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Miliardari nel Governo Trump – di Tito Tettamanti

“Il discorso politico, i rapporti tra Stati, i rapporti con i propri cittadini si fanno più duri e diretti. Forse è un linguaggio per una transizione politica delicata e pericolosa al quale gli uomini di Trump potrebbero essere più adatti.”

Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore

La presenza di miliardari nel Governo Trump ha suscitato molte critiche. Precisiamo: nella categoria dei miliardari si trovano senz’altro dei figli di buona donna. Come si trovano tra i giornalisti, bancari, medici, netturbini e così via. Vero che i miliardari figli di buona donna in virtù della loro forza economica e possibile influenza possono fare molti più danni. Ma non penso che pregiudizi e riflessioni banalmente generiche permettano un giudizio corretto. Tra i miliardari nominati da Trump ne ho conosciuto uno negli anni Ottanta quando lavoravo a New York. Intelligenza, rapidità di giudizio, logica di ragionamento (ha studiato filosofia) mi hanno impressionato. Con quali intenzioni un miliardario che ha raggiunto gli 80 anni, che ha avuto un enorme successo economico e molte gratificazioni, noto per le sue attività filantropiche assume una carica pubblica se non per senso del dovere e passione per il Paese? Non ha certo aspirazioni di carriera avendo il futuro alle spalle. Espressione anche del suo sentirsi onorato è il fatto di farsi rimunerare con un dollaro all’anno. Quell’intelligenza, competenza, capacità gestionale alla quale si sono aggiunti anni di esperienza perché non dovrebbero venir messi a contributo nella gestione dello Stato? Certo che se l’economia degli USA avrà successo, anche i diversi investimenti del suo patrimonio ne avranno un vantaggio. Ma non è sicuramente un motivo per augurarsi che gli USA vadano male. Altro esempio è il nuovo ministro degli Esteri, già numero uno della Exxon, società petrolifera con una capitalizzazione di mercato di 350 miliardi di dollari, ciò che la posiziona tra le società più grandi del mondo. La somma di contatti ed esperienze cumulate in una simile posizione lo ha portato a conoscere tutti i maggiori capi di governo, lo ha visto negoziare accordi in diversi continenti e con diverse culture ai più alti livelli. Francamente mi chiedo se non sia uno degli apprendistati migliori per la carica che deve assumere. Senza dimenticare che nella sua agenda del telefono ha tutti i numeri utili per contattare chi nel mondo conta. È vero, ha rappresentato per lungo tempo gli interessi della Exxon, ma la cosa è talmente nota che gli impone un distacco superiore al normale anche perché questo rapporto verrà sempre scrutato (giustamente) con attenzione particolarmente critica. Non sono i rapporti alla luce del sole che debbono preoccupare, sono quelli intrasparenti accompagnati da uno stuolo di lobbisti spregiudicati che hanno buon gioco ed influenzano politici spesso modesti (per non dir di peggio). Ma è amico di Putin! Attenzione all’uso delle parole: a certi livelli non esiste l’amicizia, esiste semmai il rispetto reciproco. Niente pappa e ciccia, si sa che la controparte nonostante una possibile civile cordialità di rapporti rappresenterà duramente gli interessi che deve difendere. Poi il rispetto reciproco può portare a soluzioni intelligenti. Tutto ciò non ha niente a che fare con l’arruffianamento ad esempio di Berlusconi con Gheddafi, anche se occasionalmente può portare a qualche risultato.

Assistiamo ad una radicalizzazione del discorso politico anche in Europa e prima di Trump. Il contrasto che è venuto a crearsi non è più tra ideologie (spesso confuse ed edulcorate), tra destra e sinistra, ma tra un potere politico con coalizioni di governo formate da partiti antitetici e con maggioranze sempre più risicate, giustificate unicamente dalla volontà di non rinunciare ai vantaggi del comando che si è alleato con il potere tecnoburocratico, rappresentato da istituzioni internazionali, nell’intento di regolare e governare il mondo da un lato e dall’altro da una vasta fascia di cittadini che non si sente più rappresentata ed è frustrata nelle proprie aspirazioni dal cartello del potere. Il politichese, le ipocrisie di programmi tipo specchietto per le allodole, ma ancor di più il fallimento delle politiche economiche e l’impossibilità delle finanze degli Stati di far fronte alle promesse fatte hanno creato un’ondata di malcontenti ed esasperati pronti a seguire chiunque prometta (illuda) di saper far meglio e non parli in punta di forchetta. Il discorso politico, i rapporti tra Stati, i rapporti con i propri cittadini si fanno più duri e diretti. Forse è un linguaggio per una transizione politica delicata e pericolosa al quale gli uomini di Trump potrebbero essere più adatti. Stiamo a vedere.

Tito Tettamanti

Relatore

View Comments

  • Pubblicato da JthR per conto di ORIO GALLI

    Ogni tanto Fulvio Pelli dice (anche lui) cose sagge.
    C'è una cosa però nella nostra partitocrazia, un difetto che vorrei ricordare
    al caro Fulvio. Che spesso e volentieri i partiti attraverso l'apparato che controlla il "sistema" hanno privilegiato uomini e idee non secondo la loro qualità e originalità ma piuttosto guardando da quale "parte" provenivano: naturalmente mettendo in primo piano la "propria". Mi sento oggi comunque in obbligo di pubblicamente riconoscere che, pur non appartenendo per tradizione famigliare alla parte dei Pelli ( purtroppo in questo paese veniamo quasi tutti etichettati fin dalla nascita ...), durante la mia più che cinquantennale attività di disegnatore grafico indipendente, la maggior parte delle committenze e dei riconoscimenti professionali mi sono giunti proprio da quella "parte": la sua!

    orio galli

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