11 gennaio 1944 – Galeazzo Ciano fucilato a Verona

L’uomo, solitamente, privilegia il presente rispetto al passato. Ma, per chi lo sappia riaccendere e risuscitare, il passato esercita un fascino irresistibile. E non ogni momento del passato è uguale a un altro.

71 anni fa, l’11 gennaio 1944, il conte Galeazzo Ciano, gerarca fascista, genero di Mussolini, traditore (condannato come tale) cadeva sotto i colpi del plotone d’esecuzione, a Verona, con altri quattro gerarchi minori.

Galeazzo Ciano, figlio dell’ammiraglio Costanzo Ciano, eroe della beffa di Buccari, nel 1930 sposò Edda Mussolini, la figlia del Duce. Nel 1936, anno dell’Impero, divenne ministro degli Esteri, carica che mantenne sino all’8 febbraio 1943, quando il Duce lo nominò ambasciatore in Vaticano. I suoi celebri Diari ce lo mostrano sempre anti-tedesco (così come il Re) ma Mussolini scelse la guerra, credendo che Hitler l’avesse ormai vinta.

Nella lunga e fosca notte del Gran Consiglio (24-25 luglio 1943) Ciano votò, con altri 18 gerarchi, l’ordine del giorno Grandi cioè, in sostanza, la sfiducia al Duce. Il quale si presentò nel pomeriggio del giorno seguente al monarca, che gli disse: “Duce, l’Italia va in tòcchi…” e a tradimento lo fece arrestare.

Dopo l’8 settembre Ciano si mise da solo nelle mani dei tedeschi, che lo rispedirono in Italia. Questo segnò il suo destino perché l’odio dei fascisti repubblicani nei suoi confronti era implacabile. Processato a Verona con altri cinque nel gennaio 1944, fu condannato a morte con loro (ma uno, Cianetti, si salvò).

La sentenza fu emessa il 10. Ciano, cedendo alle preghiere, firmò la domanda di grazia pur pronunciando parole di odio sfrenato contro il Duce. I fascisti impedirono in ogni modo che la domanda giungesse nelle mani del capo dello Stato e ricercarono a lungo un’autorità subordinata che firmasse l’ordine di esecuzione. Alla fine la trovarono.

Mussolini passò una notte di veglia, tormentosa e terribile, ma non si mosse. Edda lo supplicò e tentò di ricattarlo. Invano. L’alba era sorta da un pezzo quando i cinque condannati furono fulminati alla schiena da trenta militi. Un prete, don Chiot, impartì loro la benedizione.

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