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USA: la politica della provocazione e dell’impiccio

La nostra corrispondente dall’Italia ci manda questo articolo “geopolitico”, come sempre assai critico verso le politiche del presidente Obama.

* * *

Da decenni gli USA compaiono in questioni di politica internazionale, implicati in situazioni di guerra pur auspicando la pace.

L’azione di vasta portata operata dagli Stati Uniti sembra costantemente orientata a ottenere la supremazia mondiale, quale prima potenza del globo. Di tanto in tanto gli Usa modificano qualche dettaglio della loro azione, ma i loro obiettivi di fondo restano sempre i medesimi.

In questi ultimi anni il raggio d’azione degli Usa si è spostato sempre più a est e proprio in questi giorni si è aperto un contenzioso con la Cina.

Il casus belli

Già a fine ottobre 2015 gli Usa hanno sfidato le rivendicazioni cinesi sul mar della Cina meridionale mandando una nave da guerra a incrociare nei pressi di uno degli isolotti artificiali costruiti da Pechino nelle acque rivendicate anche da altri Paesi rivieraschi. La risposta di Pechino è stata durissima. Il comandante della Marina militare cinese affermò che, se gli Usa non avessero messo fine alle loro «azioni provocatorie e pericolose» nel mare della Cina meridionale, incidenti, anche di modesta portata, avrebbero potuto innescare una guerra.

A fine gennaio 2015 e per la seconda volta in pochissimi mesi la storia si ripete. Gli Usa hanno inviato una loro nave nel mar della Cina meridionale per sfidare “le rivendicazioni eccessive che limitano i diritti e le libertà degli Usa e di altri Paesi”: così riferisce un portavoce del Pentagono citato dalla Cnn.

Ha dichiarato il comandante statunitense Bill Urban: “Questa operazione dimostra, come il presidente Obama e il segretario Carter hanno sostenuto, che gli Stati Uniti sorvoleranno, navigheranno e opereranno ovunque sia consentito dalla legge internazionale. Questo vale per il Mar cinese meridionale, come per altri luoghi in tutto il pianeta. Tuttavia le operazioni degli Usa non mirano a rivendicazioni territoriali.”

Nessun paese del Mar Giallo è stato informato della mossa Usa che, a detta del Pentagono, rientra nelle “normali operazioni” in acque internazionali. La Cina però si sente legittima proprietaria di questo lotto di mare e non vuole assolutamente cedere alcun passaggio a chicchessia.

Perchè mai gli USA dovrebbero andare così lontano?

Tipico degli Usa è arrivare sul posto nel momento in cui “tira aria” di maretta. Infatti sul Mar cinese meridionale si affacciano la Cina, Taiwan, le Filippine, la Malesia, il Brunei, l’Indonesia, Singapore, la Thailandia, la Cambogia e il Vietnam, tutte nazioni in fortissima ascesa economica, con alcune delle quali gli Usa hanno stretto poche settimane fa un patto di libero scambio economico che ha molto irritato il governo di Pechino. Inoltre la Cina rivendica il possesso del 90% del Mar cinese meridionale e così facendo si pone in contrasto con la posizione di Filippine, Malaysia, Taiwan e Vietnam.

La Cina vi sta costruendo isole artificiali perché quella zona di mare disabitata rappresenta un’attrattiva per la sua grande ricchezza di giacimenti petroliferi, la posizione strategica nelle rotte commerciali e il fattore geopoliticamente intimidatorio derivante dalla loro occupazione.

I mari a Est: una grande attrattiva

Gli Usa hanno già deciso di stabilire il 60% delle loro forze armate di mare e aria proprio nel settore Asia-Pacifico entro il 2020. Il motivo è semplice: è in quella regione che sta prendendo corpo l’unica potenza navale in grado di impensierire la supremazia americana. In un mondo che cambia velocemente è per certi versi confortante sapere che “il controllo dei mari”, teoria strategica enucleata dall’ammiraglio Alfred Thayer Mahan nel 1890, goda ancora di grande importanza pratica. Non bisogna dimenticare che il 90% delle merci viaggia per mare e che Oceano indiano, Mare cinese meridionale e Mare cinese orientale ospitano le rotte più vitali del commercio mondiale.

Ecco allora che tutte le provocazioni degli Usa alla Cina assumono un senso preciso: ”se questi mari fossero considerati acque internazionali, chiunque vi potrebbe navigare e decadrebbe la supremazia cinese”.

Gianna Finardi


Relatore

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