Una pomeriggio in Expo è esperienza emozionante. Perchè se di giorno ad affollare i padiglioni sono turisti affamati di padiglioni e la sera chi ha l’ingresso economico, c’è un’ora pomeridiana, tra le 17 alle 18, in cui tutto tace e diventa fruibile come si vuole. Niente code o rincorse inutili, niente litigi per conquistarsi l’acquisto di un souvenir o contendendosi un posto ai vari ristoranti o punti ristoro. Solo la gioia di potersi godere in pace un luogo che tra due mesi, non esisterà più. E così, la scelta non casuale è ricaduta su due Padiglioni: il primo, quello del Nepal, forse quello più ricco di storia ad Expo anche a seguito dei tragici avvenimenti del terremoto. Il secondo, quello della Veneranda Fabbrica che si discosta solo fisicamente da quello della Santa Sede ma ne condivide appieno il tema del cibo declinato nella logica del fabbisogno di nutrimento. Dove per nutrimento non si intende solo ciò che sostiene il fisico e attiva la digestione ma anche quello spirituale.
Ciò offre forse una riflessione in più sull’Expo e il suo significato. Ad esempio, ogni colonna del percorso del Nepal è intarsiata a mano da un maestro artigiano. Ogni singolo segno di scalpello evoca la storia di quel popolo che nel disegno del padiglione aveva voluto offrire un segno tangibile di due arti, contemporaneamente: la bravura dei suoi artigiani e la filosofia del mandala. Si è rivelato poi anche foriero di ciò che il terremoto ha portato. Ora, il Mandala proviene da una parola sanscrita che significa “possedere, contenere” l’essenza. Un valore simbolico associato alla cultura vedica che utilizza la parola per formare geometricamente armonie. Armonie silenziose dove il solo passaggio ricolma di serenità, pace, amore: in questo caso quindi, attraverso l’architettura di ottimi maestri artigiani nepalesi. Non è quindi anche il senso che accompagna la scalata sul Duomo di Milano da Santa Maria Nascente, cui la chiesa è dedicata, a Santa Maria Assunta in cielo, riprodotta appunto nella “Madunina”?
Ovvio che questo percorso silenzioso può durare 5/10 minuti in un luogo come Expo, fatto com’è di una folla di gitanti. Ma bastano quei cinque minuti, lì, in silenzio, con un vento a brezza tra i capelli che muove in contemporanea anche le tante bandierine colorate appese al padiglione Nepalese o le goccioline dell’acqua dei nebulizzatori della Veneranda, per fare la differenza. E allora, in un lampo, si apprezza tutto. Nel padiglione del Nepal si immagina l’operaio nepalese seduto a scalpellare il palo quadrato che diventerà asse portante della struttura; e si immaginano le maestranze italiane che dopo il terremoto affiancano i lavoratori nepalesi rendendo possibile l’apertura del padiglione, e il percorso tortuoso del tragitto del colonnato sino all’ingresso del padiglione vero e proprio, quasi si fosse a Kathmandu. Il commissario nepalese, a luglio, nel corso dell’inaugurazione disse: “Da adesso in poi i visitatori potranno sentire il suono della serenità e meditare. Per nutrire il pianeta, bisogna partire proprio dalla pace”.
Cristina T. Chiochia
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