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Franco forte, franco debole e aiuti dello Stato – di Tito Tettamanti

Nel gennaio del 2015 la BNS ha deciso di abbandonare la garanzia del cambio di 1.20 franchi contro 1 euro. Fu una intelligente decisione, visto che non era più possibile e ragionevole continuare a comperare miliardi di euro per difendere un cambio artificiale.

Di conseguenza il franco si rafforzò immediatamente arrivando non lontano dalla parità che qualcuno addirittura preannunciava. Il trend recentemente è mutato ed il corso si è indebolito e oggi ci vogliono nuovamente circa franchi 1.20 per 1.00 euro. Taluni prevedono addirittura un ulteriore indebolimento della nostra valuta. Come mai?

La situazione internazionale carica di insicurezze dalle guerre nel Medio Oriente, alla guerra dei dazi specie USA-Cina, alle sanzioni contro la Russia stando ai canoni classici dovrebbe suggerire un rafforzamento e non un indebolimento del franco svizzero.

Sì, ma non è il franco che si indebolisce, è l’euro che si rafforza visto che l’economia in Europa dà qualche segno di ripresa e la situazione politica (vedi elezione Macron in Francia) non appare più così preoccupante. Sarà, ma non dimentichiamo l’Italia con i suoi problemi e la confusa realtà politica e ancor meno che l’indebitamento e i problemi strutturali degli Stati europei non sono per nulla modificati. Anche il mercato delle divise, come tutta l’economia, non è retto da una scienza esatta e le previsioni degli specialisti vanno prese con doverosa prudenza. Inoltre, decisioni politiche, scontri economici tra Paesi e cambiamenti di indirizzo di governi possono sconvolgere ogni pur meditata previsione. Abbiamo una moneta rispettata da tutti, anche perché emessa da un Paese che ha i conti in ordine, ma le nostre modeste dimensioni non possono metterci al riparo da oscillazioni internazionali.

La migliore difesa contro le possibili oscillazioni con le quali dobbiamo abituarci a convivere sono efficienza e capacità reattiva nella produzione.

Nel gennaio del 2015 l’industria di esportazione svizzera e gli operatori turistici, i più colpiti dalla svalutazione del franco, hanno reagito chiedendo protezione ed interventi statali. Comprensibile, difendevano (anche se con richieste un po’ miopi e facili) i loro interessi. Meno comprensibili, anzi pericolosissime, le richieste di politici, partiti, sindacati di interventi statali, di sussidi e aiuti. Fortunatamente – non succede sempre – il Consiglio federale non ha ceduto. Ancora una volta (e non è la prima) dobbiamo complimentarci con il mondo dell’industria svizzera. Ha saputo reagire con determinazione, flessibilità e grande competenza professionale alla crisi, adeguarsi prontamente alla nuova situazione, spingere automazione ed altre misure necessarie, ritrovando velocemente la competitività internazionale. Prima ancora della recente rivalutazione dell’euro la nostra economia si era già notevolmente ripresa ed il 2017 è stato un anno coronato da successo.

Non dimentichiamo inoltre che le nostre esportazioni verso la zona euro rappresentano il 50% (il resto viene contrattato in US$) e che se chi esporta è sfavorito da un franco forte, per contro chi importa (la Svizzera non è solo esportatrice) viene favorito, e si importano anche componenti per l’industria di esportazione, ciò che relativizza l’impatto dell’oscillazione dei cambi. Comunque una lode ai nostri industriali per come sanno svolgere una delle attività più impegnative e difficili nella quale si può anche guadagnare bene ma per la quale le tensioni per la competitività futura non cessano mai. Più difficile la situazione per il turismo, con un anno però di migliori risultati, dovuti anche alle inquietudini e tensioni in molte zone turistiche di altre nazioni. Ciò non deve però farci dimenticare di chiedere se l’offerta svizzera sia adeguata alle esigenze della clientela di oggi e futura, cinesi inclusi.

L’economia svizzera ha superato un momento di crisi grazie alla propria capacità e non grazie a interventi e aiuti statali, per fortuna nostra e del Paese.

La Banca Mondiale pubblica un indice internazionale chiamato “Doing Business” che misura per 190 nazioni le condizioni più o meno favorevoli per svolgere attività imprenditoriali. La Svizzera nei quindici anni di pubblicazione ha perso posti e non si trova ai primissimi ranghi. Ciò deve seriamente preoccupare. La produzione di ricchezza e la nostra capacità di competizione sui mercati non dipendono dagli aiuti statali ma dalle condizioni quadro nelle quali si opera e le possibilità di successo possono venir pesantemente compromesse da sempre maggiori ostacoli burocratici.

Il vero grande aiuto che si può dare all’economia è quello di migliorare tali condizioni quadro e abolire tutti gli inutili impacci.

Tito Tettamanti

Pubblicato nel Cdt e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata

 

Relatore

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  • "Ancora una volta (e non è la prima) dobbiamo complimentarci con il mondo dell’industria svizzera."
    Ebbene sì, è nell'industria che troviamo i produttori di ricchezza vera. Altro che banche e DUBBIOSE FIDUCIARIE, vero???

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