“Tutto è incominciato con l’estromissione di Blocher” – Intervista a Paolo Pamini

Pamini è liberale. Non è statalista, non è assistenzialista, non è buonista, non è europeista. Pamini è liberale. Per questo ci piace intervistarlo, per questo ci piace ascoltarlo. Un’intervista di Francesco De Maria.

Francesco De Maria   Destra è una parola che per decenni è stata demonizzata. Oggi sembra quasi… diventata di moda! Possiamo rallegrarcene?

Paolo Pamini   Sì, se è sintomo (come credo e spero) della progressiva presa di coscienza dei danni che il socialismo ed i socialisti di tutti i partiti recano alla società. Forse il principio “da tutti secondo le proprie capacità e a tutti secondo i propri bisogni” (illimitati) si sta nuovamente schiantando contro il muro della realtà.

Non bisogna andare in Nord Corea, Cuba o Grecia per capirlo: dopo 8 anni di socialdemocrazia al DFE le finanze cantonali sono sfasciate, proprio ora che sono necessari tagli delle aliquote sulle imprese per mantenere gli innovativi poli industriali ticinesi quando verranno abolite a livello svizzero le tassazioni privilegiate che hanno contribuito ad attirarli.

Oltre a ciò la rinascita della destra potrebbe essere legata alla riscoperta delle radici locali. In ottica liberale (ossia difesa incondizionata della vita, della proprietà privata e dei frutti del proprio lavoro) ciò può essere cosa sia positiva sia insidiosa. È problematica se il nazionalismo serve solo a giustificare più protezionismo, più burocrazia e un maggior ruolo dello Stato. È invece positiva se, in un contesto di crescente globalizzazione (maggior interscambio economico e divisione internazionale del lavoro a vantaggio di tutti i contraenti), si riscoprono e mantengono le diversità che sono per prime alla base dell’interazione tra persone diverse. In questo modo (“glocal”) si interagisce su scala mondiale mantenendo un’identità e coesione locale, senza pretendere che anche lo Stato assuma dimensioni mondiali. È il miglior antidoto culturale per esempio contro lo statalismo selvaggio dell’UE.

“Destra” non significa, anche, nazionalismo? Lei si dichiara liberale e rappresenta in Parlamento il liberalismo. Come riesce a conciliarlo con il nazionalismo?

PP   Per questo motivo credo fermamente in un approccio “glocal”: libera circolazione di merci e capitali, moderatamente di servizi, e controllo di quella delle persone essenzialmente per colpa dello Stato sociale (che obbliga i produttori di ricchezza a farsi carico anche di chi immigra sul territorio senza il consenso dei primi) e delle conseguenze negative della mentalità relativista multiculti.

Per intenderci, si pensi che per esempio l’immigrazione dell’800 era ben altra cosa di quella che conosciamo oggi: chi arrivava nel nuovo Paese (spesso il Nuovo Mondo) o si rimboccava le maniche dando il suo contributo fattivo alla convivenza sociale e all’interscambio tra pari, o giustamente non andava lontano a meno che qualcuno volontariamente se ne facesse carico. In altre parole, è la generosità sconsiderata dello Stato sociale (sempre pagato coi soldi degli altri, al contrario della vera solidarietà) la causa principale della necessità del controllo delle frontiere.
Non si tratta dell’unico esempio di come la socialità di Stato finisce per esser liberticida, per contenere i suoi costi in esplosione. Si pensi alla sanità prodotta a carico dei contribuenti anziché dei diretti utenti (anche con vere soluzioni assicurative) come avviene in qualsiasi normale servizio: essendo “gratuita” e garantita a tutti, la sanità di Stato giustifica l’obbligo del casco, delle cinture di sicurezza, la repressione di fumo e droghe e in generale molte politiche salutiste che vietano di usare responsabilmente ma come si vuole il proprio corpo.

Con queste considerazioni torniamo così alla prima domanda su destra e sinistra. Il vero discrimine della modernità è “più o meno Stato”. Se con destra intendiamo meno Stato, può anche andarmi bene. Ma attenzione che nella galassia di destra abbiamo chi sogna invece un maggior ruolo della mano pubblica, come lo erano (e il nome la dice lunga) i nazionalsocialisti. Fu Hitler a promuovere in grande scala le prime politiche salutiste al grido “Ein gesundes Volk raucht nicht”! Inoltre, le politiche economiche del Führer erano keynesiane e finanziate da un debito pubblico in esplosione. Non fu infatti un caso che lo stesso Keynes, nella sua prefazione all’edizione tedesca della “General Theory” scrisse che le sue innovative proposte (ossia incrementare la spesa pubblica per rilanciare l’economia, anziché favorire risparmio ed investimenti come fino allora gli economisti consigliavano) si adattavano ancor meglio ad uno Stato totalitario anziché ad un’economia liberale.

Mi spieghi perché il termine “liberalconservatore”, che lei ama, è perfetto per esprimere una certa posizione politica.

PP   Le risposte di prima dovrebbero aiutare a comprendere cosa intendiamo dire col fatto che siamo conservatori nei valori ma progressisti nelle strutture ed istituzioni. La triade dei valori liberali classici vita-proprietà-libertà (in realtà null’altro che tre varianti della proprietà privata, in primis di se stessi) è oggi attuale più che mai, ma la sua promozione e difesa vanno adattate al contesto e alle strutture attuali. I tedeschi parlano spesso di wertkonservativ (noi) e strukturkonservativ (oggi, paradossalmente la sinistra arroccata sulle posizioni difensive di un welfare state manifestamente infinanziabile e moralmente dannoso).

Non vi è solo l’aspetto economico e la lotta allo statalismo selvaggio, bensì ci sono importanti aspetti culturali. In nome del rispetto delle diversità, la società postmoderna occidentale di oggi corre il rischio della totale relativizzazione dei valori. Non si può per esempio essere tolleranti con gli intolleranti. Vi sono dei valori assoluti (in buona sostanza appunto la proprietà privata con tutte le sue declinazioni: diritto alla vita, diritto a fare ciò che si vuole del proprio corpo, diritto ai frutti del proprio lavoro, pertanto minore tassazione e regolamentazione possibile, no allo Stato ficcanaso e moralizzatore ecc ecc.) che non sono negoziabili, pena il cambio di società. È il nucleo culturale dell’Occidente. E proprio in nome di tali valori non negoziabili, non si può tollerare chi intende diffondere anche da noi modi di vita basati sull’intolleranza. Queste tensioni non sono affatto nuove nella storia dell’umanità, si tratta solo di tenerle ben presenti e di non accettare compromessi su tali fronti.

Un partito politico è fatto anche di numeri. Area Liberale non è, piuttosto, una specie di raffinato club di intellettuali? Come potrà acquisire “massa corporea”?

PP   AreaLiberale ha tre anni di vita e secondo tabella di marcia ha raggiunto il suo primo obiettivo dichiarato al momento della costituzione: entrare in Gran Consiglio alle Cantonali 2015 e da lì iniziare un serio lavoro di opposizione coerentemente liberale con lo scopo di frenare il declino del Cantone e di far conoscere a più cittadini possibile che esistono proposte coerenti e funzionanti alternative ai tanti problemi causati loro dallo Stato.

Naturalmente, all’inizio eravamo in pochi. Per fare i nomi più in vista, possiamo pensare a Sergio Morisoli, Alberto Siccardi, e Stelio Pesciallo oltre ad altri tra i quali Guido Robotti o chi le parla. Siamo dei veri e propri imprenditori politici che rischiano tempo, energie e reputazione per promuovere ciò in cui credono. Non abbiamo particolari tornaconti personali proprio per le nostre attuali dimensioni e le nostre professioni indipendenti dallo Stato. Pertanto, i cittadini sanno che agiamo in modo molto credibile coerentemente con le nostre convinzioni. Anzi, solo ora e in questo contesto abbiamo l’occasione unica di investire nella nostra credibilità e reputazione. Poiché la politica non ci serve per mangiare, non abbiamo problemi se tra tre anni non saremo rieletti. Per questo possiamo essere sinceri nelle nostre convinzioni, nei nostri messaggi, e nelle nostre azioni. Diamo il tutto e per tutto subito, potendo anche dire quando il re è nudo. Sono convinto che godiamo del bene più prezioso: poter portare avanti incondizionatamente ciò in cui crediamo. Le giuro che il piacere di fare politica a queste condizioni e con colleghi del genere non è descrivibile.

Inoltre, strategicamente questo sottile aspetto giocherà nel tempo un ruolo decisivo, perché ormai la classe politica sta perdendo sempre più credibilità tra i cittadini, che malgrado la pomposità retorica dei politici si accorgono che il re è nudo per davvero. Sono convinto che abbiamo davanti a noi anni molto promettenti, se facciamo un lavoro serio. Lo scopo è preservare ed aumentare il benessere che abbiamo in Ticino, e di regola non è lo Stato bensì la società che può farlo. Il primo non deve mettere lacci, lacciuoli e tasse alla creatività della seconda. Non si tratta d’altro che la continua lotta tra ceto produttore e ceto parassitario che esiste fin da quando gli uomini sono diventati stanziali. I Sumeri sono crollati per il troppo Stato e per l’assenza di imprenditoria, e come loro tante altre civiltà.

Che cosa ne deriva concretamente, affinché prendiamo massa corporea? Le faccio un semplice esempio: in luglio con La Destra abbiamo lanciato il “Ginnasio liberalconservatore”, una piattaforma di collaborazione tra i cinque granconsiglieri e quei cittadini che hanno voglia di impegnarsi in progetti concreti, con l’unica condizione che condividano i nostri valori di riferimento e abbiano intenzione di produrre politica liberalconservatrice di qualità. Infatti, al contrario dei partiti storici, per noi deputati de La Destra non è concepibile l’idea di avere una “base” del partito con cui parlare: un atteggiamento di profonda supponenza verso gli elettori che vengono così guardati dall’alto verso il basso. Nel Ginnasio liberalconservatore partecipano invece cittadini ai quali noi deputati spieghiamo cosa si muove in Parlamento e dai quali riceviamo input e feedback da iniettare direttamente nelle istituzioni. Collaboriamo tra pari per promuovere ciò in cui crediamo.

Ma non finisce qui, perché la vera innovazione del Ginnasio è ben altra: Tizio conosce un problema specifico e vorrebbe cambiare una determinata legge, o meglio ancora abrogarla facendo saltare un po’ di inutile burocrazia? Tizio viene da noi, discutiamo dell’idea, e se la cosa sta in piedi Tizio scrive insieme a noi un atto parlamentare vero e proprio che presenteremo in Gran Consiglio. Se Tizio lo vorrà, l’atto riporterà esplicitamente il suo nome e sarà lui a parlarne con i media; altrimenti gli garantiamo l’anonimato e mettiamo solo noi deputati la faccia. Ecco cosa significa per me per essere un imprenditore politico. Sono convinto che questo modo di far politica è seriamente innovativo e difficilmente imitabile dalla partitocrazia di oggi. Chiamiamola “democrazia 2.0”. Porteremo i cittadini in Parlamento ed il Parlamento tra i cittadini. Capisce che il “raffinato club di intellettuali liberali” improvvisamente prende le dimensioni di tutto il sapere e dell’entusiasmo che ci metteranno i cittadini attivi nel Ginnasio liberalconservatore.

Il Ginnasio sarà la piattaforma di interazione tra politica e cittadini, la sala parto della politica liberalconservatrice di opposizione costruttiva, nonché la palestra di nuovi politici liberalconservatori pronti a conquistare nuovi seggi in Parlamento catalizzando la rivoluzione civica di cui parliamo.

Ho sentito spesso dire in giro: “Pamini è bravo ma purtroppo è un estremista” (sullo Stato “leggero”, la fiscalità, le privatizzazioni, la scuola…) Lei che ne pensa?

PP   Questa naturale critica mi lusinga due volte! Sia per il “bravo” (che non sono affatto al confronto di altre persone ben migliori di me) sia per il riconoscimento della mia coerenza incondizionata nei valori in cui credo. Robert Nef, uno dei miei grandi maestri che diresse per anni il Liberales Institut di Zurigo nel quale sono cresciuto culturalmente e di cui ora sono collaboratore occupandomi di parte della produzione italofona e della prossima apertura in Ticino, non si stanca di ricordare una cosa essenziale: nelle idee non esistono compromessi, mentre la politica è l’arte del compromesso.

In altre parole, sul piano delle idee bisogna essere il più focalizzati possibile, mantenere sempre una gran modestia culturale concedendo il dubbio di non aver compreso ogni singolo aspetto ed essere riconoscenti verso chi aiuta a scoprire eventuali errori di ragionamento, ma rifiutare categoricamente idee o ragionamenti che si sanno essere errati. Un principio o è giusto o è sbagliato; non esistono mezze verità, al massimo aspetti non ancora pienamente compresi.

Cosa fa oggi la classe politica? Mena il can per l’aia e si atteggia con il “pragmatismo”. Nella totale ignoranza (attiva) dei principi guida, si cade vittime della più bieca partitocrazia. Teoria e prassi sono invece inscindibili: ogni azione ragionata implica la scelta tra possibili alternative, e tale scelta può essere solo guidata dalla teoria. Noi esseri umani decidiamo con la testa, il cuore e la pancia. Funzioniamo così e questa è la nostra fortuna rispetto agli animali che decidono solo con l’istinto. Pertanto, il “pragmatico” si illude di decidere evitando di affrontare le teorie dei massimi sistemi o la vera radice dei problemi, ma di fatto si orienta in un modo o nell’altro a qualche idea, che spesso se venisse a galla non gli renderebbe neppure molto onore. Infatti, in un confronto politico, la più bella soddisfazione è esser attaccati con argomenti personali, perché significa che l’opponente non ha più argomenti di sostanza. Normalmente è il segno che è giunto il momento di colpire.

Il suo partito è liberale e il PLR lo è per metà (lo dice bene anche la sigla). Che cosa “salva” del P Liberale R ? (ma non sia troppo severo, so che lei ama sparare a zero…)

PP   Sta male giudicare in casa altrui; sotto il pel d’acqua il panorama politico e partitico sta evolvendo moto rapidamente. Chi sa leggere i dettagli delle statistiche elettorali sa cosa intendo. Si pensi solo a quanti deputati del gruppo PLR sono davvero liberali, ossia vicini a quanto ancora solo pochi anni fa promosso da Marina Masoni prima e poi da IdeaLiberale. Ad ogni modo, aspettiamo di unire le forze liberalconservatrici in un sistema maggioritario per mettere con le spalle al muro quelle socialdemocratiche. Nel frattempo collaboriamo su temi puntuali e con persone precise. Le amicizie e le stime personali persistono. Non abbiamo mai attaccato nessuna persona, bensì idee e proposte.

Aggiungo che in effetti i più bei dibattiti (sebbene elettoralmente portino pochissimo) li ho sempre vissuti con la sinistra radicale, che come me crede nelle proprie idee ed è stimolata ad approfondirle tramite il confronto dialettico. Abbiamo un grande rispetto personale reciproco, ovviamente non delle idee. La cosa mette nuovamente in luce la pochezza dei politici “pragmatici”.

Area Liberale dovrà assistere da spettatrice alle Federali d’autunno. Non si sente un po’ “tagliato fuori”?

PP   Assolutamente no. Bisogna saper fare il passo della lunghezza della gamba. AreaLiberale per il momento ha una grandissima responsabilità nei confronti dei suoi elettori di aprile, che hanno sostenuto l’alleanza La Destra preservando il gruppo parlamentare, sfiorando il sesto granconsigliere, volendo due AL in Parlamento e facendone giungere quattro tra i primi dodici candidati dell’alleanza con UDC e UDF. Credo sarebbe stato un grave errore voler essere della partita federale ora a tutti i costi. Per il momento siamo come lo zafferano, non ancora come il prezzemolo.

Se Pamini non può partecipare… può almeno commentare. Prevedere. I 5 candidati principali sono: Lombardi, Abate, Ghiggia, Savoia, Malacrida.
— Come immagina il primo turno?

PP   Immagino che Ghiggia darà molto filo da torcere ai due uscenti e che si posizionerà bene, considerato che il tema dominante sarà la relazione Svizzera-UE.

— Come immagina il ballottaggio?

PP   Se dovessi puntare soldi su chi dei tre (Lombardi-Abate-Ghiggia) non ce la farà, in tutta franchezza non saprei proprio chi scegliere. Sarà una votazione frizzante. Chissà se i due uscenti si ricrederanno sull’UE… [Uno scrive tantissimo; l’altro, per ora, poco… ndr]

Che cosa non va nel Consiglio federale?

PP   Semplicemente il perdurante mancato rispetto dell’antica formula magica. Tutto è iniziato con l’estromissione di Blocher. Perché il PPD svizzero si è offeso per aver perso il proprio secondo consigliere federale e perché, al contrario del PPD ticinese, esso slitta sempre più verso posizioni socialdemocratiche. Estromettere il secondo UDC in generale e Christoph Blocher in particolare dal Consiglio federale è un gravissimo errore. Le menti brillanti (favorevoli o contrarie) vanno sempre incluse, soprattutto quando hanno i numeri; e poi ci si confronta. Come sempre, i mediocri invece scelgono le scorciatoie, e giustamente poi i cittadini s’arrabbiano.

Che cosa succederà a dicembre sotto la Cupola? Questo governo disastroso [opinione dell’intervistatore, sia chiaro] continuerà?

PP   Ho una gran paura di sì.

Le viene assegnato il compito di organizzare la comunicazione della Destra (un mago munito di bacchetta magica le assicura che disporrà dei mezzi necessari all’uopo). Come traccia il suo piano d’azione e quali concetti sviluppa?

PP   Famiglie che educano ed imprese che generano ricchezza sono le ricette della politica liberalconservatrice. Il tutto condito con un maggior ruolo dei cittadini a scapito della partitocrazia. Parlerei pertanto della rivoluzione civica che vogliamo promuovere: i cittadini riprendono in mano la Repubblica. Inoltre promuoverei i temi prioritari.

Iniziamo dai progetti per noi prioritari: (1) referendum finanziario obbligatorio e (2) riduzione delle soglie di firme per iniziative e referenda con parallelo allungamento dei termini, in modo che i cittadini possano controllare maggiormente lo Stato e l’uso dei loro soldi; (3) introduzione della civica nelle scuole, come hanno già votato i cittadini ticinesi ed i socialdemocratici del DECS si ostinano ad insabbiare; (4) lotta agli sprechi pubblici, magari indicendo un concorso per premiare il cittadino che sgama quello più colossale; (5) no all’adesione strisciante all’UE; (6) prima i nostri e una riforma fiscale che sostenga le imprese e mitighi le pressioni salariali sul mercato del lavoro ticinese. In generale promuoverei più mercato e più solidarietà, anziché sempre più Stato e socialità.

Inoltre promuoverei il coinvolgimento attivo dei cittadini (Ginnasio liberalconservatore) ai quali offriamo di interagire con le istituzioni come se sedessero in Parlamento. Il sogno? Che un cittadino liberalconservatore non dica più “si dovrebbe fare” bensì “ho fatto”.

Per finire. La nostra estate è colma di migranti e ossessionata dai migranti, lei però raramente ne parla. Come affronta lo scomodissimo tema il liberale Pamini?

PP   Nel mio appartamento non c’è alcun problema di immigrazione illegale: entra chi invito io. In altre parole, come detto in apertura di intervista il problema è la logica conseguenza del moderno Stato sociale che permette a Tizio di vivere alle spalle di Caio, mentre il burocrate Sempronio ed i suoi amichetti gestiscono con piacere tutta la baracca, pure alle spalle di Caio tacciandolo di razzista xenofobo se osa far notare qualcosa. Abbiamo detto prima che negli USA dell’800 il problema non si poneva. I nostri trisnonni che andavano in Francia, in Argentina o in Australia avevano solo bisogno di un biglietto di treno o nave; i passaporti sono arrivati dopo, con la prima guerra mondiale. La socializzazione dei costi attraverso il Welfare State implica purtroppo che si controlli chi “entri nel club”.

E poi, in merito alla cronaca, parliamoci chiaro: non esiste che 10’000 asilanti ottengano di far vacanza nel proprio Paese di provenienza. La sensazione (non ne ho prove documentali, ma approfitto dell’immunità che ho come granconsigliere per scandalizzarmi pubblicamente) è che, ancora una volta, ci sia un enorme magna magna a spese dei contribuenti strizzati. I primi a guadagnare dalla politica di asilo non sono quei poveretti, bensì gli imprenditori locali dell’industria dell’asilo che si occupano di tutti gli aspetti logistici, amministrativi, medici ecc ecc. Questa è gente che finirebbe in strada domani se lo Stato tagliasse anche solo parte dei soldi per gli asilanti. Il clientelismo pubblico ha moltissime facce.

Esclusiva di Ticinolive. Riproduzione permessa citando la fonte.

Relatore

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    • Finché i soldi potranno circolare liberamente e le persone no, nessuno potrà mai essere padrone a casa propria.
      E pensare che 60 anni di liberismo dovrebbero aver insegnato qualcosa..

  • Bisogna riconoscere ai (contro) riformatori “Liberali” delle qualità che i loro avversari non hanno: sanno quello che vogliono e quello che bisogna fare per ottenerlo, sono pazienti e non si scoraggiano.

    Ma non se ne esce. Perché da una parte la propaganda ufficiale, quasi totalmente incentrata sul famoso “Whashington consensus” come pure sul corollario delle varie istituzioni e dei vari trattati (wb/fmi/omc/osce/ape/pta/nafta/ttip/aels/gatt-wto/alca/eccetera/eccetera/), è sostenuta, e sostiene, il disegno mercantile neo-colonialista d’impronta anglossasone. Ovviamente in competizione con gli altri blocchi economici emergenti.

    Sono convinto che il prof. Pamini ne conosca pure i risvolti “strumentali”. Sa che si può parlare perfino di un’ambigua sovrapposizione tra codesta “opzione neo-colonialista-istituzionale” e quella “liberal/libertaria”. Anche perché il disegno neomercantile anglossassone è così performante sul piano “narrativo” tanto da sospettare che si sia ormai stabilizzato, anche alle nostre latitudini nostrane, quel fenomeno che prende il nome di “standardizzazione dell’immaginario”. E naturalmente grazie alla quotidiana dottrina informativa. Certamente una parte di questo “condizionamento” passa anche attraverso l'Unione europea. Così da convincermi che la commistione tra pubblico e privato sia inscalfibile. Anche se è seppur vero che è in corso una sorta di deterritorializzazione della ricchezza privata, ovviamente gestita da un’apolide high society.

    Un fenomeno che chiaramente ha iniziato a minare la legittimità delle democrazie occidentali. Un’economia nazionale non potrà mai imporre fedeltà ad un titolo depositato in un paradiso fiscale che crea benefici impiegati in sparsi contesti planetari. La cosiddetta circolazione propulsiva del Capitale: “una Belva che per definizione non può essere controllata”. Proprio perché la globalizzazione, attualmente, non è altro che la economicizzazione del pianeta.

    Senza dimenticare che la “modernizzazione” dei popoli avviene per mezzo di uno sconsiderato “double bind”: per sopravvivere alla “modernizzazione” bisogna distruggere la società tradizionale. {Schumpeter}. Un vera e propria schizofrenia collettiva, ben rappresentata (la dissociazione schizofrenica) da molti partiti storici. E qui sono d’accordo con chi si spinge ad affermare che “… la gente è sempre più stufa di partiti che mettono l’accento sulla parola «centro» facendo una politica che è la copia un po’ meno “liberista di quella neoliberista”. Per cui essa (la gente) che reagisce a tale politica è -in effetti- marxista ma glielo si tiene nascosto. … glielo s’impedisce di crederlo”.

    Per finire, dopo la provocazione… marxista, anche un po’ di crasso umorismo. Sapete perché gli Stati spariranno? Perché gli Stati devono spartire il malloppo tra milioni di persone, mentre nel privato lo stesso malloppo verrà suddiviso tra una decina d’azionisti.

  • Basta una sola esplorazione statistica per mettersi a "urlare". Fra il 1960 e il 2013 la popolazione del Cantone Ticino è passata da 195'566 abitanti a 346'539, non è perciò nemmeno raddoppiata. Nello stesso periodo le spese del Cantone si sono moltiplicate per 25,58 (da 136'559'614 a 3'493'842'000). In questa grande torta dominano il DECS con un aumento di 52,62 volte (da 15'107'295 a 794'981'000) e ancor più il DSS, con un incremento di 53,85 volte (da 25'209'089 a 1'357'579'000). Questi due dipartimenti, assieme, assorbono il 64,9 % delle entrate dello Stato e ben più delle sole imposte. Agli altri dipartimenti (economia, territorio, istituzioni) ovviamente rimane poco più del 38 % del totale. E intanto non ci sono più soldi per le cose utili e investimenti urgenti. Questo è lo stato del caro e ridente Cantone Ticino, sulle sorti del quale riflettiamo un pochino.

  • Intendiamoci, caro "puntonemo", quasi tutto si può giustificare quando viene fatto e perdipiù è necessario per bisogni comprovati e poi avvalorati a posteriori da probanti statistiche. Del resto gli aumenti pentadecagonali (da 1 a 50 e oltre) non saranno mica avvenuti solo nel Ticino. Quanto costino (o siano realmente costati) non dovrebbero però dirlo in primis i decisori; questi prospettano con l'occhio rivolto alle loro visioni, e se sono in grado di offrire, lo fanno con dovizia. All'origine di ciò che scende dai metaforici rubinetti c'è però sempre l'economia.
    Certo la sana economia non si crea da sola. Ci vuole appunto il famoso background formativo performante (che bella immagine, caro amico). Questo perché le conoscenze apprese non sorgono dal nulla. Allora chiediamoci perché (statistica del 2013), prendendo in considerazione i nati nel Ticino negli anni fra il 1949 e il 1998, più di trentamila che qui hanno frequentato le scuole se ne sono nel frattempo andati, verosimilmente trovando altrove quello che non hanno trovato qui. A me piacerebbe sapere perché esiste una certa dicotomia che fa del Ticino un Paese di emigrazione, sia in un senso che nell'altro. E mi verrebbe da dire: è giusto che si moltiplichino scuole non in grado di promettere un futuro se non precario?
    Quanto alla socialità, è evidente che da questo stato di cose venga promossa, non limitata. E che si prefiguri sempre meno una sorte diversa al nostro lembo di terra, a cui francamente interessa poco sapere se il rapporto di Oxfam dice così o dice cosà.

    • Interessante considerazione quella sul Ticino terra di migrazione (immigrazione/emigrazione). Pure a livello nazionale si calcolano grosso modo oltre 700mila connazionali ora residenti nelle varie contrade planetarie. Anche qui, se non calcolo male, più o meno la stessa percentuale.

      Mah… le ragioni possono essere tante. Positive e anche meno. I ticinesi che vivono oltregottardo non rientrano, mi par di capire, perché non trovano la stessa diversificazione di attività, offerta invece dai grossi centri economici dell’altopiano elvetico. Poi c’è ovviamente la questione salariale (vexata quaestio) e anche l’impossibilità di trovare un impiego in quelle attività ben retribuite ma assegnate per… discendenza ereditaria.

      Tuttavia il poco interesse per quanto accade fuori della nostra valle prealpina (rapporto Oxfam, per esempio) non mi sento di giustificarlo. Anzi lo ritengo un atto di miopia autolesionista. Intanto perché viviamo in un sistema complesso e come sappiamo il solo battito d’ali di una farfalla in terre lontanissime è in grado di scatenare cataclismi. Ovunque.
      Un cordiale saluto.

      • Interrogativo interessantissimo quello sull'emigrazione (da e per). Dovrebbe essere lumeggiato soprattutto dall'Ufficio di statistica. Chiarire per esempio quanti hanno lasciato il Ticino in questi ultimi venti o trent'anni e a quali livelli professionali ciò sia avvenuto. Parallelamente quanti siano invece rimasti nel Ticino e in una certa misura al palo (con le note conseguenze di finire a carico delle opere sociali). Perché il problema principale è questo, nella speranza che non arrivi davvero il giorno in cui non ci saranno più soldi.
        Contraccambio i saluti cordiali.

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