Lontano dalle trombe e dai violini della colonna sonora dell’indimenticato Rocky Balboa, questo film sul pugilato indaga con musiche auliche quasi medioveleggianti, in un intreccio di vocalismi femminili e percussioni, sulla metafora della perdizione e della lotta per uscirne, passando tuttavia unicamente attraverso essa.
L’Ambre, il locale dove il crudele Tarek si esercita con la necessaria violenza contro le sue reclute, ricorda lo splendore degli anfiteatri romani, mentre le docce richiamano all’universo dei gladiatori. Un film in cui la fisicità è importante, il sangue scorre ma mai con fare trash.
Riprese in campo lungo che proiettano lo spettatore nella fredda Francia del Nord, tra spiagge deserte popolate solo da cavalli (di romantica e ottocentesca memoria), mentre il profilo scolpito e roccioso del protagonista si delinea su un mondo dal quale deve riemergere.
In contrasto lo sguardo dolce dei figli, (il talento dell’attrice bambina), le speranze di una moglie concreta e al contempo sognatrice. Poi i timore di morire, l’incombere del rischio, nella sottile lama del riscatto.
CF
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