio-RDesio-RLa mini-polemica, per il momento è “basata” sul documentario “Suore” escluso per mancanza di qualità artistiche – secondo il direttore artistico Carlo Chatrian. Ma che, invece, pare venga letto da alcuni come una “discriminante” sulla nostra – piena di Chiese – regione ticinese con relativa tendenza al cattolicesimo… mi sembra di aver capito. Bè, tranquilli, le Chiese non sono vuote per questo. E poi lo si potrà vedere al festival “alternativo” e concomitante del Rivellino.

L’altra polemica riguarda la presenza di film finanziati dallo stato di Israele, nomi conosciutissimi hanno firmato petizioni contro questa scelta. Ciò non fa che confermare che Locarno è internazionale, e quasi mondiale, visto chi si è scomodato per le firme. I registi arabi, pure invitati al Festival, non hanno nemmeno preso in considerazione un boicotto. Anzi, sono corsi a frotte (Open Doors e dintorni) per “bilanciare” le temute parzialità israeliane con, immagino, altrettante parzialità arabe. Il confronto verbale bilanciato non fa parte del discorso musulmano-ebreo. Vedremo se mi sbaglio. Tutto all’insegna, come da sempre – se ricordo bene, sono nato nel 1950 ed era già così nella mia infanzia – del …”volemose tanto bene” … israelo-palestinese.

james-whitejames-whiteMa veniamo ai film. Ho appena visto il primo (in ordine di visione) del concorso internazionale: James White di Josh Mond

– USA 2015 – Girato a New York – con una scappata in Messico – è un ulteriore esempio della bravura degli attori americani, si vedono le selettive scuole di recitazione che stanno dietro di loro. Tutto gira intorno alla vita di James, dal mese di novembre al mese di marzo. Novembre, mese dei morti, inizia infatti il film con la veglia funebre per la morte del padre. Due vedove: la mamma di James e la giapponese con figlia, seconda moglie che lui conosce per la prima volta in questa occasione. James è un “bel bisteccone” barba e baffi neri, fisico possente. Lo seguiamo nel suo “mal di vivere” per (anche) un’infanzia senza il papà ma compensata ampiamente dall’innamoramento tra la mamma e lui (sentimento madre-figlio non parlo di incesto, lo sottolineo). James ha quale migliore amico un omosessuale che, da poco, ha ufficializzato il suo essere in coppia con un maschio che si vede, di sfuggita, nudo sul letto. E James chiede all’amico: “Ma lo sei al 100%? Sì, assolutamente!” Vi ricordate quando questi discorsi erano “tabù”? Bè il mondo si evolve, e bene, per fortuna, almeno sulla moralità comune, sempre più interessante e variegata e decisamente con l’ipocrisia che si sta volatilizzando sulle scelte personali e intime.

James, scrittore senza sbocco, vive sofferto, “prigioniero” e mantenuto dalla madre. Anche la disoccupazione in questo mondo non è più “tabù”… purtroppo. Eh, il mondo ideale che verso la fine del film James racconterà alla madre in un estremo gesto di speranza e consolatorio (anche lei in punto di morte per un cancro) dove le famiglie sono felici, le mamme sono nonne con i figli sposati con due bei bambini, le vedove si innamorano a tarda età e via con i luoghi comuni che non stancano mai di essere centrali nei ragionamenti della “gente”. Raccontati come una bella favola. Purtroppo ideali sempre più sfocati dalla realtà che ci siamo costruiti, desiderata politicamente e finanziariamente e che, in nome della libertà si trasforma, stranamente, in un continuo di divieti e di conflitti: viva la contraddizione, anche questa appartiene alla vita.

La dedizione all’amore materno, così si può riassumere questo film, di un figlio un po’ ribelle, un po’ aggressivo, un po’ sbevazzone quando è con gli amici e la ragazza. Bravissimo figlio ideale quando è con la mamma. Pieno di risorse da donare davanti alla morte inevitabile e molto sofferta della amatissima madre. Eh sì il cancro è proprio una brutta cosa, anche nel film che non ci risparmia lunghe scene descrittive sul suo evolversi, sul consumarsi della vita, sulla fine liberatoria, per chi muore.

Dalla dedica che appare alla fine del film, è facile presumere che sia basato su avvenimenti reali che hanno coinvolto il regista. Un bel film? Interessante ma troppo statico. Se l’attraente protagonista non vi coinvolge regalandovi una buona disponibilità, vi angoscerete un po’ e basta.

Desio Rivera

Relatore

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