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Iperregolamentazione sulla piazza finanziaria svizzera: UBS in partenza? – di Lorenzo Quadri

Interpellanza al Consiglio federale

Il CEO di UBS Sergio Ermotti ha di recente annunciato che il mantenimento della sede centrale di UBS in Svizzera  non è garantito. La proprietà della banca potrebbe decidere di spostarla all’estero: questo in quanto l’istituto è detenuto in gran parte da investitori stranieri.

Quale motivo del possibile trasferimento all’estero, Ermotti cita l’iperregolamentazione sulla piazza finanziaria svizzera, che la rende sempre meno competitiva ed attrattiva per gli operatori.

A seguito dei cedimenti senza alcuna contropartita sul segreto bancario in cui la politica federale (Consiglio federale in primis) si è prodotta negli scorsi anni, la piazza finanziaria elvetica ha già conosciuto un’ecatombe occupazionale: in Ticino, ad esempio, ha perso 2700 impieghi in 15 anni, tra l’indifferenza della maggioranza politica – peraltro complice dello smantellamento.

Ciononostante, l’Ecofin ha appena inserito la Svizzera sulla lista grigia dei “paradisi fiscali”: oltre al danno, la beffa.

Le dichiarazioni del CEO di UBS lasciano supporre che l’evocata iperregolamentazione potrebbe infliggere un nuovo colpo a quella che era una delle principali fonti di ricchezze della Svizzera.

Chiedo al Consiglio federale:

  • Come valuta il CF l’ipotesi di partenza della sede centrale di UBS dalla Svizzera, in particolare in considerazione dell’intervento della Confederazione che ai tempi della crisi del 2008 salvò la grande banca dal fallimento con un pacchetto di aiuti di 60 miliardi di Fr?
  • Quali potrebbero essere le conseguenze della partenza della sede centrale di UBS dalla Svizzera a mente del CF?
  • Il CF ha avuto degli scambi di vedute su questo tema con i vertici di UBS?
  • Come valuta il CF il problema dell’iperregolamentazione sulla piazza finanziaria elvetica, sollevato dal CEO di UBS? Il rischio di emigrazione da parte di istituti finanziari per questo motivo, è ritenuto concreto? Se sì, è intenzione del CF proporre delle modifiche legislative (abrogazioni di leggi) per risolvere o quantomeno mitigare il problema?

Lorenzo Quadri, consigliere nazionale, Lega dei Ticinesi

 

Relatore

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  • Non credo sia unicamente questione di «iperregolamentazione». Il neoliberismo non identifica una eventuale forza economica tenendo conto del concetto di Stato, tantomeno di Nazione. Probabilmente ciò che gli interessa è classificare unicamente l’ubicazione geografica di isole di benessere galleggianti sopra vasti territori regionali di povertà. Tuttavia buona parte del cosiddetto ceto medio si ostina a considerare come implicito un ormai obsoleto ragionamento nazionalista.

    Le graduatorie di successi e d’insuccessi a carattere nazionale hanno raggiunto il minimo storico. È rimasto probabilmente lo sport a caratterizzare una presunta superiorità/inferiorità nazionali: “Svizzera sul gradino più alto/ Trionfo degli austriaci/ L’Italia porta a casa otto medaglie/ Russia: medagliere da record/ Gigante uomini agli Usa/ La nazionale canadese domina/ Altro oro per la Germania. Biathlon alla biatleta bielorussa/ Kazakistan fanalino di coda. E via di questo sport. Quanti nobel, scienziati, saggisti, cervelli, (in fuga o stanziali) un territorio abbia infine offerto alla Storia (generato, creato, formato) ormai non conta più.

    Infatti le economie performanti crescono e si sviluppano con manodopera migrante, (schiavizzata/coccolata, provvisoria/naturalizzata) importata, assunta, spostata, esclusa. Un mercenariato di menti e di braccia utilizzato per un puro meccanismo di conquista dei mercati. Si dovrebbe approfondire questo fenomeno invece di piangere inutilmente sulle statistiche nazionali di povertà risultanti dagli sconquassi neomercantili. Certo, vi sono ancora territori che hanno lavorato sodo, per costruire un sistema-Stato efficiente, e altri che hanno fatto poco o nulla: hanno preferito esportare i vasti problemi interni.

    Prendiamo la Confederazione elvetica che con il sempiterno cliché degli orologi a cucù, più che un luogo comune, è diventato una piacevole certezza. Come pure convinzione imperitura sono il cioccolato e i treni in orario e, perché no, l’altalenante segreto bancario. Una forma di recinzione identitaria di amenità mitizzate, che evita agli amici forestieri di dover considerare “altre” specificità elvetiche. Per esempio gli strumenti della democrazia semi-diretta. Ma sì, anche la volontà di crescere e di migliorarsi. La Svizzera è tollerata ma non è amata. Accettata come un “opaco” territorio con un reddito superiore che offre opportunità professionali favorevoli al cambio. Nulla più. Con buona pace del nostro orgoglio nazionalistico. Questo meccanismo non risparmia nessuno, nemmeno noi. Eredi di Tell.

  • Non credo sia unicamente questione di «iperregolamentazione». Il neoliberismo non identifica una eventuale forza economica tenendo conto del concetto di Stato, tantomeno di Nazione. Probabilmente ciò che gli interessa è classificare unicamente l’ubicazione geografica di isole di benessere galleggianti sopra vasti territori regionali di povertà. Tuttavia buona parte del cosiddetto ceto medio si ostina a considerare come implicito un ormai obsoleto ragionamento nazionalista.

    Le graduatorie di successi e d’insuccessi a carattere nazionale hanno raggiunto il minimo storico. È rimasto probabilmente lo sport a caratterizzare una presunta superiorità/inferiorità nazionali: “Svizzera sul gradino più alto/ Trionfo degli austriaci/ L’Italia porta a casa otto medaglie/ Russia: medagliere da record/ Gigante uomini agli Usa/ La nazionale canadese domina/ Altro oro per la Germania. Biathlon alla biatleta bielorussa/ Kazakistan fanalino di coda. E via di questo sport. Quanti nobel, scienziati, saggisti, cervelli, (in fuga o stanziali) un territorio abbia infine offerto alla Storia (generato, creato, formato) ormai non conta più.

    Infatti le economie performanti crescono e si sviluppano con manodopera migrante, (schiavizzata/coccolata, provvisoria/naturalizzata) importata, assunta, spostata, esclusa. Un mercenariato di menti e di braccia utilizzato per un puro meccanismo di conquista dei mercati. Si dovrebbe approfondire questo fenomeno invece di piangere inutilmente sulle statistiche nazionali di povertà risultanti dagli sconquassi neomercantili. Certo, vi sono ancora territori che hanno lavorato sodo, per costruire un sistema-Stato efficiente, e altri che hanno fatto poco o nulla: hanno preferito esportare i vasti problemi interni.

    Prendiamo la Confederazione elvetica, (che con il suo sempiterno cliché degli orologi a cucù) più che un luogo comune è diventata una piacevole certezza. Come pure convinzione imperitura sono il cioccolato, i treni in orario e, perché no, l’altalenante segreto bancario. Una forma di recinzione identitaria di stereotipi mitizzati, che evita agli amici forestieri di dover considerare “altre” specificità elvetiche. Per esempio gli strumenti della democrazia semi-diretta. Ma sì, mettiamo pure anche la volontà di crescere e di migliorarsi. La Svizzera è tollerata ma non è amata. Accettata come un “opaco” territorio con un reddito superiore che offre opportunità professionali favorevoli al cambio. Nulla più. Con buona pace del nostro orgoglio nazionalistico. Questo meccanismo non risparmia nessuno, nemmeno noi. Eredi di Tell.

  • Beh, a chi proprio interessasse basterebbe digitare… mi sembra… «postrelativi di extraverbo».

  • Questo?

    Non credo sia unicamente questione di «iperregolamentazione». Il neoliberismo non identifica una eventuale forza economica tenendo conto del concetto di Stato, tantomeno di Nazione. Probabilmente ciò che gli interessa è classificare unicamente l’ubicazione geografica di isole di benessere galleggianti sopra vasti territori regionali di povertà. Tuttavia buona parte del cosiddetto ceto medio si ostina a considerare come implicito un ormai obsoleto ragionamento nazionalista.

    Le graduatorie di successi e d’insuccessi a carattere nazionale hanno raggiunto il minimo storico. È rimasto probabilmente lo sport a caratterizzare una presunta superiorità/inferiorità nazionali: “Svizzera sul gradino più alto/ Trionfo degli austriaci/ L’Italia porta a casa otto medaglie/ Russia: medagliere da record/ Gigante uomini agli Usa/ La nazionale canadese domina/ Altro oro per la Germania. Biathlon alla biatleta bielorussa/ Kazakistan fanalino di coda. E via di questo sport. Quanti nobel, scienziati, saggisti, cervelli, (in fuga o stanziali) un territorio abbia infine offerto alla Storia (generato, creato, formato) ormai non conta più.

    Infatti le economie performanti crescono e si sviluppano con manodopera migrante, (schiavizzata/coccolata, provvisoria/naturalizzata) importata, assunta, spostata, esclusa. Un mercenariato di menti e di braccia utilizzato per un puro meccanismo di conquista dei mercati. Si dovrebbe approfondire questo fenomeno invece di piangere inutilmente sulle statistiche nazionali di povertà risultanti dagli sconquassi neomercantili. Certo, vi sono ancora territori che hanno lavorato sodo, per costruire un sistema-Stato efficiente, e altri che hanno fatto poco o nulla: hanno preferito esportare i vasti problemi interni.

    Prendiamo la Confederazione elvetica, (che con il suo sempiterno cliché degli orologi a cucù) più che un luogo comune è diventata una piacevole certezza. Come pure convinzione imperitura sono il cioccolato, i treni in orario e, perché no, l’altalenante segreto bancario. Una forma di recinzione identitaria di stereotipi mitizzati, che evita agli amici forestieri di dover considerare “altre” specificità elvetiche. Per esempio gli strumenti della democrazia semi-diretta. Ma sì, mettiamo pure anche la volontà di crescere e di migliorarsi. La Svizzera è tollerata ma non è amata. Accettata come un “opaco” territorio con un reddito superiore che offre opportunità professionali favorevoli al cambio. Nulla più. Con buona pace del nostro orgoglio nazionalistico. Questo meccanismo non risparmia nessuno, nemmeno noi. Eredi di Tell.

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