A Lugano, domenica 15 gennaio 2017, nell’ambito delle iniziative per la Giornata della Memoria, la prof.ssa Maria Teresa Milano ha tenuto un’interessante conferenza su Terezin, alla presenza di un folto pubblico, dei rappresentanti delle altre comunità religiose e delle autorità cittadine. La presentazione è stata accompagnata dall’esecuzione di brani musicali Klezmer da parte di musicisti del gruppo Mishkalé.
Con pianta a forma di stella ospitava, in due zone separate, la guarnigione militare nella cosiddetta Grande Fortezza e un carcere nella Piccola Fortezza. Un po’ come lo Spielberg; ricordate Le Mie Prigioni di Silvio Pellico? Durante la prima guerra mondiale Terezin fu utilizzata come campo di internamento per i prigionieri russi. Vi fu rinchiuso anche Gavrilo Princip, l’assassino dell’arciduca Ferdinando a Sarajevo.
Così quando i nazisti invasero la Cecoslovacchia nel ‘39 si trovarono questa cittadella già bell’e pronta e la utilizzarono subito, senza neppur doverne cambiare la destinazione d’uso.
Quando ho sentito che la prof.ssa Maria Teresa Milano veniva a parlarci proprio di Terezin ci sono andata molto volentieri. Proprio perché la conoscevo, proprio per approfondire e capire un po’ meglio, ammesso che si possa capire…
Maria Teresa Milano non ha dedicato solo tanto, tantissimo tempo allo studio di Terezin, ma anche tanta, tantissima passione. Ascoltandola si ha l’impressione che il mondo di Terezin l’abbia così coinvolta che rivive nelle sue parole e nella sua presentazione. Presentazione che inizia con il filmato di un’intervista a Federica Spitzer, una sopravvissuta che era andata volontariamente a Terezin (sic!) per stare vicina ai suoi genitori. Lei era infermiera e non era stata condannata ad andare nel campo. Io ho avuto la fortuna di incontrarla e posso dire che anche in vecchiaia era una persona eccezionale. Federica e i suoi genitori ebbero la fortuna incredibile e insperata di essere liberati nel ‘45 e trovare salvezza in Svizzera.
Ebrei anziani, molte donne, molti bambini furono internati a Terezin, che divenne anche punto di raccolta – e passaggio – di artisti, letterati e studenti. Le condizioni di vita erano intollerabili, le guardie violente, la mortalità alta. Nonostante ciò, l’incontro fra queste persone così dotate, ebbe come conseguenza, proprio come una reazione chimica, di generare altra arte, altra creatività.
Maria Teresa Milano nella sua esposizione, alternata all’ascolto di brani musicali Klezmer eseguiti da due musicisti del gruppo Mishkalé, non si sofferma tanto sulla disumanità del luogo, sui numeri tragici, sulla disperazione che avrebbe dovuto pervadere la vita del campo, bensì sulla vivacità, sulla creatività, sulle iniziative artistiche e culturali che fecero di Theresienstadt il luogo speciale per cui è ricordata. E’ rimasta tanta documentazione a testimonianza di queste coraggiose attività:, locandine, spartiti, disegni, scritti. Sport, teatro, concerti, opere liriche, tornei di scacchi, cabaret: tutto si riusciva a fare a Terezin, nonostante la fame, la stanchezza e le lunghe giornate di lavoro. Queste attività furono dapprima osteggiate, poi addirittura incoraggiate.
Anche se non salvava la vita la musica tutelava l’identità e aiutava a sopravvivere. A parte Wagner, tutti gli autori venivano rappresentati e suonati, dalle musiche yiddish a Smetana, al degenerato jazz. Fu persino prodotta un’operina per bambini, Brundibar, composta nel 1939, ma rappresentata qui per la prima volta nel 1942.
Erano così fieri di Terezin i nazisti che spinsero l’inganno oltre limiti accettabili. Invitarono funzionari della Croce Rossa a visitarla. Non importa se le donne avessero pulito le strade con le loro mani in ginocchio, se i prigionieri fossero vestiti bene per un solo giorno, se chi tentò di chiedere aiuto fosse immediatamente eliminato, l’inganno riuscì e fu addirittura girato un film: “Il Führer regala una città agli Ebrei”.
Resilienza, è questa la parola che secondo M. T. Milano descrive la particolarità di Terezin: l’orrore, ma anche la capacità di resistere e discernere, la fiducia nelle capacità dell’uomo, la scelta della vita, la consapevolezza della sacralità della vita, che – soprattutto con l’attenzione ai bambini e la loro tutela – cercarono in tutti i modi di trasmettere.
Restano le locandine, gli spartiti, i quadri, gli scritti, a testimonianza della resistenza spirituale e della speranza che non ha mai abbandonato gli occupanti di Terezin, nonostante tutto. Restano le cartoline che Bedrich Fritta disegna per il suo bambino, il piccolo Tommy. Tommy sul vasino, Tommy che gioca con un gatto (non c’erano animali nel campo), Tommy che guarda dalla finestra e vede i grattacieli. Papà Bedrich ha regalato a Tommy il suo futuro.
Per approfondire la storia di Terezin rimando al libro:
TEREZÍN, LA FORTEZZA DELLA RESISTENZA NON ARMATA
di Maria Teresa Milano, Effatà Editrice, 2017.
Maria Teresa Milano, dottore di ricerca in ebraistica, traduTEREZÍNttrice, docente di ebraico, autrice e formatrice. Crea e conduce progetti su storia, cultura e musica ebraica. Cura la rubrica “In ascolto” per Pagine Ebraiche –Moked. E’ inoltre cantante nel gruppo Mishkalé, con cui ha prodotto Shtetl, recital e disco.
Cristina Cattaneo, Lugano
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