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Europe Titanic – di Tito Tettamanti

Pubblicato del CdT e riproposto con il consenso dell’Autore

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“L’UE con il suo centralismo e protezionismo, con le sue esigenze burocratiche mortificanti, con la sua pretesa di tutto uniformare è culturalmente ciò di più antieuropeo che si possa immaginare”. Puro TT-pensiero!

In questo importante e vasto articolo Tettamanti “ci va alla grande” e rivisita la travagliata storia del Vecchio Mondo, intessuta di immense sofferenze e luminose conquiste. Il suo euroscetticismo – riferito all’hic et nunc, potremmo dire beffardamente alla squadra Merkel-Hollande-Renzi-[…] – è profondo.

L’Europa – irretita nelle spire dell’Unione Europea, invasa da Sud e da Est, ferocemente colpita dalla scimitarra dell’ISIS quanto dal cretinismo dei “politicamente corretti” – corre un pericolo mortale. Questa è la mia opinione e potrebbe essere senz’altro anche l’opinione dell’Avvocato. Quando tornerà dalle sue meritate vacanze, glielo chiederò.

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È il titolo che l’editore francese ha voluto dare al mio libro del 1993 sull’Europa. Purtroppo un titolo profetico vista la situazione di oggi, che è la somma di una serie di errori strategici, culturali, storici ed economici, dei quali è responsabile una élite certamente non all’altezza del compito e avida sia di potere che di soldi.

Il grave errore strategico l’ha voluto la Francia. Uscita apparentemente vincente (De Gaulle) ma sostanzialmente sconfitta (Vichy con le sue onte) ed economicamente stremata ha abilmente individuato in una possibile struttura europea da lei diretta con l’accordo dei germanici ben lieti di poter venir riaccettati nel novero delle nazioni civili, anche se in posizione subordinata, la possibilità di giocare ancora un ruolo di potenza internazionale.

Non l’Europa federalista pensata dall’idealista Altiero Spinelli, né quella pan-europea proposta da Coudenhove-Kalergi. Un’Europa strategicamente vecchia perché ricalca il solco della storia del Continente dal 1500. Storia di continue lotte per l’egemonia tra le maggiori nazioni.

Un’Europa che ricorre per permettere che continuino le aspirazioni egemoniche a schemi strategici superati, che non si innova, che privilegiando aspetti tecnocratici e giochi di potere dimentica di darsi un’anima. Grave lacuna per un continente che fatica a delimitarsi geograficamente verso Est tanto da venir considerato un’appendice dell’Asia. Un artista qualche anno fa ha proclamato: la Suisse n’existe pas. Provocatoriamente potrei affermare che l’Europa non esiste. Se risaliamo ai greci erano occupati nelle lotte tra Sparta ed Atene negli epici scontri con i persiani e nella ricerca del dominio del Mediterraneo. L’Impero romano non oltrepassava il Reno e basava la sua ricchezza su Nord Africa, Egitto, fondava Palmira nella Siria di oggi ed è continuato a Bisanzio con l’impero d’oriente per diversi secoli dopo la caduta di Roma.

L’Europa si è formata sostanzialmente nei tempi moderni con nel DNA due fondamentali caratteri: competizione e varietà. Caratteristiche che le hanno permesso di conoscere i successi che ha raggiunto e di dominare il mondo. Regni, principati, città-Stato si sono combattuti riottosamente e sanguinosamente tra loro (torniamo alle aspirazioni egemoniche) ma in virtù anche della competizione hanno conquistato il mondo e creato quel gioiello culturale che è la civiltà occidentale. Questo piccolo pugno di terra, rispetto alle dimensioni del globo, ha generato Descartes, ha avuto un Leonardo, il barocco che ha seguito il gotico, ha espresso artisti e banchieri, navigatori, commercianti, capitani di ventura, missionari e avventurieri sempre in concorrenza tra loro. L’UE con il suo centralismo e protezionismo, con le sue esigenze burocratiche mortificanti, con la sua pretesa di tutto uniformare è culturalmente ciò di più antieuropeo che si possa immaginare e del tutto inidoneo ad esprimere un progetto che dia un’anima al nostro futuro, evitando di ricalcare in altri modi i contrasti del passato.

Ma l’UE – specie nel non aver voluto riconoscere un ruolo speciale all’Inghilterra – dimostra di non avere memoria e quindi offende anche la storia. Diciamo pure tutto il male che vogliamo di questi bizzarri cittadini del Regno Unito, però non dobbiamo dimenticare che grazie al loro intervento a Waterloo abbiamo fermato Napoleone, nella guerra del 1914-1918 ci hanno permesso di sconfiggere gli imperatori Guglielmo e Francesco Giuseppe alla testa del blocco germanofono. Nel 1940 sono loro che hanno resistito anche per noi sotto i devastanti bombardamenti di Londra, con una forza d’animo eccezionale in attesa che gli americani (e più tardi i russi) permettessero di sconfiggere il nazionalsocialismo di Hitler.

Se per l’UE o qualsiasi altra istituzione non dimostrano quell’interesse che i governi del continente esprimono è comprensibile. Tutti i Paesi coinvolti nella guerra del 1939-1945 hanno delle vergogne da dimenticare, dal nazismo, al fascismo, al comunismo nei Paesi dell’est, a Vichy, ai vari regimi autoritari e ai vari Quisling. A livello di subconscio una nuova istituzione che permetta di illudersi che è cominciata una nuova fase che cancella il non glorioso passato è una comprensibile aspirazione della quale però i governanti inglesi comprensibilmente non sentono la necessità.

A proposito dell’economia, i commenti sulle difficoltà  e relativi errori si sprecano. Mi limiterò a dire che gli ostacoli al rilancio economico sono da ascrivere a politiche protezionistiche, al rifiuto di riforme strutturali per togliere gli ostacoli che condizionano la creatività imprenditoriale, ad un diffuso giudizio sociale che vede nel cittadino un evasore, salvo prova del contrario e nell’imprenditore una sanguisuga che vive approfittando delle classi lavoratrici. Anche il giudizio sociale (e mi riferisco agli scritti di Deirdre McCloskey) può condizionare lo spirito di iniziativa. Stiamo pagando caramente l’illusione che l’economia di mercato possa venir diretta e piegata a piacimento dal potere statale.

La politica spesso e volentieri mente ed illude i cittadini. Dal momento in cui il mancato sviluppo economico non permette più l’attesa distribuzione di danaro pubblico le masse che negligendo i valori identitari erano state trattenute con panem et circenses si ribellano e affluiscono nei partiti dell’antipolitica.

Come difendersi? Difficile, anche perché come detto al progetto europeo manca quel “supplément d’âme” e quel riconoscersi identitario che aiuta a resistere ed accettare le difficoltà. I gravi errori pesano e solo la loro ammissione e la capacità di concepire un nuovo progetto culturale di ampio respiro potrebbe portare rimedio. Purtroppo la reazione stizzita (di politici e intellettuali)  nei confronti del Brexit mi fa temere che invece dell’Europa dei mercanti e dei commerci che creano ricchezza ci terremo quella dei bottegai con licenza, controllo, assistenza dello Stato e conseguente stagnazione non solo economica.

Tito Tettamanti

Relatore

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  • I proverbiali nodi vengono al pettine in quel nostro piccolo mondo -un tempo dorato- che prende il nome di Europa. Per decenni il continente andava orgoglioso della pace ritrovata, si faceva vanto delle unificazioni… di mercato e della propria cultura laica e illuminata dai… lumi dell’Illuminismo. Tutta questa luce non è passata inosservata, ha attirato sguardi ammirati, spesso invidiosi. Poi qualcosa è accaduto.

    Poco importa, per ora, sapere come e perché sia accaduto. È accaduto e dobbiamo tenerne conto. Anzi, tanto prima si vorrà unanimemente assumere la consapevolezza di questa nuova condizione, meglio si potrà cercare di affrontarla. Perché oggi l’Europa appare traumatizzata e vulnerabile. Vulnerabile perché divisa da enormi interessi contrastanti presenti dentro e anche fuori… dall’Unione. Condizione pericolosa.

    Per di più il dibattito politico appare sempre più come il risultato di una recita offerta sul palcoscenico dell’ipocrisia: una sorta di demo-ipocrisia continentale. Perfino la lieta e irresponsabile narrazione mediatica è rimasta senza argomenti: il rapporto Chilcot ha rivelato più di quanto fosse già evidente. Fermiamoci lì.

    Fuggiamo a gambe levate dal deteriorato discorso sui massimi sistemi per rapportarci a un quotidiano intasato da sterili dibattiti sul politicamente scorretto e sull’endemico bullismo: aria fritta. Là fuori tutti sanno che tali caratteristiche s’impongono quotidianamente: nel micro e nel macro cosmo sociale. Nella cosiddetta “cultura” politica, come pure nel parking del supermercato. Basterebbe scorrere la cronaca.

    Viviamo un ambiente che si presenta intensamente radioattivo: masse pronte a menare le mani -e anche peggio- in nome di assurdità ideologiche, ma anche per quotidiani… futili motivi. In altri termini: siamo immersi in un’allarmante condizione esistenziale che ha elevato la soglia del rischio a livelli drammatici. Come se tutto fosse è consapevolmente finalizzato a una perenne e famigerata strategia della
    tensione.

  • con una forza d’animo eccezionale in attesa che i russi (e più tardi gli americani) permettessero di sconfiggere il nazionalsocialismo di Hitler.

    Se non si mettono a fuoco queste semplici verità elementari non è neanche il caso di stare a parlare ed ancor meno di ascoltare.

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