Centro funerario di Riazzino
Venerdì 15 luglio 2016 ore 11
Ci siamo incontrati l’ultima volta un mese fa per un convivio tra vecchi compagni di liceo, poi abbiamo parlato prima che partisse per la Croazia, programmando di rivederci verso la metà di agosto. Oggi ci diamo l’estremo saluto.
Indimenticabili le giornate passate nella sua villa di Verscio dove aveva collezionato una serie di motociclette recenti e d’epoca, delle quali andava molto fiero. Poi il rustico sui monti, in zona impervia, da lui stesso restaurato con lavori degni di un esperto costruttore di muri a secco e nel contempo architetto e paesaggista, in stile montano cantonticinese. E ancora le carte alle quali dedicava sempre molte ore anche di recente e che mi ricordano notti intere passate al tavolo di gioco. Infine l’interesse per la cosa pubblica che ci ha fortemente accomunati.
Poco importa se la casacca che abbiamo portato non è mai stata la medesima a giudizio di chi leggeva, tra parentesi, solo la sigla del partito. La sostanza era uguale, quasi identica. Ispirata a una filosofia liberale nella giusta accezione del termine e ancor più dei contenuti. Nelle molte legislature in Parlamento, ci siamo trovati sovente su posizioni uguali al di là del parere dei nostri gruppi. Un solo esempio per tutti, la battaglia contro il Cusi, abilmente chiamato Centro universitario della Svizzera Italiana, ma che Università non era, voluto dall’intero establishment partitico ticinese; un confronto da noi vinto alla grande. Non a caso il compianto Consigliere di Stato e amico Giuseppe Buffi disse pubblicamente qualche anno dopo, che senza quel drappello di granconsiglieri e liberi professionisti, la proposta del Cusi sarebbe riuscita e la vera Università ticinese avrebbe atteso a lungo.
Era un uomo di destra e di certo la nostra intesa fu favorita anche da questo. Per natura carismatico e di grande carattere, difendeva le sue posizioni con ardore, sorretto da profonda cultura e grande intelligenza. Non era facile al compromesso e da acuto osservatore di quanto avveniva in Ticino, in Svizzera e nel mondo, tranciava giudizi forti, spesso duri e taglienti, non rifiutando il dibattito sulla sostanza, ma poco disposto a soluzioni di ripiego. Ben nota nell’ambiente, e destinata a durare indelebilmente nel tempo, la sua definizione di “fermezza nel cedimento”, con cui stigmatizzava quei politici borghesi troppo inclini al compromesso con la sinistra per non apparire di destra. Era tutto di un pezzo, e in fondo preferiva rompersi che piegarsi. Anche i suoi nemici gli riconoscevano spirito indipendente e onestà intellettuale. Ma Gianfranco aveva anche una grande umanità e bontà, doti forse meno conosciute. Basta leggere il suo articolo apparso postumo sul Giornale del Popolo il giorno dopo la sua morte, nel quale ricorda le sofferenze di un giovane amico deceduto di tetano oltre sessant’anni fa. È l’espressione semplice, chiara e sincera che viene da una persona molto sensibile.
Ciao Gian, sei stato un galantuomo!
Tullio
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