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Pentito di Schengen – di Tito Tettamanti

Questo articolo “mi avvantaggia” (per così dire) sul suo illustre Autore. È una grossa (e ben rara) soddisfazione. Infatti io nel voto su Schengen NON mi ero sbagliato!

Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore.

Influenzato dalle mie inclinazioni cosmopolite e di nomade praticante non ho ascoltato i consigli di miei amici economisti, ho votato per l’adesione della Svizzera a Schengen e ho sbagliato. Non ho dedicato al tema l’attenzione che ho dedicato alla proposta dell’euro che a suo tempo ho combattuto e non mi sono reso conto che con Schengen – nonostante aspetti importanti per la collaborazione in materia di sicurezza – si compiva lo stesso errore concettuale commesso con l’introduzione della moneta unica.

Vale a dire Bruxelles e gli europeisti più convinti anche in questo caso hanno agito come se un’Unione europea politica già esistesse e funzionasse. Peggio, ciò che può venir rimproverato a politici, tecnocrati e burocrati è di aver voluto forzare la mano, indifferenti alle possibili prevedibili crisi, al fine di avere un nuovo argomento – arrivata la crisi stessa – per chiedere più Europa, ulteriori passi volti alla realizzazione dell’Europa politica.

Abbiamo ormai la prova concreta che questo sistema di imporre le soluzioni dall’alto non funziona. I ripetuti fallimenti uniti alla situazione economica preoccupante non fanno che irritare i cittadini dei Paesi dell’UE e alimentare le file dei partiti protestatari e antieuropeisti. Allorché un terrorista, oltretutto uno dei capi, si può permettere alcuni soggiorni in Siria per ritornare poi nel Belgio passando per diversi Paesi europei prendendo traghetti e affittando automobili e in seguito da un quartiere caldo di Bruxelles iniziare a fare il pendolare con Parigi allo scopo di organizzare attentati trasportando armi, è comprensibile che la fiducia nella sorveglianza delle frontiere di altri Stati possa essere molto scossa.

Ancora una volta, come per l’euro, si rincorre l’utopia che tutti gli Stati dell’UE siano sullo stesso livello, applichino con lo stesso zelo, capacità, mezzi le istruzioni di Bruxelles. E non è certo l’agenzia Frontex con sede a Varsavia incaricata della supervisione che può rimediare alle diversità nazionali. L’illusione solita dei pianificatori: credere che bastino un piano ed una nuova agenzia affinché tutto funzioni nel migliore dei modi e i diversi Paesi interessati si allineino efficientemente.

È l’errore del sopranazionalismo burocratico – da non confondere con l’internazionalismo – che porta a creare istituzioni che stanno sopra gli Stati e non rispondono a nessun controllo democratico.
In luglio ho citato sul settimanale «Die Zeit» un giovane intellettuale olandese, Thierry Baudet, che con un libro intitolato Indispensables frontières sembrava prevedere ciò che sarebbe successo e perorava la causa e l’utile funzione delle frontiere. Ho commentato il turismo previdenziale che tanto ha irritato Cameron e che era facile da prevedere tra nazioni con differenti legislazioni di assistenza sociale. Nella foga della distruzione del passato, anche perché ancora preoccupati per i fenomeni del nazionalismo dello scorso secolo, si è fatto il possibile per demolire gli Stati nazionali e le loro frontiere, sostituendole con soluzioni che mortificano e non rispettano le diversità che arricchiscono la nostra cultura. Soluzioni che poi alla prima difficoltà, scontrandosi con la realtà, entrano in crisi. Dice Baudet che le frontiere collaborano a salvaguardare le identità e sono di aiuto ad un rispettoso buon vicinato.

Ormai non vi è più Stato firmatario che si attenga alla lettera ai patti sottoscritti a Schengen. Sono da prevedere anche non pochi costi ed oneri per ricostruire servizi e strutture troppo euforicamente e celermente smantellate. Sarebbe corretto riconoscere che si è sbagliato, che non parliamo di una momentanea interruzione alla quale presto verrà portato rimedio.

Quando si sbaglia l’onestà intellettuale impone di analizzare soluzioni alternative che evitino la ripetizione degli errori commessi. Ne saranno capaci gli utopisti e i difensori delle corporazioni del potere europeo?

Tito Tettamanti


Relatore

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  • Come non sottoscrivere passo a passo la lucida e sintetica presa di posizione che, tra l'altro, brilla della luce rarissima del riconoscimento del proprio errore. Vengo da uno di quei paesi disastrati in cui alla democrazia hanno sostituito il burocratismo brusselliano, paese da cui sono scappato perchè convinto che colà (ed in ogni parte d'Europa ormai) viga il gattopardesco 'affinchè nulla cambi'. La presa del burocrate non molla se non, ahinoi, a calcioni e come dubito (esperienza alla mano) che alcuno mai riconoscerà l'errore, dubito anche che gli europei scampino al destino della rana nella pentola d'acqua. Vedo e leggo di reazioni sempre più nette ma per lo più nella sempre sorprendente piccola grandiosa Svizzera ed in quel del Regno Unito (come del resto negli Stati Uniti), ovvero in quei paesi che da secoli sono liberi dai da quei fenomeni che la CEE prima e la EU ora sono nati per evitare. Il fallimento è tombale perchè i popoli coinvolti non sono pronti e cadono dal Nazionalsocialismo al Comunismo al Burocratismo. Invito alla lettura di un grande italiano, Luigi De Marchi che già nel 1975 in Psicopolitica evidenziava il nuovo conflitto sociale: imprenditore contro burocrate, ovvero uomo libero contro oppressore. Stiamone fuori da questo scempio della bella e ricca (culturalmente) Europa, se non altro per preservarne quel che possiamo dalla devastazione già in atto

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