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“Il reddito di base mi ricorda il capriccio di un bimbo…” – di Paolo Pamini

capricci 500capricci 500Nel lungo menu delle votazioni del 5 giugno figura l’idea di garantire ad ognuno un reddito di base incondizionato. Per quanto a prima vista accattivante, la proposta introduce dalla porta di servizio il comunismo ed istituzionalizza il saccheggio da parte dei parassiti nei confronti di chi sceglie di lavorare e fa sacrifici per produrre un reddito, anche da capitale con i propri risparmi. Con il suo slancio contro natura, essa distruggerebbe l’etica del lavoro e della reciprocità che stanno alla base di una convivenza sociale armoniosa tra esseri umani.

Pamini 333 (2) 300Pamini 333 (2) 300Nella follia della proposta, gli iniziativisti hanno un grandissimo merito per il quale vanno sinceramente ringraziati: obbligare la popolazione a riflettere sul funzionamento di una società e sul senso del lavoro. La votazione sul reddito di base incondizionato ha quindi un importante effetto educatore. Benché l’articolo costituzionale in votazione non parli di cifre (né di precise modalità di finanziamento), si ipotizza l’introduzione di un reddito di CHF 2’500 al mese per adulto a tutti i residenti in Svizzera. Il finanziamento del fabbisogno, che eccede CHF 200 mrd. annui (si ricordi che la somma di tutti i redditi in Svizzera, ossia il prodotto interno lordo, è di ca. CHF 500 mrd. annui), proverrebbe da alcuni risparmi nello Stato sociale, in gran parte da prelievi su redditi da lavoro e da capitale, e nella misura di CHF 25 mrd. da nuove fonti da definire, come il raddoppio dell’IVA (che oggi all’8% genera CHF 22 mrd.) o altre imposte. Malgrado le enormi dimensioni finanziarie, non è la contabilità della misura a preoccupare quanto la devastazione degli incentivi economici che essa pone.

Il reddito di base ricorda il capriccio di un bimbo che pretende di ricevere qualcosa senza sforzo, prima che abbia raggiunto l’età della ragione e compreso l’etica della reciprocità che regge la coordinazione spontanea tra esseri umani. È la natura del mondo che obbliga l’essere umano a lavorare per ottenere le fonti del proprio sostentamento, sia anche solo sforzandosi di raccogliere qualche bacca per sfamarsi. È palese che Robinson Crusoe non avrebbe potuto pretendere alcun reddito incondizionato sulla sua isola deserta, se non obbligando Venerdì a lavorare per lui, ossia introducendo una forma di schiavitù perlomeno parziale. Il reddito di base non piove dal cielo, bensì viene finanziato da chi ciononostante lavora o ha reddito da capitale; ecco perché esso istituzionalizza il saccheggio, ben a differenza dell’attuale Stato sociale che, per quanto bulimico, almeno dà i propri sussidi a chi è in uno stato più o meno oggettivo di bisogno. Gli incentivi posti soprattutto a giovani e a classi sociali con redditi bassi sono terribili. Ragionevolmente, la produttività di queste persone crollerebbe. Raggiungere un buon salario costa molti sacrifici, spesso anni di esperienza, settimane lavorative da 60 ore, magari formazioni professionali la sera ed i fine settimana. Già oggi troppi adolescenti sprecano i migliori anni della loro vita oziando alle spese dei genitori o addirittura di disoccupazione o assistenza.

Un esempio concreto di reddito di base già esiste: in Australia, per tenerli buoni il Governo paga da molti anni un reddito agli Aborigeni, i quali non devono lavorare per vivere. Questi sarebbero nella migliore situazione possibile per partecipare alla vita pubblica (per giunta della loro terra originale!) ed adoperarsi per la società. Molti invece diventano casi sociali, alcolizzati, molestatori dei normali cittadini.

Il comunismo era basato sul principio “a ciascuno secondo i suoi bisogni e da ciascuno secondo le sue capacità”. Il reddito incondizionato si propone esattamente questo. Poiché la manna da distribuire qualcuno la dovrà produrre, vi sarebbe il ragionevole rischio che con il diminuire dei lavoratori volontari si finisca con l’introdurre il lavoro forzato, esattamente come fu la regola nei regimi comunisti. Lo Stato deciderà: Tizio il minatore, Caio il cuoco, Sempronio lo studioso.

Paolo Pamini
ETHZ e AreaLiberale

(ripreso dal GdP con il consenso dell’Autore)

Relatore

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  • Non so come funzionino le cose in Svizzera ma invocare l'etica del lavoro mi pare un'amenità. E' etico che ci siano persone a questo mondo che guadagnano in un giorno quello che la stragrande maggioranza non vedrà in una vita? E' etico che più del 90% delle ricchezze siano detenute da meno del 10% della popolazione? E' etico che si pensi solo a lavorare e produrre ma che gli eccessi di produzione vengano distrutti o lasciati a marcire perché ridistribuirli sarebbe anti-economico? E' etico che vi sia chi vive nella più totale agiatezza e ci sia ancora gente che muore di fame o sotto le bombe? Andiamo verso una realtà dove i robot ci sostituiranno tutti, svolgeranno il lavoro al posto nostro. La spinta tecnologica viene frenata di continuo perché non si sa come far fronte ad essa, o meglio, perché alcuni non hanno ancora capito con quale scusa potranno riempirsi le tasche dopo. E non vogliono lasciarci nemmeno le briciole... E' etico tutto questo?

  • L’arroganza del neocapitalismo è ormai arrivata a livelli tali da riuscire perfino a propagandare la retorica della dignità del lavoro sapendo che il lavoro lo si è fatto sparire deliberatamente. Un sistema che si è perfino inventato la minaccia della delocalizzazione per annullare il pagamento di un salario legittimo. Un sistema che è andato a cercarsi proprio quella manodopera costretta (e abituata) a non pretendere, per eventualmente subito sostituirla al minimo segnale di tutela. È lo stesso sistema che ci fa le prediche sui sacrifici individuali, sulla meritocrazia e sulla giusta retribuzione. E dà voce ai suoi giullari. Un sistema che sa usare il ricatto (così come un figlio capriccioso tiranneggia i genitori) nei confronti di chi lavora, e di chi propone leggi sul lavoro anche quando il lavoro non c`è . Ora sappiamo che vuole penalizzare anche chi il lavoro non ce l’ha. La famosa “mano invisibile” proposta a suo tempo da Adam Smith, in concreto si traduce in “ode” alla schiavitù. Dopo il ‹delirio› finanziario del 2009, degenerato in una crisi economica che sta ovviamente pagando la fascia più debole di popolazione, ecco che adesso si ha il coraggio di etichettare come ‹follia›, un imperfetto, discutibile tentativo di compensazione. Comunque tranquilli il popolo spezzerà ogni velleità. E si dirà che la follia, del reddito immorale (comunista) e stata spazzata via dalla legge (liberale) del buon senso.

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