Ucci, ucci, ucci, sento odor di leoparducci! L’anteprima del film italiano è gremita dalla folla di giornalisti/critici e non è solo perchè molti sono di madre-lingua italiana… si capta che è un film ricolmo delle promesse che richiede un festival. I tempi lunghissimi, le pause, l’impegno politico con qualche scena di manifestazioni pro e contro camorra, la musica classica sopra scene bucoliche, pastorali ma, sopratutto, l’idea del regista di eseguire le soggettive con gli occhi del bovino protagonista. Non solo la vista ma pure l’udito, Il suono dovutamente deformato come sentirebbe il bovino con le sue orecchie nell’immaginazione del regista.
Qui, dietro alla recitazione degli attori non si sente la formazione e la dizione delle scuole USA. Non ci fossero stati i sottotitoli in inglese e francese – il dialetto campano è un po’ (tanto) estraneo alle mie conoscenze linguistiche – non saprei quasi nulla del detto.
Naturalmente, (sono qui alla conferenza stampa intanto che scrivo) a tanto di film impegnato, domande e risposte dei criticigiornalisti con rimandi a grandi registi, Pasolini compreso, grandi scrittori, attori mitici, da Totò in su…
La prima domanda dei giornalisti è: – Ma quale pubblico andrà a vedere questo film? – e capisco benissimo perché il “collega” se lo chiede… Anche a me non ha dato nessuna emozione.
Insomma, è quello che, qui al festival di Locarno, viene considerato un bellissimo film. Oramai ci si è abituati a scelte che, personalmente, trovo assurde. Ma vorrei sbagliarmi clamorosamente! Alla fine, vedremo se vince il Pardo.
No Home Movie di Chantal Akerman – Belgio-Francia 2015 / concorso internazionale
Inizio del film: un paesaggio brullo con, in primo piano, un albero sferzato dal vento . Scena fissa di 3 minuti. Capisco il bisogno della regista di far trasparire emozioni dando allo spettatore stimoli audiovisivi evocativi. Ma queste scene statiche, fisse dove non succede nulla, personalmente mi esasperano e basta. 1 minuto non bastava? Ed è solamente la prima di tante altre scene immobili.
Il film scorre lunghissimo, quasi due ore. Per la regista, come per tutti coloro che “sono innamorati” della mamma, immagino che sia stato un attimo. L’affetto per la mamma blocca il tempo di chi la ama che vorrebbe non finisse mai. Ma per lo spettatore no, può essere stancante questo lento susseguirsi di lente inquadrature fisse. Nel finale si comprende che Chantal non ha potuto essere vicino alla mamma al momento della morte. Lei deve partire. La mamma, sdraiata senza forze su una comoda poltrona, le dice che le mancherà molto. E segue un’ultima inquadratura statica e lunga: un angolo della casa luminosissimo, porte aperte su cucina e camera, mobilio di gusto borghese. Qualcuno passa dietro la macchina da presa, solamente un leggero riflesso nel piedestallo di un soprammobile, lo lascia indovinare. Chantal è a casa e la mamma non c’è più.
Desio Rivera
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