Assieme alla sanità e alla difesa dell’ambiente, la scuola costituisce una sorta di “Trinità” venerata da tutti: qualsiasi spesa nel sistema educativo prende il nome di “investimento”, ma nessuno sa dire con un minimo di precisione quale ne sia il ritorno. Naturalmente, in un Paese avanzato come la Svizzera è di centrale importanza avere una popolazione con molte competenze ed un’alta produttività (ragione degli alti salari). È pertanto essenziale che il sistema educativo ottenga tali risultati. La domanda è se davvero quello attuale ne sia capace e lo faccia in modo efficiente. In altre parole: perché per esempio da questo lunedì circa 50 mila ragazze e ragazzi hanno ricominciato a spaccarsi la testa con la letteratura, la storia, la biologia, la matematica complessa o il latino quando ben poche professioni richiedono tali competenze? Per di più leggere, scrivere e far di conto sembrano venir sempre meno. Parlare semplicemente dei benefici della “cultura generale” è una risposta superficiale. Si badi che scrive un latinista che si è poi dedicato (per troppi anni?) alle scienze economiche fino al dottorato. La cosa sorprendente, che tiene in piedi il castello, sono tuttavia i datori di lavoro disposti a pagare per avere chi ha studiato molto, sebbene al contrario di chi ha scelto una formazione professionale proprio i neolaureati (salvo alcune eccezioni) abbiano bisogno di almeno due anni prima di diventare davvero produttivi.
Davanti alle contraddizioni esposte sopra, l’ipotesi avanzata da vari ricercatori è che la scuola non formi le persone, bensì le selezioni. Non è importante cosa si studi, bensì il fatto di ottenere la laurea. C’è chi ribatte che se ciò fosse vero, allora basterebbe fare dei semplici test dell’intelligenza, oppure che dopo pochi mesi un datore di lavoro vede quanto è davvero produttiva una persona. Tuttavia, una selezione che dura tanti anni mette verosimilmente lo studente davanti a ostacoli giganteschi, psicologici e motivazionali prima ancora che finanziari. Naturalmente alcune facoltà sono tanto lontane dai bisogni del mercato del lavoro da comunque sfornare disoccupati.
La conclusione di queste osservazioni è che i benefici dell’investimento nella formazione sono probabilmente sovrastimati, e che di principio una formazione professionale seria conduca ad un maggiore successo del lavoratore che molti anni passati a sputar sangue nella torre d’avorio. Non a caso, rispetto agli Stati a noi attorno la Svizzera ha una bassa percentuale di popolazione laureata, eppure profili professionali eccellenti. Il dibattito sulla scuola, anche ticinese, è complesso e va fatto al più presto.
Paolo Pamini, Istituto Liberale e AreaLiberale
(pubblicato ieri sul GdP e riproposto con il consenso dell’Autore)
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