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Un Gran Consiglio di 60 membri? – di Franco Celio

Foto tratta dal sito www.ilpaese.ch

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da Opinione Liberale, con il consenso dell’Autore e della testata

Il Legislativo cantonale dovrà esaminare prossimamente un’iniziatica del deputato Boris Bignasca che chiede una modifica della Costituzione per ridurre da 90 a 60 il numero dei parlamentari. Già pochi mesi fa il Parlamento aveva respinto, a larga maggioranza, una petizione analoga promossa dai signori Donatello Poggi e Peter Walder a nome di una sedicente “Lega degli indignati”. Salvo ripensamenti spettacolari da parte di molti, è dunque da prevedere che anche all’iniziativa citata toccherà suppergiù la stessa sorte.

Di per sé, l’idea non è né buona né cattiva. Non vi è infatti nessun criterio oggettivo che permetta di stabilire quale sia il numero ideale dei deputati. Del resto, nella storia del nostro Cantone, esso è cambiato più volte. Anche il rapporto numerico fra elettori ed eletti non sottostà ad alcuna regola “scientifica”.

Nella maggior parte dei Cantoni, i Parlamenti hanno invero un numero di deputati superiore ai nostri 90. Solo alcuni Cantoni o semi-Cantoni di dimensioni modeste – Obwaldo, Nidwaldo, i due Appenzello, Glarona, Sciaffusa e pochi altri – hanno Parlamenti più “snelli”. Vi sono per contro parecchi Cantoni, anche più piccoli e/o con una popolazione inferiore al Ticino – Basilea Città, Neuchâtel, Friborgo, Svitto, Turgovia, ecc. –in cui i Parlamenti sono più numerosi del nostro. E’ vero che all’estero le Assemblee provinciali, dipartimentali ecc. sono solitamente assai “ristrette”, ma questo significa poco, dato che le loro attribuzioni sono generalmente alquanto ridotte.

Fermo restando, dunque, che la questione può essere valutata in vario modo, perché mai la scorsa primavera la maggioranza si è espressa contro la riduzione, e anche stavolta l’apposita Commissione auspica un voto analogo?

La risposta è che non si cambia tanto per cambiare. Lo si fa solo se vi sono buoni motivi per credere che un determinato cambiamento porti a miglioramenti sostanziali. Purtroppo, così non è. L’iniziativa Bignasca, come la petizione Poggi, parte infatti dall’assunto i cittadini si aspetterebbero che le decisioni politiche avvengano in tempi rapidi. Ammesso e non concesso che ciò sia vero (e ammesso e non concesso che rapidità e qualità coincidano), le lungaggini imputate genericamente ”alla politica” non dipendono – o dipendono solo in minimissima misura – dal numero dei parlamentari. Dipendono invece dalle procedure: elaborazione dei messaggi, consultazioni degli ambienti interessati, esame commissionale, redazione dei rapporti, eventuali referendum, ecc. Il numero dei parlamentari è praticamente irrilevante. I dibattiti in aula sono infatti quasi sempre molto brevi e non ritardano di certo le decisioni (se non nei rari casi in cui un tema non ancora “maturo” viene rinviato in Commissione).

Un altro argomento con cui si sostiene la riduzione è che, diminuendo il numero dei parlamentari, diminuirebbe anche quello dei membri delle Commissioni. Fra le due cose non vi è però nessuna correlazione, tant’è che molti Cantoni, pur avendo Parlamenti più numerosi, hanno generalmente Commissioni con un numero dei membri più ridotto.

Infine, fra gli argomenti dei fautori vi è quello che riducendo i granconsiglieri si ridurrebbero anche i costi. Ma siccome già non mancano parlamentari che si lamentano delle retribuzioni, a loro dire troppo modeste, è verosimile che riducendo il numero (e dunque “caricando” maggiormente ognuno) tali lamentazioni crescano. Con effetti facili da prevedere…

Ci sembra inoltre indispensabile che una ev. riduzione dei membri del Gran Consiglio sia accompagnata da serie riflessioni sul rapporto numerico fra eletti ed elettori, sui sistemi elettorali e sul modo di assicurare comunque un’adeguata rappresentanza delle minoranze (politiche, ma anche sociali, regionali ecc.)

Franco Celio

Relatore

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