In una saletta vuota, c’eravamo soltanto io e il mio amico arch. Ciccio Fucà, quando sopraggiunse un piccolo nugolo di persone che presero posto in una tavolata di fronte. Era il giudice Falcone, accompagnato da una signora e da dieci / dodici agenti di scorta, evidentemente un po’ nervosi alla vista della nostra presenza. Alcuni di loro sedettero alla tavolata, altri restarono in piedi a vigilare l’entrata e il nostro tavolo. Anche il giudice ogni tanto ci dava una sbirciatina, en passant. La scena durava da un po’ di tempo e francamente mi procurava qualche imbarazzo.
Evidentemente, non ci conoscevano e giustamente vigilavano. In qualche occasione ufficiale, avevo incontrato il giudice, ma – pur sapendo che stava seguendo l’inchiesta sull’omicidio La Torre-Di Salvo – mi ero limitato a un saluto, poiché ero (sono) per una separazione netta tra attività politica e giudiziaria, per evitare ogni commistione.
Ora eccolo qui, a pranzo, nella piccola sala di un ottimo ristorante di cucina siciliana. Quel clima inquieto non ci faceva… assaporare le gustose pietanze. Mi alzai, con un largo sorriso rassicurante, e mi presentai al dottor Falcone. Scambiammo poche frasi di circostanza. Poi gli chiesi se avesse visto il nostro libro.
Non me lo disse (e nemmeno io glielo chiesi), ma sapevamo che per gli inquirenti il “punto critico” del nostro libro era la parte relativa alle connessioni internazionali dell’omicidio (missili di Comiso e altro). Materia complessa, delicatissima, fatti e ipotesi difficili da riscontrare che, se mal trattate, potevano portare il processo nelle sabbie mobili. Infatti, tali aspetti non furono presenti nelle carte della procura, ma solo accennati nel dibattimento soprattutto dai legali delle parti civili. Per la verità? Dovremo aspettare “altre carte”!
Agostino Spataro
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