Sue le sedie e i tavoli a tre gambe, suoi gli orologi a muro da cucina con timer e quelli da polso Junghans, sua la macchina per scrivere “Pietra” e il tavolo quadrato-rotondo. Suo il complesso scolastico della Hochschule für Gestaltung a Ulm, dove fu anche rettore per molti anni. Un istituto che per la sua originalità fece tendenza nel campo dell’Industrial Design: da allora si parlò della “scuola di Ulm”. E se pittura e scultura gli valsero riconoscimenti illustri come il Premio imperiale a Tokyo, lui amava sottolineare per sé il titolo di architetto.
Di tutte le sue espressioni, il germe creativo è nel Bauhaus di Dessau, dove ebbe la possibilità di conoscere maestri quali Kandinsky e Paul Klee. Ulm fu concepita inizialmente proprio come una naturale prosecuzione del Bauhaus, ma in generale quella fu esperienza decisiva in ogni campo. Fu sempre fedele ai principi dell’Arte concreta, da lui definita “espressione pura della misura e della legge armonica”. La misura, la legge. Max Bill segnò tutta la sua produzione con la passione per la geometria e la matematica. Come i suoi celebri “nastri senza fine”, sculture di cui realizzò molte varianti, tutte riflesso del nastro di Möbius, la superficie non orientabile che deve il suo nome al matematico tedesco. “Essi sono modelli per la riflessione e la contemplazione” diceva Bill.
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