Il quadro è ulteriormente compromesso dalla crisi che sta colpendo i Paesi emergenti, vedi ad esempio Turchia, Argentina (con pesanti svalutazioni), Sud Africa (entrato in recessione), Brasile (in piena bufera elettorale). I capitali stanno di conseguenza fuggendo dalle economie emergenti che oltretutto dipendono spesso dalle possibilità di esportazione e dallo sviluppo dei commerci internazionali.
La prima domanda che possiamo porci è se le doglianze degli USA siano pretestuose o abbiano per contro qualche fondamento. Che la Cina si prenda molte libertà nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) è dimostrato. Dagli opachi sussidi alle imprese statali (che producono anche acciaio) al mancato rispetto della proprietà intellettuale, alle vessazioni burocratiche alle quali sono sottoposte le imprese straniere. Ovviamente i primi venti di una possibile guerra commerciale hanno investito anche l’UE, ma anche qui che le auto europee esportate negli USA siano sottoposte ad un dazio del 2% e quelle USA esportate in Europa a un dazio del 10% legittima qualche interrogativo. È difficile affermare che i reclami degli USA siano totalmente privi di fondamento.
Vero, la Cina è creditrice nell’ordine di oltre mille miliardi di dollari nei confronti degli USA, ma l’arma di buttare eventualmente sul mercato i treasury bonds americani che detiene non è di sicuro effetto in un mercato molto liquido. L’enorme cifra assoluta viene relativizzata in quanto si tratta solo del 5,6% del debito USA di oltre 21 mila miliardi di dollari. Se l’operazione avesse successo, causerebbe inoltre enormi perdite finanziarie alla Cina stessa. La dirigenza cinese, frutto di una severa selezione meritocratica, sta infatti rispondendo in modo cauto e tenendo aperti i canali di discussione, attendendo anche i risultati delle elezioni USA di metà novembre.
L’Europa dal canto suo invia la signora Merkel a Washington per una mezz’ora di colloquio con Trump (le auto germaniche giustificano questo e altro), Juncker visita e brinda (non gli riesce difficile) all’amicizia con gli USA. Conclusione: addirittura si vorrebbero annullare i dazi (ottima soluzione) o comunque venire incontro alle richieste USA. Non vi sono molte alternative, anche se nell’ambito dell’UE vi sono le solite fratture. Gli interessi di Germania, Olanda nazioni esportatrici non collimano ad esempio con quelli di Francia, Italia e Spagna. Un fronte Cina-UE contro gli USA da taluni ipotizzato si scontra con gli interessi di molti europei e non è facilmente concepibile.
Ma dovremmo porci un’ulteriore domanda: cosa spinge gli USA a minacciare una guerra commerciale? Qualche commentatore ricorda le strategie di Reagan che con ipotesi di guerre stellari e corsa agli armamenti ha messo in ginocchio l’URSS contribuendo all’implosione del sistema comunista. Con la violenta confrontazione sul piano commerciale gli USA potrebbero sperare di fiaccare le ambizioni cinesi, evitandone o ritardandone lo sviluppo strategico, compresa quella via della seta che passa per Iran e Turchia e tanto preoccupa gli strateghi americani. Se l’«escalation» non si arresta vi è motivo di essere preoccupati. Una guerra commerciale non fa morti ma si avranno pur sempre parecchie vittime.
Tito Tettamanti
pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata
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